Dieselgate: condannati quattro ex manager della Volkswagen

Sono stati condannati quattro manager della Volkswagen per lo scandalo diesel, venuto alla luce dieci anni fa negli Stati Uniti.
Il Tribunale di Braunschweig ha ritenuto provata la truffa: due dei quattro manager erano capi di divisioni interne dell'azienda che secondo il Tribunale «perlomeno dal 2007 sapevano dell'utilizzo del software» che permetteva di barare sulle emissioni, aggirando le normative nazionali sull'ambiente. In poche parole: i dati che risultavano da test e collaudi erano diversi da quelli delle automobili messe in commercio.
Negli Stati Uniti la vicenda si è chiusa tra il 2016 e il 2017, con una serie di accordi e di rimborsi per poco più di venti miliardi di dollari. In Germania i processi hanno chiesto molto più tempo: quello concluso oggi è uno dei più lunghi della storia della Repubblica federale, quasi quattro anni.
Così dopo la sentenza di primo grado contro l'ex capo di Audi del giugno 2023, sono arrivate le condanne per altri quattro dirigenti. La pena più alta, quattro anni e mezzo di carcere, è stata inflitta a Jens Hadler, l'ex capo della sezione dedicata allo sviluppo del motore diesel. Due anni e sette mesi sono stati invece comminati a Hanno Jelden, ex capo della divisione della tecnologia di guida. Condannati anche gli altri due, con pena sospesa.
Ma siamo ancora lontani dalla parola fine: gli avvocati degli imputati hanno annunciato di ricorrere in appello, diluendo ulteriormente i tempi per un chiarimento di una vicenda che ha colpito profondamente la credibilità del colosso automobilistico tedesco. E che dopo dieci anni rischia di restare ancora, per gran parte, oscura.
Perché da un lato i quattro imputati lamentano di essere dei «capri espiatori»: che è un modo come un altro per ammettere l'esistenza della truffa ma, allo stesso tempo, indicare altri responsabili. Dall'altro, il sospetto che il caso abbia riguardato i livelli più alti, non solo i capi di divisioni aziendali ma anche i vertici di VW, s'insinua anche nelle analisi del giudice di Braunschweig per il quale lo sviluppo dei motori sospetti sarebbe stato condiviso da molte persone, alcune delle quali non imputate.
E il sospetto va subito all'ex capo di VW Martin Winterkorn, al quale lo scandalo costò il posto: si dimise venti giorni dopo la scoperta dell'utilizzo del software incriminato. Nel 2018 le autorità americane hanno emesso un mandato di cattura contro di lui, convinte che non solo sapesse ma fosse parte attiva di una manovra per aggirare le normative statunitensi.
Del fatto che Winterkorn non potesse essere all'oscuro della truffa erano convinti anche a Braunschweig e, infatti, doveva essere giudicato nell'ambito di questo stesso processo: la sua posizione nel tempo però è stata stralciata, anche a causa di problemi di salute, e l'ex top manager dovrà essere sottoposto a un processo parallelo. Se e quando questo avverrà è una questione ancora aperta.
L'incertezza sul chiarimento delle responsabilità dell'ex numero uno del colosso di Wolfsburg lascia aperto il sospetto che non si voglia andare fino in fondo in una vicenda che ha segnato il cuore dell'industria tedesca.