Il commento

Dio ci guardi dai simboli di purezza

Jake Angeli e il suo copricapo cornuto non ci fanno per niente ridere - Sono i regimi totalitari, i terroristi e gli antidemocratici che fanno sempre riferimento a remote simbologie civili, religiose o mitologiche
Al centro: Jake Angeli nel Campidoglio. © AP
Carlo Silini
16.01.2021 06:00

Qualcuno si è fatto due risate, una decina di giorni fa, quando ha visto che tra gli invasori del Congresso americano c’era un tizio col volto pittato di rosso, bianco e blu che gironzolava a torso nudo, impreziosito da tatuaggi, indossando un copricapo cornuto (ne parliamo nel CorrierePiù). Se i riottosi seguaci di Trump sono tutti come Jake Angeli, ha pensato, non c’è nulla da temere. Un guitto da carro di carnevale, non da rivoluzione.

Sbagliato. Perché di guitti del genere se ne sono visti parecchi in passato e - anche se ai loro contemporanei non sembravano delle cime - alla fine si sono rivelati assai meno innocui di quanto si credesse. Negli anni Quaranta lo storico antifascista Gaetano Salvemini definì un’«opera buffa» la marcia su Roma e anche uno dei più grandi studiosi di quell’evento, Antonino Repaci, la descrisse come «una goffa kermesse». Sembrava una pagliacciata, era l’inizio di un regime totalitario.

Il fascismo, per esempio, si è costruito sul mito dell’impero romano, visto come l’arma perfetta per combattere la sua battaglia contro la modernità in nome di un passato da restaurare

Non vogliamo tracciare arditi parallelismi tra gli squadristi di allora e i trumpisti di oggi. Altri l’hanno fatto (e altri li hanno smentiti) con maggiori competenze di chi scrive. A noi interessa un tratto comune alle due vicende: un uso disinvolto dei simboli che dovrebbe farci scattare sull’attenti.

Perché l’abbiamo già visto troppe volte che il riferimento quasi sacrale a remote simbologie civili, religiose o mitologiche spesso nasconde disegni di potere antidemocratici. Il fascismo, per esempio, si è costruito sul mito dell’impero romano, visto come l’arma perfetta per combattere la sua battaglia contro la modernità in nome di un passato da restaurare e di antichi valori da recuperare. E fu un profluvio di fasci littori, di aquile e di saluti romani. Il nazismo, invece, con le sue croci uncinate propugnava un mistico culto della razza ariana (che in realtà non è mai esistita, ma tant’è).

In tempi più recenti, poi, le frange più violente dell’universo musulmano portano avanti un’analoga lotta contro il mondo contemporaneo e l’idea occidentale di laicità facendo continuo e sistematico riferimento alla purezza del “vero Islam”. Esibiscono vessilli con scritte coraniche (la bandiera dell’ISIS) impongono barba e palandrana agli uomini e velano le donne. Poco importa che vengano considerati eretici, ignoranti o lontani dallo spirito pacifico dell’Islam da molti loro correligionari. Vanno, uccidono e tornano sentendosi puri come gigli nei campi.

Puri come Anders Breivik, l’attentatore norvegese che il 22 luglio del 2011 uccise settantasette persone in nome di una delirante concezione del mondo. Nel suo lunghissimo memoriale si definiva «salvatore del cristianesimo» e «il più grande difensore della cultura conservatrice in Europa dal 1950». Se qualcuno avesse letto quel testo prima delle stragi, probabilmente l’avrebbe considerato il parto di un pittoresco svalvolato. E forse sì, era davvero una macchietta, ma alla fine ha fatto ciò che ha fatto.

Il ritorno di simboli che rimandano a una presunta superiorità dei bianchi sulle altre etnie (mescolando con disarmante disinvoltura la Bibbia, i miti di purezza della guerra civile americana, le rune, i vichinghi e gli indiani d’America) non è una ragazzata

È per questo che, vedendo la pagliacciata di Jake Angeli, non ridiamo. Come non abbiamo riso osservando un suo compare introdursi nel tempio della democrazia americana con la bandiera confederata, il vecchio vessillo rosso e blu degli stati del Sud, notoriamente schiavisti. Il ritorno di simboli che rimandano a una presunta superiorità dei bianchi sulle altre etnie (mescolando con disarmante disinvoltura la Bibbia, i miti di purezza della guerra civile americana, le rune, i vichinghi e gli indiani d’America) non è una ragazzata folkloristica. È il confuso e pericoloso universo simbolico del popolo degli scontenti, quasi la metà degli americani, che ancora sostiene un presidente sotto impeachment.