Diritti umani: la missione incompiuta di Michelle Bachelet nello Xinjiang

Le attese dichiarazioni dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, alla fine della sua visita di sei giorni in Cina, non hanno placato le polemiche attorno alla tappa nella regione autonoma dello Xinjiang, dove Pechino è accusata di aver imprigionato in campi di concentramento circa 1,8 milioni di uiguri, kazaki e kirghisi, minoranze turcofone di fede islamica.
Tutti i limiti del viaggio
Bachelet ha detto di aver sollecitato la Cina a evitare «misure arbitrarie e indiscriminate nella sua ampia repressione contro il terrorismo» nello Xinjiang, aggiungendo che il governo locale le ha assicurato che una rete di centri di formazione, denunciati dai gruppi per i diritti umani come campi di rieducazione forzata e parte di un vasto sistema di sorveglianza per controllare gli uiguri, sono stati «smantellati». La Cina aveva inizialmente negato l’esistenza di tali strutture, ma nel 2018 aveva affermato di aver istituito dei «centri di addestramento professionale» per ridurre la povertà, il terrorismo, e il radicalismo religioso nella regione.
Bachelet, confermando di non essere stata in grado di verificare le violazioni dei diritti umani contro la minoranza musulmana e inquadrandole nel contesto delle norme anti-terrorismo, ha dato corpo alle paure degli scettici: «La Cina ha ottenuto ciò che voleva», ci ha detto Phil Robertson, vicedirettore della divisione asiatica dell’organizzazione in difesa dei diritti umani, Human Rights Watch. «L’obiettivo di Pechino è di respingere le prove delle enormi atrocità commesse nello Xinjiang e in Tibet e il soffocamento dei diritti umani a Hong Kong e in tutta la Cina, e ora può sventolare le fotografie dell’Alto Commissario, per affermare che tutto va bene. È un prezzo elevato da pagare per le briciole ottenute dalle Nazioni Unite, ossia un accesso fugace ai massimi leader cinesi e la creazione di un gruppo di lavoro».
17 anni di attesa
Le accuse contro Pechino sugli abusi nello Xinjiang si basano su documenti ufficiali e su testimonianze dirette di ex detenuti e guardie carcerarie. Secondo un rapporto pubblicato da Amnesty International nel 2021, le torture, le persecuzioni, le sterilizzazioni forzate, a cui le minoranze etniche a maggioranza musulmana sono sottomesse, equivalgono a crimini contro l’umanità. Nell’incontro virtuale con i giornalisti, Bachelet ha precisato che il suo viaggio non era un’indagine sulle politiche cinesi in materia di diritti umani, ma un’opportunità per interagire con le autorità. Malgrado gli appelli a negoziare accesso e libertà di movimento, il primo viaggio in Cina dopo 17 anni da parte di un Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, è avvenuto all’interno di una bolla di sicurezza e senza giornalisti al seguito, ufficialmente a causa della COVID-19. «Le garanzie per la libertà di movimento avrebbero dovuto essere perseguite con molto più vigore, anche se sarebbe stato difficile ottenerle. Ciò che è chiaro da parte delle Nazioni Unite, è che l’impulso di fare il viaggio ha superato l’importanza di difendere i principi dell’agenzia per i diritti umani nel fronteggiare uno Stato membro problematico, che viola i diritti».
Le pressioni
Ad aumentare la pressione sulla delegazione ONU, sono state nuove rivelazioni sulle condizioni degli uiguri contenute nei cosiddetti «Xinjiang Police files» e pubblicate nei giorni scorsi da numerose testate internazionali. Migliaia di fotografie, discorsi segreti di alti funzionari, manuali della polizia, tra cui l’ordine di «sparare per uccidere» a chi cerca di fuggire, sono stati hackerati dai server delle forze dell’ordine cinesi e costituirebbero le prove più solide, emerse fino a oggi, di una politica repressiva contro la cultura e la fede islamiche.
«Conoscete un’altra popolazione che ha affrontato incarcerazioni e abusi così sistematici e violazioni dei diritti di tale portata, semplicemente a causa dell’etnia e della religione?». Per Phil Robertson la situazione richiede un’azione immediata: «L’ufficio di Bachelet dovrebbe commentare pubblicamente queste nuove informazioni, sollecitare Pechino su questi apparenti abusi ed impegnarsi a pubblicare il rapporto sullo Xinjiang nella sua interezza, in modo che si faccia finalmente chiarezza sui risultati delle indagini».
L’organismo delle Nazioni Unite è stato infatti criticato per aver rimandato più volte la pubblicazione di un documento sugli abusi nello Xinjiang, pronto da settembre. «L’Alto Commissariato per i diritti umani appare come lo zimbello del governo cinese, che ha usato il suo potere per costringere l’OHCHR a un approccio debole e di compromesso di fronte alle violazioni estreme dei diritti degli uiguri e di altre minoranze», continua Robertson. «Se vuole essere preso sul serio nelle sue affermazioni di impegno a difendere i diritti umani in Cina, dovrebbe pubblicare immediatamente il rapporto sullo Xinjiang».
Dialogo e confronto
Criticata per il suo approccio conciliante verso la Cina, alcuni osservatori ritengono che la diplomazia di Bachelet, potrebbe essere efficace nel lungo termine, considerato che la linea dura del suo predecessore, Zeid Ra’ad al-Hussein, non ha portato a progressi nelle relazioni con Pechino: «Qualsiasi approccio di successo richiede sia il confronto, sia il dialogo» sostiene Phil Robertson di Human Rights Watch. «Sono necessari discussioni e richieste molto più dirette, se si vogliono fare progressi».
Il presidente cinese Xi Jinping ha difeso la situazione dei diritti umani in Cina e ha sottolineato che il Paese non accetta alcuna «predica» sul tema, avvertendo che «qualsiasi sistema o modello copiato alla cieca da un altro Paese, indipendentemente dalla situazione sul campo, porterà a conseguenze disastrose».
Per Human Rights Watch, la pressione deve essere costante e basata su dei parametri di riferimento, che possano portare a chiari miglioramenti dei diritti umani, in cambio dell’ampliamento delle relazioni nelle sfere politiche ed economiche. «La credibilità dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani dipende da cosa farà ora», conclude il vicedirettore di Human Rights Watch Asia.