Il reportage

Dove si prendono cura di te, e nemmeno te ne accorgi

A partire da oggi, dopo 60 anni di attività nell’amministrazione cantonale, l’Istituto di patologia di Locarno passa sotto la guida dell’EOC
© CdT/Chiara Zocchetti
Paolo Gianinazzi
01.07.2020 08:14

Un ticinese su sette vi si reca almeno una volta all’anno e, nella maggior parte dei casi, probabilmente nemmeno se ne accorge. Stiamo parlando dell’Istituto cantonale di patologia di Locarno, che proprio oggi dopo 60 anni di attività nell’amministrazione cantonale passa sotto la guida dell’Ente ospedaliero cantonale (EOC). Ma, è bene precisarlo subito, contrariamente al pensiero comune che aleggia intorno al termine «patologia», qui non si lavora con i morti. Anzi, l’esatto contrario: l’obiettivo del lavoro svolto nell’Istituto è quello di garantire le migliori cure possibili ai vivi. Nei laboratori dell’Istituto arrivano infatti circa 50.000 pazienti ogni anno (ecco perché uno su sette), ma non si presentano fisicamente all’entrata (ecco perché non se ne accorgono), bensì è solo una piccola parte del loro corpo a raggiungere l’occhio esperto dei medici patologi attraverso la lente dei microscopi che, appunto, si occupano di analizzare i campioni di tessuto che ricevono quotidianamente da ospedali, cliniche e medici privati di tutto il cantone.

Un lavoro di squadra
A guidarci nella nostra visita, il direttore dell’Istituto Luca Mazzucchelli e la capo laboratorio Lara Mattei che, sala dopo sala, ci hanno illustrato il complesso funzionamento che porta il campione ad essere analizzato dal medico patologo. Un procedimento lungo e articolato il cui obiettivo finale è molto semplice: diagnosticare con precisione la patologia infiammatoria oppure tumorale e quindi consigliare al medico che ha richiesto le analisi la terapia migliore per curare il paziente. Il campione, già immerso nella formalina (il liquido conservante che conosciamo tutti grazie ai film dell’orrore), generalmente arriva all’Istituto per posta o tramite un corriere. Dopodiché viene scrupolosamente analizzato a livello macroscopico da un medico patologo: al nostro arrivo, ad esempio, lo specialista stava analizzando, descrivendo e sezionando con cura la milza di un paziente arrivata da poco in laboratorio. In seguito, il minuscolo pezzo prelevato viene preso in consegna dai tecnici di analisi biomediche che, dopo un processo a più fasi che dura circa 24 ore, si occupano di tagliare con un apposito strumento un sottilissimo strato di tessuto (spesso circa un millesimo di millimetro) per poi riporlo con cura nel famoso «vetrino» per i microscopi. Per essere reso chiaramente visibile all’occhio umano, il campione viene infine colorato da alcuni macchinari e il «vetrino», dopo diverse ore di minuzioso lavoro, è finalmente pronto per essere analizzato dai patologi. «Ovviamente - sottolinea Mattei - qui il campione è tracciabile in ogni singola parte della procedura. E oggi l’errore, ovvero scambiare un campione per un altro, è praticamente impossibile».

Una corsa contro il tempo
«Spesso - ci spiega il professor Mazzucchelli - si pensa che qui basti inserire il campione in un macchinario e ottenere la diagnosi in pochi minuti. In realtà è un lavoro di squadra che richiede tempo». Un lavoro, e non è poco, da cui può dipendere la vita del paziente: «La nostra diagnosi per un tumore al seno, ad esempio, porta a decidere se sarà necessaria la chemioterapia oppure no», rimarca il direttore. E la diagnosi non è «bianca o nera, perché spesso ci sono molte sfumature, o casi più complessi che vanno analizzati con tecniche molecolari, condivisi in gruppo oppure che richiedono tempo per il confronto con le banche dati della letteratura medica per venire poi risolti solo dopo una discussione multidisciplinare con i colleghi in clinica». Ad esempio, ci vengono mostrati alcuni libri di testo nei quali sono raffigurati, ingranditi di centinaia di volte, i circa 90 tipi di linfomi oggi conosciuti. E solo l’occhio esperto di un patologo può riconoscerne le peculiarità, mentre ai nostri occhi, ovviamente, sembrano tutti uguali. Insomma, malgrado il paziente sia distante parecchi chilometri in attesa dei risultati, magari in un letto di ospedale, l’accuratezza del lavoro svolto a Locarno può fare una enorme differenza: «È vero - rimarca Mazzucchelli - noi non vediamo fisicamente i pazienti. Ma in qualche modo, anche attraverso il nostro microscopio siamo in contatto con loro. E poi sentiamo sulle nostre spalle una grande responsabilità». Già, un esempio concreto di questa grande responsabilità è subito balzato ai nostri occhi: sul tavolo di fronte a noi, mentre il direttore ci mostra alcuni esempi al microscopio, osserviamo il «vetrino» contenente il tessuto di una giovanissima ragazza che, ci spiega Mazzucchelli, è affetta da una rara forma di linfoma: «Patologie di questo tipo ne vediamo una ogni tre anni». E anche in questo caso, dalla corretta diagnosi dipenderà la terapia scelta per curarla. «Qui - ci dirà più tardi il direttore - l’errore non è concesso».

E oltre a ciò, ci è stato spiegato più volte, si tratta anche di «una corsa contro il tempo», perché ritardare di un giorno la diagnosi significa tenere il paziente un giorno in più in ospedale o posticipare un intervento chirurgico, per non parlare dello stress emozionale del paziente in attesa dei risultati delle analisi.

Il cambiamento e il futuro
Ma torniamo all’importante cambiamento istituzionale che oggi l’Istituto lasciare l’amministrazione pubblica per entrare nell’EOC. Parlandone con il direttore, emerge l’importanza che anche in futuro le strutture mediche del cantone continuino a fare affidamento su questo istituto. «Se oggi possiamo fare quello che facciamo è grazie al buon lavoro svolto finora dall’amministrazione cantonale e dai nostri collaboratori, ma soprattutto grazie al fatto che tutti gli ospedali ticinesi, pubblici e privati, così come gli studi medici privati, hanno fatto affidamento su di noi per le analisi. Per un bacino di 350.000 abitanti poter disporre di una struttura come la nostra non è scontato». Ora, ci spiega il direttore, con l’EOC potremo continuare a svolgere questo lavoro al meglio in un contesto ospedaliero e dinamico e con la possibilità di prevedere investimenti a lungo termine». E tra le sfide future citate da Mazzucchelli c’è sicuramente la digitalizzazione: «In 20 anni è cambiato tutto. Le analisi che facciamo oggi quando ho iniziato io nemmeno esistevano e la nostra precisione diagnostica è aumentata di 10 volte. Ora lavoriamo già con l’EOC per il passaggio alla patologia digitale: non lavoreremo più al microscopio, ma osserveremo i ‘‘vetrini’’ al computer e sarà facilmente possibile vederli da qualsiasi parte del mondo per una seconda opinione. E poi c’è la questione dell’intelligenza artificiale. Tutte tecnologie che saranno d’aiuto. Ma niente paura. Dietro il computer - conclude il direttore - resterà sempre l’esperienza dell’occhio umano».