L'intervista

Ducrot: «Sono i clienti a determinare il fabbisogno e i posti di lavoro»

Come evolverà la mobilità ferroviaria nei prossimi anni? Il CEO delle FFS traccia le prospettive del trasporto pubblico svizzero e affronta i dossier più sensibili per il Ticino
© GABRIEL MONNET
Francesco Pellegrinelli
15.12.2025 06:00

Come evolverà la mobilità ferroviaria nei prossimi anni? A quali scenari si stanno preparando le FFS? Il direttore Vincent Ducrot traccia le prospettive del trasporto pubblico svizzero e affronta i dossier più sensibili per il Ticino: dal futuro delle Officine di Arbedo-Castione al caso FFS Cargo. «La politica non dica “basta tagli”, ma promuova il treno», afferma.

Direttore Ducrot, come si immagina la mobilità ferroviaria svizzera nel 2050?
«In realtà, il 2050 è dietro l’angolo, e presto la politica dovrà decidere come intende sviluppare l’offerta proprio con questo orizzonte temporale. In generale, vogliamo essere più flessibili. L’idea di fondo consiste nel passare da un’organizzazione statica a una gestione più aperta dell’orario. Mi spiego meglio: in futuro, avremo un orario di base, come lo conosciamo oggi, con la possibilità però di integrare, puntualmente, tracce aggiuntive in risposta alle necessità del momento. Tutto ciò sarà possibile attraverso la tecnologia che ci aiuterà a gestire meglio le operazioni. Molto concretamente: se domani dovremo inserire un treno supplementare, il sistema calcolerà come e dove passare, modificando il disegno complessivo».

Riduciamo l’orizzonte al 2040. In Svizzera viaggeranno su rotaia quasi 2 milioni di passeggeri al giorno, circa il 30% in più rispetto a oggi. Come si preparano le FFS?
«Innanzitutto, attraverso un’infrastruttura adeguata. Penso in particolare alle opere di potenziamento decise dal Parlamento, come la galleria del Brüttener a Zurigo o alle migliorie tra Losanna e Ginevra. Ciò ci permetterà di far circolare più treni. Al contempo, i convogli diventeranno più lunghi e capaci, fino a 300 metri per il traffico regionale e 400 metri per le linee a lunga percorrenza».  

In questo contesto si inserisce l’acquisto dei 116 nuovi treni per 2,1 miliardi di franchi dalla tedesca Siemens Mobility. Una decisione che ha suscitato forti critiche da parte di sindacati e politica, senza contare il ricorso al TAF della svizzera Stadler. Come risponde a queste contestazioni?

«Capisco bene, ed è anche comprensibile, che l’opinione pubblica esiga Swissness, preferenza per i fornitori locali, ecc. Occorre però ricordare che siamo vincolati alle leggi sugli appalti pubblici e agli accordi internazionali dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Il bando va gestito secondo regole precise. I criteri sono fissati all’inizio e tutti i partecipanti li conoscono. Una volta definiti, questi criteri vengono applicati in modo rigoroso e – molto semplicemente – vince l’offerta che totalizza il punteggio più alto. Non possiamo introdurre una preferenza nazionale né cambiare le regole a gara in corso. Tutto deve essere verificabile da un tribunale. Per questo ci atteniamo scrupolosamente alle norme approvate dal Parlamento e cerchiamo di agire nel modo più corretto e trasparente possibile. Capisco la delusione di Stadler e comprendo anche le reazioni politiche. Ma è il Parlamento che, nel 2019, ha irrigidito in modo significativo la legge sugli appalti. Gli stessi parlamentari che oggi criticano queste decisioni sono quelli che hanno voluto regole più severe».

Torniamo alla prevista crescita di passeggeri: di pari passo, cambierà anche la cadenza oraria dell’offerta?
«In generale sarà necessario aumentare la frequenza, tenendo conto delle differenze che già oggi osserviamo tra i vari corridoi. Per esempio, sull’asse Nord–Sud la domanda varia molto: in periodi tranquilli una cadenza di 30 minuti è sufficiente, mentre nei giorni di punta bisogna poter salire su un treno ogni 15 minuti. Su altre tratte, invece, come Berna–Zurigo o Losanna–Ginevra, il traffico è costantemente elevato e una cadenza al quarto d’ora è giustificata praticamente tutto l’anno».

La domanda nel trasporto internazionale di passeggeri ha registrato uno sviluppo positivo e presenta ancora un potenziale di crescita. Vogliamo quindi ampliare l’offerta nelle metropoli europee, focalizzandoci sulle connessioni diurne. Il grande problema, a livello internazionale, è la disponibilità delle tracce – proprio come in Svizzera – cioè degli slot necessari per far circolare i treni.

Quando diventeranno concreti questi cambiamenti?
«Non abbiamo ancora tutte le risposte, perché molto dipenderà dal messaggio del Consiglio federale che arriverà in Parlamento l’anno prossimo e sarà verosimilmente discusso nel 2027. Quel messaggio definirà quali infrastrutture si vogliono realizzare all’orizzonte 2035. Se il Parlamento darà il suo via libera, i primi interventi potranno concretizzarsi proprio verso quelle scadenze. Va però ricordato che l’aumento dell’offerta e le infrastrutture necessarie sono decisioni politiche: il Parlamento può confermare le priorità proposte oppure scegliere un’altra direzione. Il Consiglio federale al riguardo ha già chiesto una perizia al professor Ulrich Weidmann, del Politecnico di Zurigo, un riconosciuto esperto sul tema, che ha delineato diverse opzioni e livelli di priorità. Ora, le conclusioni della perizia Weidmann devono essere tradotte in un vero e proprio concetto d’offerta, sul quale sarà il Parlamento a decidere. In sostanza, il processo si chiarirà con il messaggio atteso a metà del prossimo anno, mentre il dibattito parlamentare è previsto per il 2027».

In questo ambito si inserisce anche il tema del traffico internazionale. Qual è la visione delle FFS per questo segmento che richiede un coordinamento con le altre ferrovie europee?
«La domanda nel trasporto internazionale di passeggeri ha registrato uno sviluppo positivo e presenta ancora un potenziale di crescita. Vogliamo quindi ampliare l’offerta nelle metropoli europee, focalizzandoci sulle connessioni diurne. Il grande problema, a livello internazionale, è la disponibilità delle tracce – proprio come in Svizzera – cioè degli slot necessari per far circolare i treni. Oggi abbiamo diverse discussioni in corso con i gestori delle infrastrutture degli altri Paesi per capire entro quando sarà possibile farli circolare. Prendiamo l’esempio di Londra: il mercato è pronto e ci vorrebbero tre o quattro anni per acquistare il materiale rotabile. Ma il vero punto interrogativo è sapere quando ci saranno abbastanza tracce disponibili. Al momento è difficile dare una risposta, perché queste trattative sono ancora in corso e dovranno dirci da quale anno potremo davvero circolare. Ci sono già alcune destinazioni dove è possibile aumentare l’offerta, perché le tracce esistono già oggi, ma la grande difficoltà – nel traffico internazionale – resta sempre la disponibilità di questi passaggi».

La digitalizzazione sta trasformando ogni settore economico. In che modo inciderà sull’infrastruttura ferroviaria e sull’operatività delle FFS?
«Oggi, i nostri operatori devono gestire migliaia e migliaia di informazioni. L’intelligenza artificiale ci aiuterà a calcolare più rapidamente gli orari e a capire dove ci sono spazi liberi per riuscire a far passare un treno in più.  Abbiamo inoltre acquistato scambi digitali di nuova generazione che, tra le altre cose, sono più efficienti e consentono alle FFS di sfruttare al meglio la rete esistente».

Arriviamo la nostro cantone. Iniziamo dalle nuove Officine di Arbedo-Castione. Potete confermare l’investimento, i posti di lavoro e quelli di apprendistato previsti?
«Assolutamente sì. Parliamo di oltre 755 milioni di franchi, 360 posti di lavoro e 80 di apprendistato. Il cantiere procede e sarà un progetto di grande valore. Voglio confermare anche l’importanza delle Officine Cargo di Chiasso, inaugurate nel 2023, per le quali abbiamo investito ingenti risorse di denaro negli anni: quindi smentisco ogni ipotesi di ridimensionamento».

I nuovi contenuti per il quartiere delle Officine di Bellinzona subiranno ritardi. È preoccupato?
«Sappiamo che questo genere di lavori necessita di tanto tempo. Non è una novità. Dinamiche simili le abbiamo già affrontate in altre città con quartieri simili. Sono convinto che le cose procederanno nel migliore dei modi visti anche i buoni contatti con le autorità locali».  

Non è una decisione «contro il Ticino»: il Ticino per noi è una regione centrale, abbiamo più di 2.300 collaboratori. Ma dobbiamo adattare l’organizzazione. I 40 dipendenti coinvolti nel riassetto del traffico combinato e nell’abolizione dei treni di transito non redditizi hanno tutti trovato una nuova posizione all’interno delle FFS in Ticino.

Concludiamo con il tema più delicato, quello che ha sollevato più critiche, ossia la riorganizzazione del traffico merci. Per taluni è un vero e proprio smantellamento che penalizza il Ticino. Qual è la strategia delle FFS e di Cargo?
«In generale, vogliamo aumentare l’efficienza del sistema e concentrarci sui trasporti in cui il treno è davvero competitivo. Noi crediamo fortemente nello sviluppo del traffico merci, ma in maniera più selettiva. Nel caso del traffico combinato, per esempio, concentrandoci su collegamenti più estesi, tra terminal organizzati in modo efficiente. Bisogna sapere che oggi il prezzo del trasporto merci è in calo ovunque. Il treno è estremamente efficace per grandi volumi su lunghe distanze. Ma trasportare solo pochi vagoni da un punto all’altro richiede troppa movimentazione e l’esercizio non è sostenibile».

Questa riorganizzazione è partita dal Ticino: avete deciso di iniziare dall’asse nord–sud. Il Ticino stato scelto come “cavia”?
«Era necessario intervenire su tre ambiti. Il primo riguardava l’Autostrada viaggiante attraverso le Alpi. La sua soppressione era già prevista per il 2028, abbiamo semplicemente anticipato di due anni per motivi economici: circolare in Germania è diventato troppo complicato, la disponibilità dell’infrastruttura è pessima e il traffico di camion sul sistema era in calo. Il secondo ambito era il traffico dei container, il cosiddetto traffico combinato. È vero che ciò ha inciso molto sul Ticino, perché qui avevamo diverse risorse dedicate a un sistema che non veniva praticamente più utilizzato. Se per ogni franco di ricavo se ne perde quasi uno, nessuno può mantenere un sistema del genere. Non è una decisione “contro il Ticino”: il Ticino per noi è una regione centrale, abbiamo più di 2.300 collaboratori. Ma dobbiamo adattare l’organizzazione. I 40 dipendenti coinvolti nel riassetto del traffico combinato e nell’abolizione dei treni di transito non redditizi hanno tutti trovato una nuova posizione all’interno delle FFS in Ticino. Per noi questo è un punto fondamentale. Il terzo ambito è la riforma del traffico a carri isolati, che entrerà in vigore a inizio 2026. Il Parlamento ha deciso di intervenire con misure di sostegno, fissando una serie di parametri che noi applicheremo. Da parte nostra ci impegniamo a rimodellare, con i clienti, la rete per rendere l’offerta più efficiente. È chiaro che questo avrà un impatto sulle risorse. Per ora il Ticino è stato toccato per primo, ma anche il resto della Svizzera sarà coinvolto nella seconda fase».

Avete una stima dei posti che, in questa seconda fase, verranno tagliati in Ticino?
«No, al momento non la conosciamo. Stiamo ancora finendo le discussioni con i clienti. Inoltre, il quadro in cui dovremo operare deve essere definito dal Dipartimento. Solo quando conosceremo il volume di traffico e le condizioni in cui dovremo trasportarlo potremo dire di quante risorse ci sarà bisogno: possiamo però garantire che, come nel caso dei 40 posti di lavoro toccati quest’anno, anche per i futuri tagli legati al traffico a carri isolati presso FFS Cargo sarà proposta una soluzione interna alle FFS, conforme al CCL di FFS Cargo. Non ci saranno pertanto licenziamenti in Ticino. Ma questo lo sapremo solo a metà del prossimo anno. È chiaro però che non possiamo mantenere risorse solo per il desiderio di farlo: sono i clienti a determinare il fabbisogno. Se si vuole aumentare il volume di merci trasportate dal Ticino verso altre regioni – ed è una volontà politica comprensibile – la soluzione non è di dire “mantenete i posti alle FFS”, ma incentivare le aziende a usare di più il treno. Gli strumenti ci sono, a cominciare dal bonus di carico. È uno strumento politico messo a disposizione dal Parlamento e dalle regioni per incoraggiare le aziende a trasportare di più. Questi soldi vanno direttamente alle aziende di trasporto, non alle FFS. Per questo, con l’obiettivo di prezzi che coprano i costi, abbiamo aumentato le tariffe, uniformandole in modo trasparente. Ora tocca alle aziende sfruttare il bonus puntando maggiormente sulla ferrovia, e alla politica promuovere questo strumento per incentivare il trasferimento su rotaia».

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