Due genitori su cinque hanno picchiato i loro figli

Il ricorso alla violenza fisica e e psicologica nell’educazione dei figli è sempre diffuso in Svizzera. Da un sondaggio effettuato dall’Università di Friburgo su un campione di 1013 genitori risulta che quasi la metà dei bambini in Svizzera subisce queste violenze e che quasi il 40% di padri e madri ha già usato punizioni corporali nei confronti del figlio. Il metodo di punizione più frequente è la sculacciata (15%). La violenza fisica scatta quando i genitori si sentono arrabbiati e provocati o quando sono stanchi e con i nervi a pezzi. A quella psicologica ricorre regolarmente un genitore su sei, tramite insulti seguiti da mancanza di affetto. Un terzo degli intervistati ritiene legittimo ignorare il bambino per un lungo periodo di tempo e quasi il 40% considera lecito «urlare o sgridare». Al tempo stesso, però, è aumentata la consapevolezza dei genitori sulla violazione dei limiti nell’educazione: 8 su 10 (il doppio rispetto al 2017) dichiara di farsi dei rimproveri per aver usato punizioni corporali.
Secondo la Fondazione svizzera per la protezione dell’infanzia (mandataria del sondaggio), l’uso della violenza nell’educazione dei figli può avere effetti devastanti, dai danni fisici ai deficit cognitivi o emotivi, fino ai danni psicologici come le depressioni, i pensieri suicidi, l’alcolismo, la tossicodipendenza. «Esigiamo che la Svizzera applichi finalmente, con forze congiunte, la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia» afferma (in un comunicato) Regula Bernhard Hug, direttrice del segretariato generale di Protezione dell’infanzia Svizzera. «È necessaria una legge adeguata per il diritto all’educazione non violenta: l’educazione dei figli è un fatto privato, la violenza sui bambini no. Anche tra i genitori interpellati, quest’idea incontra un ampio consenso: due terzi di loro ha dichiarato di aspettarsi da una tale legge effetti positivi per la promozione di un’educazione non violenta».
La Fondazione, che ieri ha lanciato una campagna di prevenzione, vuole un cambiamento di legge. Oggi, le punizioni corporali sono implicitamente consentite. Nella legislazione svizzera, infatti, non esiste un divieto se sberle e sculacciate non provocano danni evidenti. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, queste punizioni in ambito familiare non sono considerate atti di violenza fisica se non oltrepassano un certo grado accettato dalla società e se il gesto non si ripete troppo spesso.
Il tema è all’ordine del giorno anche Berna. Nel settembre 2021, il Consiglio nazionale ha accolto una mozione che chiedeva di garantire il diritto a un’istruzione senza violenza. Il Consiglio federale si era opposto, ritenendo che i bambini siano già sufficientemente protetti dal Codice penale. L’oggetto è pendente agli Stati.
Secondo Gian Michele Zeolla, direttore della Fondazione ASPI (partner di riferimento per la Svizzera italiana della Fondazione per la protezione dell’infanzia), su questo tema il Ticino è un po’ più avanti rispetto ad altre realtà. «L’anno scorso da Bellinzona è stato mandato un messaggio molto chiaro al Consiglio federale», dice. Il Governo cantonale, dando seguito una mozione approvata dal Gran Consiglio, ha scritto una lettera per chiedere l’adesione all’«Appello di Berna» e iscrivere nel Codice civile il divieto delle punizioni corporali e di altre forme di trattamento degradante dei bambini. Con questa presa di posizione, aveva dichiarato l’Esecutivo, il Ticino intendeva lanciare un segnale inequivocabile contro ogni forma di punizione corporale, confermando la volontà di profilarsi come Cantone particolarmente attento alla tematica dei diritti del bambino.
«Un cambiamento di legge sarebbe un passo avanti considerevole. In Svezia, da quanto una quarantina di anni fa è stato introdotto il divieto di punizioni corporali, il tasso di maltrattamento è drasticamente calato» spiega Zeolla. «Fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo. Ma serve una cultura che non ci fa arrivare a certi punti e che ci insegna passo per passo come affrontare anche situazioni oggettivamente difficili. Poniamoci sempre dal punto di vista del bambino. Che cosa apprende con una sberla? Null’altro che la violenza, che giustifica un comportamento. Da grande farà altrettanto». Secondo Zeolla è giunto il momento di spezzare questo «circolo vizioso» e di introdurre il buon trattamento, il dialogo, la tolleranza, il rispetto. «La legge ha un effetto coercitivo e non solo punitivo. Il fatto di legiferare pone anche la questione al centro dell’attenzione. Bisogna smetterla di banalizzare le cose e dire che una sberla non fa poi male, perché dopo non c’è mai la misura. La misura invece deve essere violenza zero. E da qui si può partire».