Il documentario

Due incidenti aerei e le loro cause in un’ora e mezza davanti alla tv

Dal 18 febbraio è disponibile su Netflix Downfall: il caso Boeing, un prodotto realizzato davvero bene che permette di comprendere i retroscena dietro alla morte di 189 persone in Indonesia, nel 2018, e di altre 157 in Etiopia, quattro mesi dopo – Aerei di linea Boeing 737 MAX schiantatisi al suolo, e sarebbe potuto accadere ovunque
© Netflix
Jenny Covelli
23.02.2022 06:00

Trecentoquarantasei morti. 346. In due incidenti aerei. Due velivoli passeggeri che si schiantano a distanza di meno di cinque mesi. E a pochi minuti dal decollo. La causa? Un sistema di controllo automatico che spinge il muso degli aerei verso il basso, fino all’impatto. E, di quel sistema, chi pilota i due velivoli non ne sa nulla. Non può quindi disattivarlo e muoiono tutti. Uomini, donne, bambini, padri, madri, fratelli, sorelle, figli, figlie, nipoti, mogli, mariti, compagne, fidanzati. 189 vittime in Indonesia il 29 ottobre 2018. Si trovavano a bordo del Lion Air 610 decollato da Giacarta. 157 vittime il 10 marzo 2018, sul volo dell’Ethiopian Airlines 302 partito da Addis Abeba e diretto a Nairobi. Si potrebbe descrivere con queste poche righe quanto è successo con il Boeing 737 MAX 8, il modello coinvolto in entrambe le tragedie. Ma sarebbe un modo estremamente riduttivo. Tanto se n’è parlato, molto si è scritto. E ora ci ha pensato anche Netflix a produrre il suo «spiegone», con il documentario Downfall: il caso Boeing. Un prodotto - diretto da Rory Kennedy - realizzato davvero bene, con un lavoro investigativo accurato e una narrazione estremamente dettagliata e coinvolgente. «Spiegone» proprio perché in grado di chiarire, in un’ora e mezza, tutte le sfaccettature di un caso complesso in un modo facile da seguire, che può essere apprezzato da un pubblico ampio.

I disastri
Due disastri nel giro di quattro mesi e mezzo, dicevamo. Quando il nuovissimo aereo di linea della Lion Air si schianta in mare pochi minuti dopo il decollo, il 29 ottobre 2018, se ne dicono tante. Nei primi giorni l’ipotesi più gettonata è però l’errore umano. Quello del pilota. Perlomeno fino al ritrovamento delle scatole nere. Boeing, la grande azienda produttrice del velivolo, temporeggia e promette di approfondire il problema, che pare legato a un software installato sui nuovi modelli. Ma il 10 marzo 2019 un altro Boeing 737 MAX si schianta, in Etiopia, e la modalità (così come il malfunzionamento alla base dell’incidente) sembra essere la stessa. Si apre il vaso di Pandora.

Il modello
Il Boeing 737 solca i cieli da oltre quarant’anni. Ne sono uscite molte versioni con poche differenze (motore migliore, corpo più lungo). Quando il colosso americano dell’aviazione lancia il 737 MAX 8, lo propone come «il jet più efficiente mai immesso sul mercato». Merito dei nuovi motori che consentono il risparmio del 13% di carburante rispetto al modello precedente. La Boeing ha modificato una struttura vecchia di 45 anni inserendovi dei motori più efficienti ma più grandi, che quindi vanno montati in una posizione più elevata e avanzata rispetto alle ali. Un dettaglio non da poco. Il 737 MAX viene quindi presentato come una versione leggermente aggiornata dello stesso aereo obsoleto. Per il produttore il vantaggio è che serve molto meno tempo per le approvazioni da parte della Federal Aviation Administration (FAA), e per le compagnie aeree non c’è necessità di addestrare ‘‘nuovamente’’ i piloti, risparmiando tempo e denaro. «Se il MAX si fosse rivelato troppo diverso dal 737, per la FAA si sarebbe acceso un campanello d’allarme e avrebbe imposto l’addestramento al simulatore per tutti i piloti di MAX», spiega nel documentario Netflix Michael Goldfarb, analista dell’aviazione. Avrebbero dovuto smettere di pilotare gli aerei di linea e seguire un addestramento di almeno due giorni. La Boeing garantisce quindi alle compagnie che non è necessario. La strategia funziona e il 737 MAX vende molto bene.

Il sistema MCAS, grande colpevole
Ma torniamo ai nuovi motori. Con la posizione più in avanti e più in alto rispetto alle ali, la Boeing teme che, senza apportare modifiche, il muso dell’aereo si impennerebbe troppo, mandando il mezzo in stallo aerodinamico. Così progetta il sistema di controllo automatico MCAS (Maneuvering Characteristics Augmentation System) per spingere il muso in basso qualora si sollevasse eccessivamente. Sistema che durante i test di volo viene notevolmente potenziato, fino a essere in grado di far compiere ampi movimenti allo stabilizzatore orizzontale dell’aereo e di spingere il muso rapidamente verso il basso, anche a basse velocità. È esattamente il malfunzionamento di questo software anti-stallo a causare la caduta del Lion Air 610 e dell’Ethiopian Airlines 302. Entrando in conflitto con altri avvisi di cabina, infatti, il sensore indica per errore ai piloti uno stallo. In questi casi, se il pilota non riconosce subito la segnalazione come erronea e prende gli adeguati provvedimenti, il sistema di pilotaggio automatico prende il controllo e gli equilibratori scattano facendo abbassare il muso per recuperare la velocità che il software ritiene necessaria a superare la fase di stallo. Se ciò avviene dopo il decollo, il software legge e trasmette al pilota informazioni erronee sull’altitudine e il risultato è lo schianto. Qual è il punto? Che i piloti dei due velivoli coinvolti negli incidenti non erano neppure a conoscenza dell’esistenza del sistema MCAS perché, come sopra menzionato, la Boeing ha garantito alle compagnie che non necessitavano di un addestramento approfondito per pilotare i nuovi 737 MAX.

La colpa di Boeing
In realtà il sistema MCAS era completamente nuovo e di un certo rilievo. La Boeing sapeva che se avesse indicato l’MCAS come «nuova funzione», la FAA avrebbe richiesto un collaudo e l’addestramento dei piloti. E non poteva permetterselo. Perciò, indipendentemente dalle modifiche, doveva fingere che il 737 MAX fosse lo stesso aereo venduto precedentemente. Così decide di comunicare alle compagnie che si tratta semplicemente di un’aggiunta al sistema già esistente. Tanto che lo stesso nome, «MCAS», figura solo nella documentazione interna all’azienda. «Hanno scelto di nascondere a tutti, al di fuori della Boeing, l’esistenza del sistema MCAS. Hanno scelto di non comunicare nulla agli ingegneri dell’FAA, anche se avrebbero dovuto», sostiene senza giri di parole Richard Reed, ingegnere presso l’FAA tra il 2007 e il 2017. Andy Pasztor, giornalista di The Wall Street Journal, rincara la dose: «Il Congresso si aspettava delle risposte, le famiglie delle vittime si aspettavano delle risposte. Ma la Boeing ha cercato in tutti i modi possibili di tenere nascosti al pubblico e-mail, documenti e appunti interni». Le implicazioni pratiche sono tragiche e sotto gli occhi di tutti. I trecentoquarantasei morti di cui parlavamo all’inizio.

Dieci secondi per vivere o morire, nell’inconsapevolezza
La Boeing ha progettato l’MCAS - «cruciale per la sicurezza» - perché funzioni con un solo sensore dell’angolo di incidenza. E un sistema tanto importante non può avere neppure una falla. Ma i sensori dell’angolo di incidenza si trovano ai due lati della fusoliera dell’aereo, vicino alla cabina di pilotaggio. Se vi si attacca un palloncino, o si colpisce un uccello, i dati diventano inaffidabili. E se quel sensore è danneggiato o difettoso invia un messaggio errato al sistema MCAS, che di conseguenza cercherà di sottrarre la guida del velivolo ai piloti. Ma attenti, perché non è finita. Il fattore ancora più inquietante emerge dai «Fogli di coordinamento» e riguarda la velocità con cui i piloti possono reagire se il sistema impazzisce. «Per i piloti addestrati a riconoscere questo sistema di pericolo, un tempo di reazione superiore ai 10 secondi corrisponde a una catastrofe». Non c’è scampo. Dieci secondi. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci. E il problema, qui, non è solo il tempo di reazione (tiratissimo), ma che i piloti non sapevano dell’esistenza del sistema, perché non erano addestrati a riconoscere il pericolo. La Boeing lo sapeva. Dai risultati dei test inclusi nelle centinaia di pagine dell’inchiesta avviata dal Congresso degli Stati Uniti emerge che un pilota, confuso dalle informazioni contraddittorie che riceveva, impiega più di 10 secondi per rendersi conto di quanto sta accadendo e quindi eseguire le corrette procedure per neutralizzare il comando che manda in picchiata l’aereo. A Giacarta i piloti della Lion Air non sapevano come funzionasse quel sistema montato sull’aereo che era stato loro affidato, non ne conoscevano neanche il nome. Sono decollati e improvvisamente hanno iniziato a scattare allarmi. Un sensore dell’angolo di incidenza, che era guasto o danneggiato, ha inviato un segnale errato in cabina. L’MCAS è entrato in funzione e ha spinto il muso dell’aeroplano verso il basso. Avevano dieci secondi, era impossibile salvarsi. Dopo dieci secondi erano spacciati.

Gli interessi sopra la sicurezza
A metà settembre 2020 viene reso pubblico, dopo 18 mesi di indagine, il rapporto conclusivo del Congresso statunitense che inchioda la Boeing alle sue gravissime responsabilità per lo schianto del volo Lion Air 610 e del volo Ethiopian Airlines 302. 238 pagine con decine di interrogatori e colloqui, e oltre 600 mila pagine di documenti. I due incidenti in meno di cinque mesi «sono stati il culmine orribile di una serie di ipotesi tecniche errate da parte degli ingegneri della Boeing, una mancanza di trasparenza da parte della direzione di Boeing e una supervisione gravemente insufficiente da parte della FAA». Una questione di interessi e di guadagni, oltre alla paura di farsi superare da un competitor (l’europeo Airbus). Il presidente della commissione della Camera per i trasporti e le infrastrutture Peter DeFazio, al Congresso, si rivolge al CEO di Boeing: «Signor Muilenburg, è risaputo che le pressioni di Wall Street hanno il potere di influenzare le decisioni delle compagnie migliori nel peggiore dei modi, mettendo in pericolo i cittadini e mettendo a rischio il lavoro di innumerevoli diligenti impiegati che lavorano nelle fabbriche. Spero sinceramente che questa compagnia da tempo blasonata non passerà alla storia per questo motivo». Dennis Muilenburg, due mesi dopo, si dimette su richiesta del Consiglio dell’azienda. Riceve premi azionari e pensionistici per un valore di 62 milioni di dollari.

Una multa e poco più
A inizio gennaio 2021 Boeing paga 2,5 miliardi di dollari per chiudere l’inchiesta penale aperta dal Dipartimento di Giustizia per i due disastri aerei. La multa è composta di sanzioni per 243,6 milioni di dollari, di un fondo da mezzo miliardo per le famiglie delle vittime e 1,77 miliardi per le compagnie aeree rimaste danneggiate dalla paralisi del 737 MAX. Costi ampiamente assorbiti, tanto che Boeing fa sapere di dover mettere a bilancio ulteriori oneri straordinari per soli 743,6 milioni nel quarto trimestre del 2020, per coprire l’intesa. Intesa che sospende le incriminazioni - consentendo all’azienda di continuare a ottenere contratti federali -, facendole decadere del tutto a distanza di tre anni in assenza di ulteriori violazioni. «I tragici disastri del volo Lion Air 610 e Ethiopian Airlines 302 hanno portato alla luce condotte fraudolente e ingannevoli da parte di dipendenti di uno dei più grandi produttori di aerei commerciali - dichiara David Burns, alto funzionario del Ministero -. I dipendenti di Boeing hanno scelto la strada dei profitto invece che del candore occultando informazioni materiali per la FAA sulle operazioni del suo aereo 737 MAX e impegnandosi in uno sforzo di insabbiamento del loro inganno». Boeing ammette che due suoi piloti hanno «ingannato» le autorità sulle capacità del sistema di pilotaggio automatico, proprio il software considerato responsabile delle tragedie. L’MCAS. Un’azienda. Due responsabili ufficiali. Trecentoquarantasei morti.