E in bocca quel gusto di Vomitors

Sono stato un grande fan dei Vomitors fin dai loro inizi, nei primi anni 90. E non soltanto perché veniamo dallo stesso paese – Verscio, pardon Varzio – o perché va loro ascritto il merito di avere puntato sul dialetto ticinese, ben prima dell?interesse di riflusso verso tutto ciò che odora di local. La produzione vomitorsiana – ad oggi composta da sette CD da studio, più il recentissimo Live Maggia 2010, coronamento di un?attività ormai ventennale – rivela infatti, a un?analisi paziente, un gruppo di nuclei significativi ben riconoscibili, che negli anni hanno mantenuto una chiara fisionomia.
Per cominciare, è evidente l?impegno nel tenere lo sguardo ben fisso sul contesto e l?attualità ticinesi; le osservazioni micro-sociali dei primi anni 90 (Tam Tam, Berner Boiler, Gratacü d?un Lazzaron, Maronatt e Drizz in tomba, con quell?indimenticabile assolo) – lavori che richiamano, mutatis mutandis, l?esperimento portato avanti dal coevo duo pavese 883, nell?album d?esordio Hanno ucciso l?uomo ragno – riecheggiano in spirito dentro brani attuali come Mannaro, sul ritorno del lupo nei boschi ticinesi, e Verd sui cücümar, satira in stile collage del sistema politico-mediatico cantonale. Nel mezzo, non è mancata qualche ambiziosa incursione sull?attualità internazionale; da (Fö di ball) Eltsin a Classe A, dedicata alle disavventure della piccola Mercedes nel famigerato test dell?alce, fino a gemme quasi dimenticate come Ai loviu @, storia dell?omonimo virus informatico («salta föra i trisch/dal mè pòro hard-disk»).
Certo, ad assumere uno spazio preminente nell?immagine pubblica del gruppo è stata – a partire dall?esperimento di Barachin, dall?album-capolavoro del 1996 A gnè par tücc – la dimensione «punk folk grott», con il repertorio di omaggi alla musica e ai sapori della nostra terra (da Grottin pan e vin a Formacc Grataa e alle reverenti «ospitate» di Toto Cavadini in Na golada). Senza tralasciare le gustose cover di brani internazionali, come Forever Young (diventato Dô l?è sto can), Karma Chameleon (Varda Vardon) e You really got me (Suini) – i Vomitors non hanno inoltre mai abbandonato l?inclinazione alla goliardia e alla demenzialità, che dagli albori di Scimmia del rock, Urco Cucco e Mola Mazzz si è progressivamente fatta più estrema, fino alle derive apertamente trash e triviali di brani come Tampax, Sega, Pitt sül divan, Tarell e l?incontenibile scarica diarroica Feci cacca.
Dove il messaggio si fa più serio, tuttavia, è in una direttrice di senso meno evidente, che affiora poderosa – e ricorrente – nella discografia del gruppo verscese. È una tensione che ha come suo manifesto l?ode al riale morente Riei, e l?esortazione dell?ultima strofa: «Distruggiamo i nostri muri / le nostre fottutissime bugie / nauseati dall?eterno eccesso / (ma quale progresso?) / 1213 – torniam da dove siam partiti / lungo le acque del Riei». Questa vena di aperta e fiera antimodernità – che troviamo poi cristallizzata in brani come Bocia da mond, Via da qua, La Streccia – sintetizza lo smarrimento inevitabile (ma il più delle volte rimosso) che avvertiamo di fronte agli sconquassi del progresso, ed è probabilmente il contributo più sostanziale e «generazionale» dei Vomitors. Canzoni come specchi, nei quali si riflette una realtà giovanile ticinese che – a dispetto dell?inurbamento e dell?omologazione televisiva di costumi e consumi – non ha del tutto rimosso, non fosse che a livello inconscio, la tensione verso un modo di vita più semplice, sobrio e legato alla tradizione, nel senso migliore del termine.