Guerra

E se i russi in fuga dalla leva chiedessero asilo in Svizzera?

Da inizio anno la SEM ha ricevuto 159 domande – «Esaminiamo individualmente e minuziosamente le circostanze dei singoli casi» – L'UE chiede un livello più elevato di controlli di sicurezza e un approccio coordinato alle frontiere
© KEYSTONE (ARKADY BUDNITSKY)
Jenny Covelli
04.10.2022 20:15

In un discorso alla nazione, il presidente russo Vladimir Putin annuncia una mobilitazione «parziale». Era il 21 settembre. Si tratta del richiamo di 300 mila riservisti, ossia – stando alle cifre divulgate dal ministero della Difesa – «l’1% o poco più, l’1,1% della risorsa totale di mobilitazione». Cioè, gli uomini che hanno già servito nell’esercito e in particolare coloro che hanno esperienza di combattimento e specializzazioni militari. Questo sulla carta. Ma la mobilitazione per il fronte ha provocato proteste e un abbandono in massa del Paese, con immagini di lunghe code ai confini che hanno fatto il giro del mondo. Cinque giorni dopo l'annuncio del presidente russo si parlava di 260 mila persone in fuga. Oggi secondo Forbes, che cita fonti vicine all'amministrazione presidenziale della Federazione Russa, sarebbero ben tra 700 mila e 1 milione le persone che hanno lasciato il Paese. Una situazione che ha messo in allarme i Paesi confinanti, ma non solo.

L'ambasciatore ucraino a Berna, Artem Rybchenko, esprimendosi a caldo in un'intervista con la SonntagsZeitung, aveva dichiarato che la Svizzera non dovrebbe concedere asilo politico ai disertori russi, poiché Mosca potrebbe cogliere l'occasione per infiltrare agenti segreti. A suo modo di vedere, la situazione dei russi sarebbe molto diversa da quella degli ucraini, fuggiti da «una guerra contraria al diritto internazionale» e i cui uomini sono rimasti per difendere il Paese. «Gli uomini russi semplicemente fuggono invece di opporre resistenza nel proprio Paese».

Rifugiato riconosciuto

Già, perché tra i russi in fuga potrebbe esserci qualcuno che bussa alle porte svizzere. Potrebbe sembrare prematuro, ma abbiamo chiesto alla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) le cifre. Da inizio anno sono state inoltrate 159 domande di asilo (pari all'1% sul totale). In settembre (il dato è provvisorio) Berna ne ha ricevute 31. La SEM precisa poi che la mera obiezione di coscienza o diserzione non implica il riconoscimento della qualità di rifugiato, perché la conseguente punizione non è dovuta a uno dei motivi contemplati dalla Legge sull’asilo (LAsi). «Se però sussistono circostanze specifiche per cui la punizione non si fonda soltanto sull’obiezione di coscienza (o diserzione), ma su uno dei motivi rilevanti per l’asilo ed è sproporzionatamente severa, o se oltre all’obiezione di coscienza vi sono fondati timori di essere vittima di una persecuzione, l’obiettore di coscienza o il disertore soddisfa i criteri per la qualità di rifugiato e viene riconosciuto come tale. La SEM, pertanto, «esamina individualmente e minuziosamente le circostanze dei singoli casi». Altrimenti detto: disertare la leva obbligatoria non dà diritto all’asilo in Svizzera, tuttavia altri criteri possono essere presi in considerazione. Ogni caso andrà valutato singolarmente. Motivo per cui, allo stato attuale, nessuna delle 159 domande d’asilo da parte di cittadini russi è stata evasa. «La mobilitazione è avvenuta il 21 settembre, è ancora troppo presto per fornire delle risposte», spiegano da Berna.

Il dilemma europeo

L'esodo di cittadini russi in fuga dalla chiamata al fronte divide l'Unione europea. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si è inizialmente detto favorevole «in linea di principio» all'ipotesi che l'Europa apra le sue porte. «Se in Russia le persone sono in pericolo a causa delle loro opinioni politiche, perché non seguono questa folle decisione del Cremlino di lanciare questa guerra in Ucraina, dobbiamo tenerne conto». Gli stati baltici, la Finlandia, la Lituania e la Polonia si sono mostrati più intransigenti. Lo scorso venerdì la Commissione ha aggiornato le linee guida sui visti esortando gli Stati membri ad applicare un livello più elevato di controlli di sicurezza e un approccio coordinato nelle valutazioni individuali delle domande di visto dei cittadini russi e nei controlli alle frontiere esterne dell'Unione. «Se una persona in fuga dalla mobilitazione militare prevede un soggiorno di lunga durata nell'UE, i consolati dovrebbero trattare il caso in base alle norme nazionali applicabili ai visti per soggiorni di lunga durata. Per quanto riguarda i visti di breve durata, i consolati sono invitati ad applicare eventuali deroghe per motivi umanitari in modo restrittivo. Spetta agli Stati membri, sulla base di un esame individuale, valutare se alle domande dei cittadini russi possa applicarsi la categoria dei motivi umanitari». Fondamentale è (viene ripetuto) l'approccio coordinato alle frontiere dell'UE con la Federazione Russa, «per evitare che un cittadino russo cui sia stato negato l'ingresso a una frontiera sia ammesso presso un'altra frontiera». E per evitare che un Paese «accogliente» si ritrovi subissato di richieste.

In Svizzera, precisa la SEM, le condizioni d'ingresso ordinarie continuano ad applicarsi anche ai cittadini russi. Condizioni che variano in funzione dello scopo (turismo, visita ai parenti, lavoro, ricongiungimento familiare, studio) e della durata del soggiorno (breve o lungo).

Anche il Ticino scrive a Berna

Anche il gruppo di lavoro sull'Ucraina istituito dal Consiglio di Stato ticinese ha interpellato la SEM in merito all'eventualità di dover organizzare un sistema di accoglienza per i cittadini russi in fuga. «Al momento da Berna non vengono segnalate problematiche - ci conferma Ryan Pedevilla, capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione -. La casistica non è presente nei loro centri di richiedenti l'asilo». Ma in futuro potrebbe rendersi necessaria l'applicazione del sistema di riparto tra Cantoni per un’attribuzione tramite procedura d’asilo ordinaria. «A quel punto dovremo creare un dispositivo supplementare per far fronte anche a questa tipologia di richiedenti l’asilo».

Resta la questione ideologica. La Russia ha varato una legge esplicitamente punitiva con condanne più dure per chi diserta, per chi si arrende o per mancata comparizione alla leva: dai cinque ai 15 anni di reclusione. Tuttavia, Andrei Klimov, capo della commissione del Consiglio della Federazione per la protezione della sovranità statale, ha dichiarato che i cittadini russi che se ne sono andati dopo l'annuncio della mobilitazione possono tornare in qualsiasi momento «senza conseguenze legali, ma una grave responsabilità morale non può essere evitata da coloro che sono fuggiti».

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