Salute

È tardi, sei stanco, ma non molli: quando il letto può attendere

Si chiama procrastinazione del sonno (o della buonanotte) e ci siamo dentro tutti – «Non riuscire ad andare a dormire al momento previsto senza che nessuna circostanza esterna lo impedisca» – Ne parliamo con il dottor Mauro Manconi, responsabile del Centro del sonno
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Sei stanco, hai sonno, ma non vai a letto. «Ancora un attimo». Per tirare il fiato, curiosare un po’ su Instagram, leggere un ulteriore capitolo, finire la partita online, guardare «solo un altro episodio». Sono le 2 del mattino e sei sul divano, con gli occhi che si chiudono e la sveglia puntata alle 6.30. Benvenuto nel bàofùxìng áoyè. Un termine usato in Cina per descrivere la «ritorsione nel non andare a dormire presto». Una «vendetta» (in origine) contro il datore di lavoro che annulla completamente la persona rubandole ogni energia e spazio di libertà durante la giornata. Bedtime procrastination in inglese. Procrastinazione del sonno (o della buonanotte) in italiano. Sono queste le locuzioni che definiscono il fenomeno psicologico in cui una persona ritarda il momento di andare a dormire per avere il controllo sulle sue scelte e dedicarsi a momenti «per sé», considerato che durante il giorno è stata inghiottita dalla routine, dal lavoro, dalla cura dei figli, e non ha avuto «un attimo per respirare». Una sorta di lampo di libertà quando fuori è buio e il mondo si spegne. Si sacrifica il sonno restando svegli fino a tardi per dedicarsi ad attività o comportamenti che durante la giornata è stato impossibile mettere in atto a causa dell’assenza di tempo libero. Insomma, il sonno può attendere.

Un momento mio, troppo dolce per andare a letto
Anche se il fatto di rimandare il momento in cui si va «a nanna» esiste da anni, il termine «procrastinatori del sonno» figura per la prima volta in un articolo del 2014 pubblicato sulla rivista Frontier in Psychology che presenta il fenomeno come causa del sonno insufficiente. I ricercatori della Utrecht University sono giunti a una definizione più generica: «Non riuscire ad andare a dormire al momento previsto senza che nessuna circostanza esterna lo impedisca». Gli scienziati, diretti dalla Dott.ssa Floor Kroese, hanno intervistato 177 persone sulle loro abitudini generali, quelle legate al sonno, gli orari e la stanchezza percepita durante il giorno. Sono inoltre state valutate su autocontrollo, consapevolezza e impulsività. Stando ai risultati, quella del sonno è associata ad altri problemi noti di procrastinazione e a disturbi dell’autoregolazione. Ma «non si tratta di mancanza di voglia di dormire, piuttosto non si riescono a lasciare le attività in corso». Le persone, semplicemente, non hanno tempo a sufficienza per sé durante il giorno e quindi lo «rubano» al sonno. Anche se poi, la mattina seguente, si svegliano stanche.

Si rifiutano di andare a dormire presto al fine di riconquistare un certo senso di libertà durante le ore notturne

Lo studio del 2019 pubblicato su Frontiers in Neuroscience indica tra i più vulnerabili alla procrastinazione del sonno le donne e gli studenti. Che restano svegli fino a tardi nonostante sappiano che così non dormiranno abbastanza e si sentiranno a pezzi. A fine giugno 2020 la giornalista e scrittrice Daphne K. Lee ha descritto il fenomeno in un tweet diventato virale: «Le persone che non hanno il controllo sulla loro vita diurna si rifiutano di andare a dormire presto al fine di riconquistare un certo senso di libertà durante le ore notturne». I bimbi sono finalmente a letto dopo mille capricci, la casa è silenziosa, non ci sono avvisi di riunioni che compaiono sul computer. Il momento è mio. E, anche se domani mi servirà una tazza di caffè in più, questi istanti sono davvero troppo dolci per «sprecarli».

«Tra dieci anni un avviso sugli energy drink»
«La procrastinazione è una strategia di adattamento basata sulle emozioni», afferma Tim Pychyl, professore di psicologia presso l’Università Carleton di Ottawa e autore del libro Solving the Procrastination Puzzle. «Non è un problema di gestione del tempo, è un problema di gestione delle emozioni». Ma il mantenimento di buone abitudini di sonno è una delle chiavi per una vita sana. Non riposare a sufficienza può avere conseguenze sul fisico e la mente: difficoltà di concentrazione, minore controllo sulle emozioni, mancanza di energie, rischio maggiore di depressione, sonnolenza, sensibilità alle dipendenze. Lo conferma il Prof. Dr. med. Mauro Manconi, caposervizio di Neurologia presso il Neurocentro della Svizzera italiana e responsabile del Centro del sonno: «Dormire poco genera seri problemi, intacca la qualità di vita, aumenta il rischio di depressione, può essere causa di incidenti. E riduce la capacità decisionale. Che, se rapportata ad alti livelli, può portare a delle ripercussioni sociali non di poco conto». Il medico dell’EOC è convinto che questo «sarà un tema di cui si discuterà nei prossimi trent’anni», considerato che attualmente se ne ha una scarsa cultura. «Se oggi un avviso di pericolo compare sulle sigarette – aggiunge provocatoriamente –, tra dieci anni sarà presente anche sugli energy drink».

Giornate piene per carriera e immagine
Il Centro del sonno, presso l’ospedale Civico di Lugano, ospita una media di 2.500 pazienti l’anno. Il 20-25% di loro presenta problemi di sonnolenza diurna e colpi di sonno. «Il nostro compito è esplorarne le possibili cause e tra la più frequente vi è proprio la mancanza di sonno, il dormire troppo poco la notte. E non per disturbi specifici, ma a causa di abitudini errate». Il dottor Manconi descrive il prototipo: l’uomo adulto in carriera che a tarda sera colloca una serie di attività ludiche o personali che è costretto a infilare in quel momento della giornata perché il resto è dedicato al lavoro. «Ecco perché la Bedtime procrastination – che fa parte della deprivazione cronica del sonno, sindrome del sonno insufficiente – è stata definita come una sorta di revenge (vendetta) psicologica. Su sé stessi e contro l’andamento sociale, che ci costringe a relegare ‘‘l’altro’’ alla sera dopo aver riempito la giornata di appuntamenti lavorativi e familiari, con la convinzione che nulla possa essere limitato in quanto la conseguenza (falsa) sarebbe di una ripercussione negativa e deleteria su immagine, carriera e personalità».

Qualcosa di giusto (tempo per sé) viene messo nel momento sbagliato, togliendo tempo al sonno

Una sorta di circolo vizioso, insomma. Lo stress accumulato nel corso della giornata alimenta il bisogno di riposo, relax e il desiderio di dedicarsi a cose gradite. La persona si ricava quindi una «nicchia» nella fase di pre-addormentamento. Ma se l’attività genera veramente piacere, crea una reazione di «eccitamento» e va a complicare la fase di addormentamento seguente. Il risultato finale è che mancano ore di sonno e si riducono le capacità cognitive e le performance, comprese quelle lavorative. Lo stesso lavoro per cui si è in origine «sacrificati». Se, però, si rinuncia al «tempo per sé», ci si convince di essere divenuti aridi, di non avere spazio da dedicare ad attività piacevoli, e ci si spinge comunque verso un possibile burnout. «Il cuore del problema è l’aspetto psicologico. Analizzando i nostri pazienti ci siamo accorti che il punto non è il ‘‘cosa’’, ma il ‘‘quando’’. Qualcosa di giusto (tempo per sé) viene messo nel momento sbagliato, togliendo tempo al sonno».

La «pennichella come rimedio»
Ma quante sono le ore di sonno di cui mente e corpo necessitano? «Dipende ovviamente dalla fascia d’età, ma per gli adulti gli studi parlano di almeno sei ore a notte costanti. Se sono di meno, si rischiano ripercussioni negative. Che esistano persone che necessitano di sole 4-5 ore – taglia corto il dottor Manconi – non è veritiero». Sono due gli aspetti in comune tra i pazienti: la scarsa consapevolezza e l’automedicazione, che consiste nel ricorrere a caffè ed energy drink. «Capita che personalità manageriali, politici e gente che occupa posizioni di rilievo non si rivolga al Centro del sonno di sua spontanea volontà. Sono le persone che gli ruotano attorno ad allarmarsi perché li vedono addormentarsi durante conferenze stampa o alle riunioni. Non hanno la capacità di rendersene conto né di agire di conseguenza». Il primo passo è quindi rendere il soggetto consapevole, per poi poterlo curare.

La soluzione non è medica, ma sociale

«La soluzione dal punto di vista medico è estremamente difficile. Non è scontato uscire da questo loop di abitudini, anche se ti vengono chiaramente documentata la qualità del sonno e una scarsa resistenza diurna. Una possibilità è la terapia cognitiva-comportamentale in più sedute». Un esempio? Al manager di alto livello che non ha intenzione di modificare nulla nella sua vita «introduciamo il sonnellino pomeridiano nell’agenda lavorativa. Creiamo addirittura una camera del sonno sul suo posto di lavoro. Un power-nap dato dalla necessità di recuperare tempo in una società con elevata attività di tenore e stress. Come le capsule del sonno in Giappone: la gente vi si ferma per dormire 20 minuti durante la giornata».

La procrastinazione del sonno, pertanto, non è solo un concetto in voga. Ma un problema emergente. «La soluzione del futuro, a mio modo di vedere, non è medica ma sociale – conclude il dottor Manconi, anche professore di Neurologia all’Università di Berna -. Personalmente, sono fermamente convinto che la società del domani debba interrogarsi seriamente sulla possibilità di ridurre l’orario di lavoro. Un problema più politico che medico. Dove è stato applicato le ripercussioni sono estremamente positive, sia in termini di qualità di vita che delle performance, e le finanze sembrano non risentirne».

Ora appoggiate il telefono sul comodino, disconnettetevi da Netflix, spegnete la luce e andate a dormire.