Ecco come distinguere la scienza dalla magia

MILANO - Il mistero farà anche paura, ma incanta. Saghe letterarie come i best seller di Dan Brown, (proprio in questi giorni viene proposta la trasposizione cinematografica del suo romanzo «Inferno») o fumettistiche (come Dylan Dog, protagonista alla fiera del fumetto da poco conclusasi a Lugano) attestano l'ineffabile fascino che gli argomenti inspiegabili esercitano anche sulle menti più scientifiche del XXI secolo. Perfino fenomeni studiatissimi, come la liquefazione in un'ampolla del sangue di san Gennaro (l'ultima è avvenuta qualche settimana fa a Napoli tra le mani del cardinal Crescenzio Sepe), a metà strada fra religione e paranormale, continuano ad interrogare lo spirito critico di chi vi assiste. Attendendo il simposio dedicato al tema «Magia e scienza» che fra pochi giorni si terrà in Ticino (vedi articolo a pag. 3), abbiamo cercato di fare il punto sul braccio di ferro tra discipline scientifiche e pratiche magiche o pseudoscientifiche con Stefano Bagnasco, fisico italiano e membro del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), autore del saggio I ferri del mistero. Strumenti e idee della scienza per esplorare l'insolito, scritto con Andrea Ferrero.
Professor Bagnasco, il linguaggio scientifico viene spesso usato anche in ambiti non scientifici, per esempio nel campo delle terapie alternative, suscitando pesanti critiche nel mondo medico ufficiale. Non si esagera un po'?
«La scienza da un lato ha un linguaggio e dall'altro un metodo, un modo di pensare e delle regole. Se una disciplina cerca di mimare il gergo della scienza senza rispettarne le regole diventa una pseudoscienza. Diventa cioè qualcosa che vorrebbe avere la credibilità data dal fatto che il metodo scientifico utilizza strumenti concettuali che sono stati elaborati nei secoli, e propone una descrizione il più possibile precisa della natura, nei limiti che sappiamo fare. Ma senza rispettarne le regole, appunto. E se non rispetti le regole non puoi arrivare a delle conclusioni condivisibili: in pratica quello che hai fatto non è scienza».
Dal vostro osservatorio del CICAP si tratta di un fenomeno diffuso?
«Sì, il CICAP si è occupato inizialmente del paranormale, ora ci siamo spostati su un altro campo: proprio quello delle discipline che volutamente sfuggono alle regole della scienza pur cercando di mimarne il linguaggio. Per esempio molte medicine alternative».
Esempi recenti?
«Il caso Stamina (una terapia contro le malattie neurodegenerative incurabili che prevede la somministrazione di un ''cocktail'' di cellule staminali ideato da Davide Vannoni, che però non ha mai pubblicato ricerche scientifiche sul proprio «metodo» e sugli effetti sui pazienti, nella cura di particolari malattie, n.d.r.). Era un caso di pseudoscienza molto sottile perché soltanto andando ad esaminare la documentazione prodotta da Vannoni ci si rende conto che le regole del lavoro scientifico erano disattese: gli studi non erano documentati, non c'erano campioni di controllo. Lo si poteva dedurre dal fatto che non c'era accesso ai dati, che è una delle caratteristiche del lavoro scientifico. Ma il linguaggio di Vannoni non era quello di un ciarlatano, bensì quello di una persona che si pone all'interno della scienza affermando di avere fatto le sperimentazioni e di aver raggiunto determinati risultati».
E i risultati terapeutici? In altre parole: se poi uno guarisce anche se il metodo terapeutico non è scientifico?
«Questo è un altro discorso. Il punto è che non puoi spacciarlo per scienza. Se i risultati del tuo lavoro non vengono pubblicati attraverso i canali ufficiali c'è un problema. Non sono ufficiali per caso, lo sono perché le pubblicazioni scientifiche seguono un certo percorso che permette di far sì che vengano controllate e possano essere considerate conoscenza condivisa. La pubblicazione su una rivista scientifica subisce un processo che si chiama "peer review" (revisione paritaria, n.d.r.) in cui viene valutata da un certo numero di esperti dello stesso campo disciplinare che devono verificare che le regole della scienza siano state rispettate nell'arrivare al risultato proposto».
Ma come si verifica se c'è stato un errore?
«L'errore si può verificare solo cercando di verificare il risultato. Se il risultato si può replicare più volte allora si è sicuri che la conoscenza sia corretta. Ma se non si arriva ad avere una pubblicazione fatta secondo queste regole non si può neanche cominciare».
Se non è corretto utilizzare il linguaggio della scienza nella magia, voi però studiate la magia utilizzando il metodo della scienza.
«Noi partiamo dall'idea che qualsiasi fenomeno fisico misurabile può essere osservato con gli strumenti della scienza. E quando può esserlo, secondo noi deve esserlo. Certo, la scienza non è l'unico modo di conoscenza possibile, ma è quello privilegiato perché permette di ottenere una conoscenza condivisibile. Noi chiediamo che vengano applicati questi standard elevati di conoscenza anche a quelle cose a cui di solito non si applicano. Lo facciamo per due ragioni: la prima è che altrimenti si avalla una pseudoscienza che può essere usata per trarre in inganno il pubblico; la seconda perché a noi interessa spiegare ai cittadini come funziona la scienza e il metodo scientifico per fare in modo che non venga ingannato».
La scienza, storicamente, nasce da antiche discipline e saperi che scientifici non erano. Si è passati dall'alchimia alla chimica, per esempio.
«Certamente. Ma non si può parlare di pseudoscienza medievale. Nel Medioevo l'alchimia non era una pseudoscienza. Prima di tutto perché non c'era ancora il concetto di metodo scientifico, Galileo non era ancora nato. Il punto è che nella lenta e complicata transizione tra le conoscenze prescientifiche la scienza, quello che rimane uguale al passato diventa pseudoscienza. L'astrologia può essere una forma di conoscenza prescientifica fino ad un certo punto della storia, ma poi si separa dall'astronomia e quello che rimane – se non cambia – diventa pseudoscienza. L'alchimia è un precursore della chimica, ma quello che ne rimane adesso è pseudoscienza, o comunque una forma di conoscenza diversa, chiamiamolo esoterismo, che non è scienza».
Ma dove si ferma la scienza? Non esiste anche la tendenza a dare spiegazioni scientifiche di fenomeni che non sono scientificamente spiegabili?
«Buona domanda. Ma andrebbe posta più a un filosofo che a uno scienziato. Tutto quello che posso spiegare con la scienza bene, qualunque altra cosa ci provo: se ci riesco bene, se no ci riuscirà qualcun altro».
Riformulo la domanda in modo diverso: come vi ponete di fronte a fenomeni scientificamente inspiegabili?
«Ci sono argomenti che non si possono affrontare col metodo scientifico perché sono soggettivi: i gusti personali, i sentimenti, eccetera. E ci sono delle cose inspiegabili scientificamente. Ma se si tratta di cose misurabili, più che inspiegabili sono inspiegate. Potranno esserlo in un futuro prossimo. Come fisico so che ci sono molte domande irrisolte nella fisica».
Per esempio?
«La più ovvia: che cos'è la materia oscura? Perché vediamo soltanto una piccola frazione di tutto quello che c'è nell'universo? Se misuriamo quanta massa c'è nell'universo il risultato è un certo numero. Ma se contiamo quello che vediamo viene fuori solo il 4% di tutto questo. Tutto il resto che cos'è? Non lo sa nessuno».
E se ci fosse una spiegazione di tipo magico, soprannaturale?
«Preferisco dire che non sappiamo cos'è. Ma prima o poi lo sapremo, ne sono convinto».
Il mistero esiste anche per la scienza.
«La scienza ne è piena, se ne nutre. Gli scienziati non si occupano solo delle cose che sanno spiegare. Tipicamente noi scienziati ci occupiamo delle cose che non sappiamo spiegare. Quello è il nostro mestiere. Le cose già spiegate possono poi essere sfruttate per imparare cose nuove o costruire tecnologicamente nuove cose».