Giustizia

Ecco perché Assange è a un passo dall'estradizione

L'Alta Corte britannica ha respinto anche l'ultimo ricorso del whistleblower, al quale ora resta solo un'ultima possibilità per evitare di essere consegnato negli USA, dove rischierebbe una pena di 175 anni in un carcere di massima sicurezza
© EPA/FACUNDO ARRIZABALAGA
Irene Solari
10.06.2023 21:00

Il braccio di ferro legale che vede Julian Assange contrapporsi alla richiesta di estradizione delle autorità statunitensi sta andando avanti ormai da 13 anni e sembra essere arrivato ormai a un passo dalla conclusione. Le ultime mosse si stanno giocando in questi giorni sulla scacchiera della giustizia britannica, dove il whistleblower attende di conoscere il proprio destino. Facciamo insieme il punto della situazione.

L’appello respinto

Julian Assange sarebbe sempre più vicino all’estradizione verso gli Stati Uniti, dopo che anche l’ultimo appello presentato all’Alta Corte del Regno Unito è stato respinto. «Pericolosamente vicino», come riferiscono famigliari e osservatori di questa lunga diatriba legale al Guardian, temendo che l’attivista possa finire per passare tutta la vita in un carcere di massima sicurezza Oltreoceano.

La sentenza da parte del tribunale britannico è stata emessa questo martedì. Nelle tre pagine il giudice Jonathan Swift ha respinto tutti gli otto motivi di ricorso avanzati dal team legale di Assange. Un ricorso che vuole, appunto, contrapporsi alla decisione delle autorità che darebbero il via libera all'estradizione dell'attivista verso gli Stati Uniti. Un ordine di estradizione – ve ne avevamo parlato qui – firmato dall'allora ministro degli Interni britannico Priti Patel un anno fa. Proprio su questo documento vertevano i punti sollevati nel ricorso di Assange: sostenendo che Patel, in qualità di ministro, avesse commesso un errore giuridico nell'approvare l'estradizione. Poiché tale richiesta avrebbe violato il trattato di estradizione in vigore tra Stati Uniti e Regno Unito, che stabilisce che «l'estradizione non sarà concessa se il reato per il quale è richiesta l'estradizione è un reato politico». Tesi da sempre sostenuta dai legali di Assange, per i quali la volontà delle autorità americane di processare il whistleblower «è politicamente motivata». In un altro punto il ricorso sostiene anche – sempre secondo le fonti del Guardian – «che Assange è stato perseguito e che la richiesta di estradizione stessa è un abuso della procedura». Non solo, i legali di Assange hanno affermato che «il governo statunitense ha costantemente travisato i fatti fondamentali del caso ai tribunali britannici».

L'ultima possibilità

Resta ancora una possibilità prima che le vie di ricorso a livello nazionale siano esaurite. Possibilità alla quale gli avvocati non vogliono rinunciare, continuando a dare battaglia fino alla fine. I legali hanno infatti annunciato che ricorreranno nuovamente in appello presso lo stesso tribunale. Dopo il rigetto delle motivazioni contenute nell'ultimo ricorso, infatti, rimane ancora un ultimissimo passo possibile nei tribunali britannici, come spiega il Guardian: «La difesa ha cinque giorni lavorativi per presentare un ricorso di 20 pagine a una commissione di due giudici, che convocherà un'udienza pubblica». In questa udienza pubblica Assange si giocherà il tutto per tutto. Non esistono, infatti, altre possibilità di appello a livello nazionale. Non nazionali, dicevamo, ma resterebbe comunque l'opzione per il whistleblower di opporsi all'estradizione appellandosi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Corte alla quale Assange avrebbe già inviato una richiesta in tal senso.

Cosa è successo

Un percorso lungo e tortuoso, quello intrapreso dall’attivista e giornalista e dai tribunali che vorrebbero incriminarlo per le sue rivelazioni. Tutto è iniziato nel 2010, quando ad Assange viene contestato di aver diffuso oltre 700 mila documenti secretati sulle attività belliche e diplomatiche svolte dagli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq. Nelle carte venivano portati alla luce denunce di crimini di guerra e abusi commessi dagli americani durante questi conflitti. Le informazioni vengono fornite ad Assange da Chelsea Manning, ex-militare statunitense e analista di intelligence nella guerra in Iraq. Finita anche lei nell’occhio del ciclone come whistleblower, accusata di aver trafugato e consegnato a WikiLeaks numerosi documenti coperti dal riserbo – si parla di decine di migliaia – mentre svolgeva il proprio incarico bellico. Manning è stata riconosciuta colpevole di diversi reati contro la sicurezza nazionale statunitense ed incarcerata. Mentre, nei confronti di Assange, Washington ha emanato una richiesta di estradizione. Dando il via a una battaglia giudiziaria che dura ormai da 13 anni e che sta mettendo a dura prova la resistenza psicofisica dell'attivista, come hanno riferito i famigliari al quotidiano britannico.

Fino a 175 anni di carcere

Per la giustizia americana, Assange deve rispondere di 18 capi di imputazione tutti relativi alla pubblicazione dei documenti riservati da parte di WikiLeaks. Se il tribunale britannico dovesse decidere per la sua estradizione verso gli Stati Uniti, rischierebbe una condanna con una pena complessiva che prevede fino a 175 anni di carcere. Anche se, dietro le sbarre, Assange si trova ormai da quattro anni: detenuto nel carcere britannico di Belmarsh, dove lamenta condizioni di salute precarie e da dove ha contestato la decisione di estradizione.

L’appello di RSF

C’è molta preoccupazione per l’imminente sentenza dell’Alta Corte che potrebbe determinare l’estradizione di Assange. È quanto ha dichiarato Rebecca Vincent, direttrice delle campagne di Reporters Sans Frontieres al Guardian. «È assurdo che un singolo giudice possa emettere una decisione di tre pagine che potrebbe portare Julian Assange in prigione per il resto della sua vita e avere un impatto permanente sul clima del giornalismo in tutto il mondo». Aggiungendo anche un messaggio rivolto al presidente americano Joe Biden. «Il peso storico di ciò che accadrà non può essere sopravvalutato; è ora di porre fine a questo accanimento contro Assange e di agire invece per proteggere il giornalismo e la libertà di stampa. Il nostro appello al presidente Biden è ora più urgente che mai: faccia cadere queste accuse, chiuda il caso contro Assange e ne consenta il rilascio senza ulteriori ritardi».

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