L'analisi

Banche ben regolamentate, ma c’è spazio per migliorare

Nel Global Financial Regulation, Transparency, and Compliance Index il nostro Paese è nel «top ten»
L’internazionalità della Svizzera comporta un «rischio inerente» all’antiriciclaggio più elevato. © CdT/Gabriele Putzu
Dimitri Loringett
19.05.2023 23:00

Con la débâcle di Credit Suisse è tornata d’attualità la questione della regolamentazione bancaria. In Svizzera (ma non solo) la politica chiede più regole per scongiurare future crisi come quella appena sfiorata. Ma in materia di regolamentazione finanziaria la Svizzera non è carente. Anzi. Nel confronto internazionale il nostro Paese figura nel «top ten» del Global Financial Regulation, Transparency, and Compliance Index (GFRTCI), l’indice calcolato dallo Swiss Finance Institute (SFI) che lo scorso 10 maggio ha presentato i risultati per il 2023.

Ogni anno, dal 2020, lo SFI pubblica l’indice che valuta e classifica un insieme di 31 Paesi (membri sia dell’Ocse, sia del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria) in termini di conformità, adozione e applicazione di una serie di standard globali di regolamentazione finanziaria. Nella classifica generale la Svizzera occupa l’ottavo posto ed è l’unico Paese fra i primi dieci dell’indice che non è membro dell’Unione europea. Inoltre, «nessuno dei sette Paesi davanti alla Svizzera è una piazza finanziaria», osserva Luca Soncini, docente di Strategie bancarie all’USI e membro del Consiglio dello SFI, nonché relatore ospite all’evento di presentazione del GFRTCI 2023, aggiungendo che per la nostra piazza e per il nostro ruolo di leader nel Wealth Management a livello mondiale «risulta essenziale essere posizionati tra i primi».

Due sottoindici a confronto

Nel dettaglio, l’indice calcolato dello SFI si compone di due sottoindici, uno relativo al grado di attuazione della regolamentazione, l’altro al contesto politico e applicazione delle normative in generale. Nel primo, la Svizzera si colloca al 23. posto, ma la graduatoria si basa su solo tre indicatori: il rapporto del Comitato di Basilea sullo stato di avanzamento dell’implementazione delle regole di Basilea III (dove siamo «i primi della classe», osserva Soncini); la valutazione dell’Ocse sulla conformità relativa alle disposizioni sullo scambio di informazioni; e la valutazione del Comitato di Basilea sull’adozione delle norme di antiriciclaggio. Nel secondo sottoindice, invece, la Svizzera è quarta: in questo caso sono considerati molti più indicatori, quali la valutazione di The Economist Group sul livello di democrazia in un Paese, il livello di corruzione rilevato da Transparency International, il grado della libertà d’impresa e l’efficacia giudiziaria valutati dalla Heritage Foundation.

Stando allo SFI, le ragioni per il 23. posto della Svizzera nel primo sottoindice, «pur essendo pienamente conformi, con lo Swiss Finish, all’attuazione delle raccomandazioni del Comitato di Basilea, sono da ricercare negli elementi dei rispettivi sottocomponenti». In generale, rilevano gli esperti dello SFI, «sembra che la maggior parte dei Paesi continui a compiere passi significativi verso l’attuazione e l’applicazione della regolamentazione finanziaria, della trasparenza e della conformità».

«C’è ancora lavoro da fare»

«In generale, la Svizzera è comunque messa bene», afferma Soncini. «C’è però spazio di miglioramento e lo si deve occupare per continuare a dimostrare che seguiamo alti standard di qualità a tutti i livelli, in primis a livello di trasparenza e nella lotta al riciclaggio. Per esempio, nell’ambito dello scambio d’informazioni c’è il tema del registro societario (in Svizzera è in corso da tempo un dibattito politico circa la «profondità» a livello di trasparenza (azionisti, dati ecc.) del registro pubblico delle società , ndr), altrimenti mi sembra che il vero sforzo da fare è politico e diplomatico per cambiare la percezione di piazza d’altri tempi e ottenere risultati. Purtroppo a volte si ha proprio l’impressione che non siamo riusciti a far capire i grandi cambiamenti degli ultimi 15 anni, il famoso “Paradigm Shift”, che nella realtà ha costituito un cambiamento strutturale e di cultura fondamentale per l’industria bancaria».

Riguardo invece l’antiriciclaggio, il nostro interlocutore ci tiene a ricordare che «siamo una piazza finanziaria internazionale, i clienti vengono da ogni parte del mondo e in questo siamo sicuramente particolari nel confronto delle altre piazze. Questo significa che il cosiddetto “rischio inerente” all’antiriciclaggio in Svizzera è oggettivamente più alto. Bisogna quindi accettare l’altra faccia della medaglia di questa storica apertura al mondo e dobbiamo, quindi, dotarci di skills e dispositivi rigorosi (e costosi) che ci mettano al riparo da situazioni critiche e da danni reputazionali per tutti ogni volta che scoppia qualcosa. Il numero di procedure di “enforcement” chiuse ogni anno dalla Finma sul tema dell’antiriciclaggio sembra dimostrare che c’è ancora lavoro da fare».

Quindi più regole ancora per la compliance? «No - risponde sicuro Soncini -, si tratta di affinare quelle che ci sono per renderle efficaci. Anche i regolatori, mi risulta, si stanno interrogando che cosa dovrebbero fare per essere meno formali e burocratici e più efficaci verso gli istituti. E lo stesso si chiedono le banche, puntando sulle tecnologie per identificare, dentro volumi enormi di transazioni, i casi veramente critici. E poi, dobbiamo tornare a guardare i fondamentali. Contro il riciclaggio è importante il “day one”, quando si acquisisce un cliente, perché è li che si fa la prima ed essenziale selezione per evitare problemi alla banca e alla piazza».