Banche centrali, il cambio di rotta e i successi contro l’inflazione

Le maggiori banche centrali sono state protagoniste di un ampio cambiamento di linea e ora registrano alcuni successi non secondari nella lotta contro l’inflazione. Dopo aver sottovalutato molto a lungo il riemergere dei rincari, i principali istituti centrali nel 2022 hanno finalmente cambiato posizione e hanno attuato rilevanti rialzi dei tassi di interesse. Il ritardo accumulato in precedenza - con l’indicazione insistita di un presunto rischio di deflazione (diminuzione dei prezzi) – li ha portati a dover accelerare nell’aumento del costo del denaro. Nonostante questa accelerazione forzata, le banche centrali nella loro versione anti rincari sin qui stanno vincendo la sfida centrale: abbassare di molto l’inflazione, senza però arrivare ad una recessione internazionale provocata dal freno alla domanda legato all’incremento dei tassi.
Le cifre
La battaglia contro i rincari eccessivi non è ancora terminata, ma i progressi su questo terreno sono visibili. Alcuni esempi. Gli Stati Uniti hanno registrato il picco di inflazione su base annua con il 9,1% del giugno 2022, mentre nell’agosto 2023 hanno archiviato un 3,7%. L’Eurozona ha avuto il suo picco di fase con il 10,6% dell’ottobre 2022 e il mese scorso era al 5,3%. Il Regno Unito ha registrato il suo massimo con l’11,1% (indice CPI) sempre nell’ottobre dell’anno scorso e nel luglio di quest’anno era al 6,8%. La Svizzera ha avuto il suo picco con il 3,5% dell’agosto dell’anno passato e un anno dopo, cioè il mese scorso, era all’1,6%. Il Giappone ha avuto il suo massimo con il 4,3% del gennaio 2023 ed era al 3,3% nel luglio scorso. L’obiettivo delle maggiori banche centrali è avere un’inflazione media annua del 2%, dunque ancora non ci siamo, ma i miglioramenti sono evidenti. La Svizzera, che ha come obiettivo la fascia 0%-2%, è dal canto suo tra i Paesi meglio messi.
Nonostante i lievi rimbalzi dell’inflazione negli USA tra luglio ed agosto, nel complesso l’onda degli aumenti dei tassi ha avuto sin qui successo. Ciò è vero per gli Stati Uniti, ma anche in buona sostanza per l’Europa. Quanti criticano gli incrementi dei tassi europei indicano spesso che nel Vecchio continente più che altrove l’inflazione alta è arrivata con il balzo dei prezzi dell’energia (accentuato dall’invasione russa dell’Ucraina), non con il buon livello della domanda, come negli USA. In questa posizione c’è una parte di verità, ma non tutta la verità. È vero che dal 2022 soprattutto in Europa si è sentito molto il peso dei rincari del settore energia (peso poi peraltro ridimensionato), ma è anche vero che pure alle latitudini europee il parziale freno alla domanda, legato ai tassi più alti, ha giocato per la sua parte il ruolo anti inflazione.
Le mosse
Nei giorni scorsi la Banca centrale europea ha alzato di un quarto punto i tassi di riferimento sull’euro, portando il principale al 4,5%. Al tempo stesso, il vertice BCE nelle sue affermazioni ha però lasciato intendere che il lavoro anti inflazione è già stato fatto per una quota importante. Questa settimana ci saranno le decisioni di altre banche centrali di primo piano. L’americana Federal Reserve, che è stata tra le prime a iniziare la battaglia anti inflazione, deve decidere se attuare un altro ritocco all’insù del tasso di riferimento sul dollaro USA (che è al 5,5%) o se restare ferma; molti analisti indicano come più probabile questa seconda ipotesi, vedremo. Discorso analogo per la Banca nazionale svizzera, che pure deve decidere se alzare il tasso sul franco (che è all’1,75%) o anche no, visti i risultati già ottenuti. Più complesso il quadro per la Bank of England (tasso al 5,25%), che deve fare i conti con un‘inflazione britannica che è diminuita meno che altrove. Un altro mondo è quello della Bank of Japan (tasso ancora -0,10%), che deve decidere se rimanere dove è da molto tempo, o muoversi.
La crescita
Le previsioni delle maggiori istituzioni economiche non indicano recessioni annue mondiali. C’è un rallentamento economico internazionale, questo sì, ma sono molto pochi i Paesi per i quali è previsto un segno negativo annuo. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, sin qui hanno indicato previsioni di crescita mondiale tra il 2% e il 3%, sia per il 2023 sia per il 2024. Quanto alla Svizzera, la Segreteria di Stato dell’economia sinora ha indicato una crescita elvetica dell’1,1% nel 2023 e dell’1,8% nel 2024 (PIL corretto dagli eventi sportivi). Vedremo nei prossimi giorni le nuove previsioni di Berna, ma sulla base dei dati disponibili pare difficile che venga indicato un segno negativo annuo per l’economia rossocrociata.