Berna stringe su UBS, per evitare un altro caso Credit Suisse

Dalle parole ai fatti, o quasi. Dopo il collasso di Credit Suisse e dopo mesi di scambi diremmo quasi epistolari tra il Consiglio federale (o meglio, il Dipartimento federale delle finanze, DFF) e i vertici di UBS sulle paventate nuove e rafforzate regole per le banche di rilevanza sistemica (systemically important bank, SIB), il primo ha calato sul tavolo le proprie carte, presentando il suo ampio pacchetto di misure volte a rafforzare la regolamentazione esistente delle SIB, che saranno sottoposte a consultazione in più fasi a partire dal prossimo autunno.
Tra queste misure figurano requisiti patrimoniali più severi per le SIB con filiali estere, requisiti aggiuntivi per il loro risanamento e liquidazione, l’introduzione di un regime di responsabilità per i dirigenti di queste banche (senior manager regime) e maggiori poteri per l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma). Il Consiglio federale ha inoltre avviato un processo di consultazione per le misure che devono essere attuate direttamente a livello di ordinanza. L’obiettivo dichiarato del Governo è quello di scongiurare il ripetersi di una crisi come quella che ha coinvolto Credit Suisse nel marzo del 2023 e di rafforzare la piazza finanziaria svizzera, riducendo quindi i rischi per lo Stato, i contribuenti e l’economia nel suo insieme.
Fino a 26 miliardi di dollari in più
Stando al messaggio governativo presentato quest'oggi, il DFF vuole obbligare UBS a capitalizzare completamente le sue filiali estere: «La crisi di Credit Suisse ha reso evidente che la base di capitale della sede centrale svizzera era insufficiente», ha dichiarato la direttrice del Dipartimento Karin Keller-Sutter. Attualmente, UBS è tenuta a coprire il 60% del capitale delle sue filiali estere con capitale presso la casa madre. Il Consiglio federale propone che le SIB dovranno in futuro dedurre integralmente il valore contabile delle filiali estere dai fondi propri di base di qualità primaria della casa madre svizzera (la cosiddetta «deduzione delle partecipazioni») e non coprire parzialmente le partecipazioni con fondi propri, come avviene oggi.
Tradotto in termini finanziari, il DFF ha stimato che per soddisfare i nuovi requisiti UBS dovrebbe aumentare il proprio capitale Common Equity Tier 1 (CET1, ovvero il capitale azionario e le riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte) di circa 18 miliardi di dollari, portando quindi i fondi propri CET1 a 26 miliardi (circa 21 miliardi di franchi). Per UBS, invece, la cifra sarebbe molto più alta (fino a circa 42 miliardi di dollari, cfr. ultimo paragrafo). La banca sarebbe tuttavia autorizzata a ridurre di 8 miliardi di dollari le sue obbligazioni Additional Tier 1 (AT1, strumenti di capitale aggiuntivo) ottenendo così un aumento netto del capitale going concern (continuità aziendale) di pari importo. Tuttavia, il Governo si è astenuto da misure di aumento generalizzato dei requisiti patrimoniali, che considera meno adeguate.
Per stimare i costi di finanziamento della misura, il DFF ha commissionato due perizie esterne, una del professor Heinz Zimmermann e una della società Alvarez & Marsal. Secondo la prima, ad esempio, 20 miliardi dollari di fondi propri di base supplementari di qualità primaria comporterebbero un incremento di 640 milioni dollari circa dei costi medi annuali complessivi di finanziamento. La stima di Alvarez & Marsal, invece, parla di 0,8–1,3 miliardi dollari.
Le nuove proposte sul capitale saranno sottoposte a consultazione in autunno, prima di essere presentate al Parlamento. Karin Keller-Sutter ha dichiarato che le riforme diventeranno legge «al più presto» all’inizio del 2028, mentre a UBS sarà concesso un periodo di transizione di «almeno sei-otto anni» per attuare le modifiche una volta che la legislazione sarà entrata in vigore.
Costi e scenari
Ma quale potrebbero essere le conseguenze di questa proposta legislativa? «Indipendentemente dall’importo esatto del capitale che UBS dovrà raccogliere (per esempio emettendo nuove azioni, ndr) per soddisfare i proposti requisiti di legge, l’operazione avrà un costo soprattutto in termini di redditività e, di conseguenza, di competitività, specie sui mercati esteri», commenta il professore emerito di Teoria finanziaria all’USI Giovanni Barone Adesi.
I vertici di UBS hanno sempre sostenuto, infatti, che i requisiti patrimoniali aggiuntivi danneggerebbero la sua capacità di competere a livello internazionale. Ma il DFF la vede diversamente: «La crescita all’estero è ancora possibile», sostiene il Dipartimento diretto da Karin Keller-Sutter.
«Il Consiglio federale insiste sulla necessità di rafforzare i fondi propri, anche se il caso CS dimostra che il problema principale e decisivo non è stato il capitale e punta sulla deduzione del valore contabile delle affiliate dal capitale di classe 1», commenta il consulente indipendente ed esperto di materia bancaria Luca Soncini. «Le simulazioni - continua - mostrano incidenze percentuali che potrebbero apparire contenute sul CET1 e sul Leverage Ratio di UBS (e che non risolvono certo il “peccato originale” della finanza di essere sempre e troppo “in leva”), ma che peseranno sull’attrattività della grande banca sul suo mercato di riferimento, oltre che su clienti e personale (perché quei punti percentuali andranno recuperati in redditività)».
«Più capitale potrebbe anche essere una buona cosa per UBS - osserva dal canto suo il professor Barone Adesi - perché si rafforza l’immagine di solidità della banca nei confronti dei clienti. Penso in particolare al segmento del private banking e del wealth management, che sono centrali per la banca. Tuttavia, un simile “vantaggio” rimarrebbe marginale se la gestione della banca venisse affidata a dirigenti inadeguati».
In passato la banca guidata da Sergio Ermotti ha più volte accennato alla possibilità di trasferire la sede verso lidi meno «zelanti» dal profilo della regolamentazione. Ancora Barone Adesi: «Non credo che questo sia uno scenario plausibile, è però più verosimile che UBS possa decidere di riallineare le proprie attività. Ma se il legislatore dovesse mettere troppa pressione sulla banca, si potrebbe ipotizzare che UBS si ristrutturi in una “holding company”, con più banche ognuna capitalizzata per conto proprio. Ma non credo che questo convenga».
Più poteri alla Finma
Fra le altre misure a livello di legge, il DFF vuole in primo luogo l’introduzione di un regime di responsabilità, un provvedimento caldeggiato soprattutto dalla Finma. Concretamente, le banche dovranno definire in un documento quali siano le persone responsabili di determinate decisioni al loro interno. Ciò dovrebbe consentire di attribuire chiaramente le responsabilità in caso di comportamento scorretto e di infliggere sanzioni mirate. Di fatto, il DFF vuole estendere le competenze della Finma che potrà disporre di misure più precocemente e in modo più efficace. All’autorità di vigilanza sarà concesso, tra le altre cose, di infliggere multe - sanzioni amministrative pecuniarie - contro istituti che commettono infrazioni e, non da ultimo, sancire il divieto dell’esercizio della professione.
Oltre a queste misure, il Consiglio federale ha deciso di estendere il potenziale di approvvigionamento di liquidità attraverso la Banca nazionale svizzera (BNS). Da un lato, si intende sancire a livello di legge semplificazioni giuridiche per il trasferimento di garanzie dalle banche alla BNS. Dall’altro saranno introdotte disposizioni a livello di ordinanza che obbligheranno le banche a predisporre garanzie per l’ottenimento di liquidità attraverso la BNS e altre banche centrali. Per le SIB ciò avverrà con l’introduzione di un requisito quantitativo minimo.
Restituzione dei bonus
In aggiunta alle sanzioni, le nuove direttive impediranno l’erogazione di bonus che compromettano i fondi propri. In caso di cattiva gestione, sarà possibile ridurre o annullare i bonus non ancora versati e, novità significativa, richiedere la restituzione di quelli già erogati tramite clausole di «clawback» (recupero). Tuttavia, non si prevede una limitazione diretta delle componenti variabili delle retribuzioni per evitare effetti collaterali indesiderati come l’aumento dei salari fissi, puntando invece a un equilibrio tra incentivazione e prudenza per la stabilità finanziaria.
«È su questo armamentario di misure che si deve puntare (e punta la Finma da anni su tutti gli istituti assoggettati) per evitare disastri come quello del CS o anche minori e, in generale, migliorare solidità e reputazione del sistema finanziario svizzero, con in primis le regole di governance, la capacità di dotarsi di strategie equilibrate e capaci di mitigare i rischi, il che significa: lavorare più su secondo e terzo pilastro di Basilea 3 e allinearsi allo standard too big to fail senza ambire a distinguersi laddove non ha impatto», commenta infine Luca Soncini
«Siamo d’accordo, ma...»
UBS critica aspramente le norme per le banche di rilevanza sistemica annunciate dal Consiglio federale. Secondo i suoi calcoli, le imporrebbero di accumulare fino a 42 miliardi di dollari supplementari di coefficiente patrimoniale CET1. In una nota, la banca afferma di sostenere in linea di principio la maggior parte delle proposte normative presentate oggi, ma è decisamente in disaccordo con l’aumento estremo dei requisiti patrimoniali annunciato dalla «ministra» delle Finanze Karin Keller-Sutter.
Queste modifiche porterebbero a requisiti patrimoniali che non sono proporzionali o allineati a livello internazionale, prosegue UBS, che negli ultimi mesi si è fortemente opposta alle nuove misure in termini di capitale aggiuntivo. Secondo i calcoli della banca e in considerazione dell’obiettivo di coefficiente CET1 compreso tra il 12,5% e il 13%, avrebbe bisogno di 24 miliardi di dollari (19,7 miliardi di franchi), ai quali si aggiungerebbero 18 miliardi di dollari di cui UBS ha bisogno in seguito all’acquisizione di CS.
Per il momento e poiché queste misure non entreranno in vigore prima del 2027, UBS ha mantenuto l’obiettivo di un rendimento dei fondi propri CET1 di circa il 15% e di un rapporto tra spese e ricavi inferiore al 70% entro la fine del 2026.
La reazione in Borsa è stata comunque positiva, con il titolo UBS che ha chiuso la seduta a 27,88 franchi (+3,8%).