Criptovalute

Binance, causa collettiva dal Ticino a Milano

Swiss Blockchain Consortium ha raccolto e coordinato le denunce di centinaia di investitori che ritengono di avere subito un danno finanziario dal malfunzionamento di uno degli exchange più grandi al mondo - Michele Ficara Manganelli: «È possibile aderire all’azione giudiziaria gratuitamente»
Il mondo cripto non è fatto solo da monete virtuali.
Generoso Chiaradonna
16.09.2022 06:00

Ci sono in ballo decine di milioni di euro e centinaia di investitori che sperano di recuperare, se non tutto, almeno parte delle ingenti perdite subite. Stiamo parlando della class action - supportata dallo Swiss Blockchain Consortium con sede a Lugano - intentata contro Binance.com, ritenuta una della principali piattaforme di exchange del mondo delle criptovalute. «Si tratta di una causa collettiva civile che mira a ottenere il capitale perso da centinaia di operatori», ci spiega Michele Ficara Manganelli presidente di Swiss Blockchain Consortium. Gli investitori, in maggioranza italiani, ma non solo, «chiedono il risarcimento delle perdite subite, si parla di decine di milioni, a causa delle interruzioni del funzionamento della piattaforma Binance in momenti di trading particolarmente critici», continua Ficara.

Ma andiamo con ordine. La vertenza con Binance.com va avanti da oltre un anno, precisamente dal 15 luglio del 2021 quando Binance entrava nel mirino della Consob, l’autorità italiana di vigilanza sulle attività finanziarie.

Nell’ambito del suo compito di contrasto all’attività finanziaria abusiva, cioè svolta senza l’autorizzazione della Banca d’Italia alla prestazione di servizi di investimento, Consob rendeva pubblico che Binance non aveva le necessarie licenze. «È un modo per rendere attenti i risparmiatori e gli investitori che quella società che offre servizi finanziari via web in realtà non è abilitata a farlo», continua Michele Ficara Manganelli. Nel caso in questione le società del gruppo Binance non avrebbero potuto offrire «servizi e attività di investimento in Italia, nemmeno tramite il sito www.binance.com le cui sezioni denominate derivatives e Stock Token, relative a strumenti correlati a criptoattività, sono risultate in precedenza redatte anche in lingua italiana», si legge sul sito di Consob. Nel frattempo Binance ha costituito una sede legale anche in Italia e ottenuto l’iscrizione nel registro pubblico OAM.

«Il problema non era che Binance operasse con criptovalute, ma che offrisse prodotti finanziari strutturati pur non essendo autorizzata», continua Ficara. Gli aderenti alla class action contestano che a causa di interruzioni dei server di Binance non è stato possibile operare correttamente sulla piattaforma perdendoci tanti soldi. Con la class action si chiede - si legge sul sito apposito binanceglobalclassaction.com - oltre alla restituzione degli importi investiti, anche «il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della violazione della disciplina in materia di negoziazione e offerta al pubblico di strumenti finanziari derivati c.d. “futures” su criptovalute, nonché delle anomalie relative al funzionamento della piattaforma di trading gestita dall’operatore in questione». All’azione giudiziaria - ricorda Ficara - è possibile aderire fino all’ultimo momento, anche a causa in corso - ma prima di una sentenza - e senza anticipare spese di alcun tipo».

Lo studio legale incaricato è Alexia Avvocati di Milano guidato da Francesco Dagnino. «Come Swiss Blockchain Consortium ci siamo occupati di coordinare le richieste giunte dall’Italia e dal Ticino. Ma le vertenze legali sono state avviate in almeno 25 giurisdizioni, tra cui gli Stati Uniti per circa 500 milioni di dollari». Un tentativo di accordo extragiudiziale c’è però stato. «Il fondatore stesso di Binance - Changpeng Zhao, tra gli uomini più ricchi del mondo secondo Forbes - aveva fatto sapere, con un post pubblico su Twitter, che avrebbe rifuso le perdite e invitava a prendere contatto. Il problema è che la società aveva proposto solo il 10% del totale. Somma ritenuta irrisoria e per questo rifiutata dagli investitori».