Storia economica

Cinquant’anni fa la fine dei cambi fissi, ancora oggi si cerca un nuovo ordine

Il 15 agosto 1971 cadde il sistema di Bretton Woods e il presidente Nixon annunciò alla TV che il dollaro non poteva più essere convertito in oro – Nel 1973 prese il via l’era dei cambi fluttuanti – Da allora iniziò un periodo di instabilità che perdura fino ai giorni nostri
La caduta del legame fra dollaro americano e oro ha portato a guerre valutarie e commerciali che proseguono ancora ai nostri giorni. ©SHUTTERSTOCK
Roberto Giannetti
12.08.2021 22:47

«L’orrore, l’orrore... ». Forse molti di voi ricorderanno la celebre frase del colonnello Kurtz nel cult movie Apocalipse Now, in cui descriveva il dramma della guerra del Vietnam, che costò agli Stati Uniti migliaia di morti e una cocente sconfitta. Ma la tenacia dei vietcong ebbe anche un effetto molto più vasto: provocò addirittura la caduta del sistema monetario di Bretton Woods, basato su un ancoraggio della valuta americana all’oro e i cambi fissi. Infatti fino al 1971 una oncia di oro valeva esattamente 35 dollari e tutte le altre monete avevano un cambio fisso con il biglietto verde. Questo aveva garantito dopo la Seconda guerra mondiale una grande stabilità monetaria che favorì il miracolo economico dell’Occidente. Tuttavia il 15 agosto 1971 tutto questo ebbe fine e il presidente americano Richard Nixon annunciò a tutti gli americani tramite una conferenza televisiva, tanto era importante, la decisione di non garantire più la convertibilità del dollaro in oro. E questo provocò nel 1973 la fine dei cambi fissi, causando un disordine monetario contrassegnato da svalutazioni competitive e guerre commerciali, che portò ad un sempre maggiore interventismo da parte delle banche centrali, che dura ancora oggi, per cercare di gestire le economie nazionali.

Ma come mai possiamo fare risalire alla guerra del Vietnam la fine del sistema di Bretton Woods? Semplicemente perché per finanziare il conflitto i politici americani per motivi elettorali non vollero aumentare le tasse, ma utilizzarono le riserve di oro. All’epoca gli Stati Uniti detenevano la metà delle riserve di metallo giallo mondiale e per finanziare la guerra del Vietnam utilizzarono 12 mila tonnellate d’oro, mettendo a rischio le loro riserve auree. A questo si aggiunse anche il progetto della «Great Society» del presidente Lyndon Johnson, che mirava all’eliminazione della povertà e dell’ingiustizia razziale. Tutto questo provocò ingenti deficit di bilancio, che a loro volta portarono a grandi disavanzi commerciali, pagati con la stampa di dollari. Il crollo del sistema avvenne quando le banche centrali estere iniziarono a chiedere oro in cambio dei dollari in loro possesso.

Fu così che Nixon decise di abbandonare la corrispondenza oro-dollaro. Il sistema valutario da organizzato e sicuro si trasformò in un mondo senza certezze, con grandi fluttuazioni e l’inizio della speculazione sui cambi che mise (e mette) sotto pressione i Governi. Ma come era nato il sistema dei cambi fissi di Bretton Woods, che si basa sull’accordo raggiunto nella omonima cittadina statunitense nel New Hampshire? La conferenza, che raggruppava i rappresentanti di 44 nazioni, iniziò appena tre settimane dopo lo sbarco in Normandia. L’obiettivo era ambizioso: creare un sistema monetario che impedisse il ripetersi della guerra. Ricordiamo che alla salita al potere di Hitler contribuì anche la disastrosa iperinflazione negli anni Venti, che praticamente distrusse la classe media tedesca. Lo scopo esplicito era di «assicurare la stabilità dei tassi di cambio fra monete, prevenire le svalutazioni competitive e promuovere la crescita economica». Così venne istituito un sistema che si basava sull’oro, ma non direttamente, nel senso che la parità con l’oro veniva stabilita solo per il dollaro, il quale a sua volta aveva un cambio fisso con le altre monete. Ma questo implicava che chiunque lo avesse voluto poteva altre monete. Ma questo implicava che chiunque lo avesse voluto poteva cambiare i propri dollari in oro fisico.

Le avvisaglie del crollo

Già nel gennaio 1965 il presidente francese De Gaulle aveva deciso di chiedere agli Stati Uniti la conversione in oro di una parte delle riserve di dollari posseduti dalla Banca di Francia. L’allora ministro dell’Economia e delle Finanze francese, Valéry Giscard d’Estaing, definì apertamente il sistema di Bretton Woods «un privilegio esorbitante» per gli americani. «Il fatto che molti Paesi - disse De Gaulle - accettano come principio che i dollari siano buoni quanto l’oro porta gli americani a prendere in prestito gratuitamente a spese di altri Paesi».

La strada era ormai segnata. Negli anni seguenti vi fu una corsa a cambiare i dollari in oro e per gli Stati Uniti divenne insostenibile mantenere la parità di 35 dollari l’oncia, come venne ammesso da Nixon.

Conseguenze enormi

Le conseguenze di questa decisione furono enormi e in quel momento si verificò la nascita dei mercati dei cambi (forex) come li conosciamo oggi. Fra l’altro iniziò anche una incontrollata corsa alla stampa di moneta da parte delle banche centrali, che ha contribuito alla crescita dei mercati finanziari e in generale alla perdita di valore della moneta. Pensiamo solo al fatto chenel 1971 una oncia d’oro valeva 35 dollari e oggi 1.800. Ancora oggi si discute di quali potrebbero essere le soluzioni per portare una certa stabilità nel sistema monetario, le cui fluttuazioni rappresentano un grande rischio per il sistema industriale e per i Paesi. Si è pensato a un ritorno all’oro, oppure all’uso dei Diritti speciali di prelievo dell’FMI, ma non si è ancora giunti ad una soluzione.

La forza del franco e la difficile posizione della Svizzera

Il nostro Paese è praticamente da sempre caratterizzato da un forte surplus della bilancia commerciale, il che rende strutturalmente forte la moneta nazionale. Infatti la Svizzera non ha avuto vita facile dalla fine del sistema di Bretton Woods, paradossalmente a causa di un franco troppo forte che, soprattutto negli ultimi anni, ha rischiato di danneggiare l’economia interna e che ha portato il totale del bilancio della BNS a superare i mille miliardi, a seguito degli acquisti di valute estere per calmierare il franco. Ma questa pressione risale anche a prima della fine dei cambi fissi, avvenuta ufficialmente nel 1973. Già nel corso del 1971 la moneta elvetica fu rivalutata per ben due volte. Inoltre furono inasprite le restrizioni all’importazione di capitali. Ciononostante la massa monetaria continuò ad espandersi notevolmente, provocando un forte aumento dell’inflazione. Questa evoluzione fu favorita anche dal notevole rialzo dei prezzi petroliferi a partire dal 1971.

Poi, nel gennaio del 1973, la BNS sospese gli acquisti di dollari, in seguito ad una forte pressione sul rapporto di cambio con il dollaro. La Svizzera fu così il primo Paese a lasciar fluttuare liberamente il suo tasso di cambio. Il sistema di Bretton Woods crollò definitivamente nel febbraio del 1973. Con l’abbandono del vincolo di cambio, la BNS fu per la prima volta nelle condizioni di controllare l’offerta di moneta secondo i bisogni specifici dell’economia svizzera. Il valore del dollaro americano superava i 4 franchi all’inizio del 1971, per poi indebolirsi repentinamente. Nel 1975 era già sceso a 2,50. E il movimento è continuato nei decenni successivi, tanto che ora il biglietto verde quota solo 0,92 franchi.

Nel secondo dopoguerra solo gli Stati Uniti (fino al 1968) e la Svizzera mantennero una copertura aurea per le banconote circolanti. Dopo il conflitto la BNS si era opposta a una «demonetizzazione» dell’oro, ciò che la indusse anche a una posizione scettica nei confronti della politica dell’FMI. Solo nel 1999 le Camere federali decisero di sopprimere il vincolo del franco all’oro. La Svizzera si è astenuta a lungo dall’aderire alle istituzioni di Bretton Woods, temendo soprattutto l’internazionalizzazione del franco. Ma nel 1992 il popolo votò l’adesione alla Banca mondiale e all’FMI. La Svizzera occupa da allora un seggio nel Consiglio di amministrazione delle due istituzioni.