Indagine

Competenze cercansi: in Ticino le aziende faticano a trovare i profili richiesti

Dallo «SkillMatchSurvey» di Supsi-DECS emerge un quadro che evidenzia un certo «disallineamento» tra domanda e offerta di lavoro
Oltre il 50% delle assunzioni avvenute l’anno scorso è stato caratterizzato da difficoltà nel reclutamento, specie nelle professioni tecniche, intellettuali e scientifiche. © Cdt/Chiara Zocchetti
Dimitri Loringett
12.10.2025 22:00

Nel mercato del lavoro in Ticino qualcosa non torna. Le imprese vogliono assumere, ma spesso faticano a trovare le figure che cercano. È il fenomeno del «mismatch» (disallineamento) fra chi cerca lavoro e chi lo offre: stando allo SkillMatchSurvey-Ticino 2024 condotto da Supsi e dal DECS (Divisione della formazione professionale), oltre il 50% delle assunzioni avvenute o programmate l’anno scorso è stato caratterizzato da difficoltà nel reclutamento.

Lo studio ha coinvolto oltre 1.400 aziende con almeno due dipendenti dei settori secondario e terziario, evidenziando le difficoltà di reperimento, le competenze richieste e le strategie adottate dalle aziende per colmare il divario. Le criticità maggiori si registrano nelle professioni tecniche intermedie (72%), intellettuali e scientifiche (67%) e conduttori di impianti e macchinari (64%) – posizioni, quindi, che richiedono personale qualificato. Il problema è sia quantitativo (27,2% delle nuove assunzioni), sia qualitativo (22,7%). In alcuni comparti, come informatica e comunicazione, per ovviare alle difficoltà si ricorre al reclutamento oltre i confini cantonali (il fenomeno riguarda oltre il 55,6% delle nuove assunzioni in questi due settori).

Eppure, le università ticinesi, USI e Supsi, vantano percorsi formativi di punta in queste due discipline. Va però precisato che il mismatch non fa rima con «occupabilità»: stando ai due istituti ticinesi, infatti, circa il 97% dei laureati trova impiego al termine del proprio percorso formativo. Nel dettaglio, il 77% dei laureati Supsi occupati esercita la propria professione in Ticino, il 10% in altri cantoni svizzeri e il 13% all’estero; riguardo a quelli dell’USI, il 40% lavora nel cantone, il 29% in altre regioni svizzere e il 31% in altri Paesi (di cui in Italia il 17%).

«Soft skills» cercansi

Le aziende ticinesi interessate dall’indagine non cercano solo titoli di studio, ma anche competenze concrete. Tra le più richieste: comunicazione in italiano, conoscenze digitali di base e lingue straniere. Ma soprattutto abilità trasversali (soft skills): più della metà delle aziende riconosce un bisogno di miglioramento o acquisizione delle abilità trasversali tra i propri dipendenti (come autonomia, flessibilità, capacità di lavorare in gruppo e problem solving). Più in generale, il 42% delle aziende interrogate ha segnalato dipendenti con competenze da adeguare, indicando fra le cause l’introduzione di nuove tecnologie, pratiche e processi lavorativi e prodotti.

Mercato segmentato

Dall’indagine Supsi-DECS emerge che il fabbisogno formativo in Ticino è poco omogeneo. La formazione professionale di base (CFP, AFC, maturità professionale) è il titolo minimo richiesto nel 42% dei casi, soprattutto nelle piccole e medie imprese. I titoli universitari sono richiesti nel 20% dei casi, ma con una forte concentrazione nelle grandi aziende e in settori come l’istruzione, l’informatica e quello finanziario.

Curiosamente, la scuola dell’obbligo resta il titolo minimo per oltre un quarto delle nuove assunzioni, con punte nel turismo, nei trasporti e nell’industria metalmeccanica. Un dato che racconta di un mercato del lavoro ancora molto segmentato, dove convivono esigenze altamente specialistiche e profili operativi di base.

Strategie aziendali

Per far fronte al disallineamento tra domanda e offerta, il 12% delle aziende ticinesi assume personale fuori cantone o all’estero (PMI 13%, grandi aziende 10,1%). Altre strategie includono incentivi aziendali (11,1%), retribuzioni sopra la media e formazione interna. Le grandi aziende puntano più su incentivi (18,6% vs. 6,3%) e stipendi elevati (16,1% vs. 7,2%), mentre le PMI preferiscono formare internamente figure con competenze simili (12,3% vs. 7,8%).

Formazione continua

Oltre alla ricerca di nuove forze lavoro, le aziende ticinesi sono piuttosto attive nella formazione continua dei loro dipendenti. Il 60% delle aziende interpellate ricorre alla formazione professionale per adulti, il 40% a corsi con certificato e il 66% a formazione «on the job».

Ma non tutte le imprese si muovono allo stesso ritmo e molte non si sono mosse affatto. Oltre tre quarti delle aziende che non hanno investito in formazione, infatti, hanno motivato la scelta con la piena corrispondenza tra le competenze dei dipendenti e i bisogni aziendali. La percentuale sale all’84% tra le medie imprese e raggiunge il 100% tra le grandi. Tra le piccole aziende, emergono invece ostacoli più concreti: il costo dei corsi (8%) e la chiusura dell’attività (7%). Per le medie imprese, a pesare è la mole di lavoro, che limita la disponibilità del personale a partecipare alla formazione (8%).

Un problema svizzero

Il fenomeno del disallineamento tra domanda e offerta di lavoro non è un’anomalia ticinese. La Rilevazione svizzera della struttura dei salari (RSS) conferma che, anche a livello nazionale, il mercato del lavoro è dominato da profili con titoli di apprendistato, seguiti da quelli con scuola dell’obbligo e formazione universitaria. La differenza, semmai, sta nella densità del fenomeno: in Ticino, la difficoltà di reperimento supera, come detto, il 50% delle nuove assunzioni, con punte oltre l’80% in settori come l’istruzione. In altri Cantoni, la maggiore disponibilità di manodopera qualificata e la presenza di poli universitari più strutturati contribuiscono a ridurre il divario.