L'intervista

«Con gli scontri commerciali non ci saranno mai vincitori»

A tu per tu con Luigi Buttiglione, CEO della LB MACRO di Lugano
Gian Luigi Trucco
11.03.2025 06:00

LB MACRO fornisce da Lugano servizi d’analisi e previsione macroeconomica di alto profilo a una clientela istituzionale internazionale. Un approccio indipendente, adattato alle esigenze dei destinatari a Londra, New York o Milano, quale JP Morgan, il Gruppo Intesa e, in Svizzera, BancaStato.

Il team è guidato da Luigi Buttiglione, che è stato economista senior presso la Banca d’Italia e la Banca centrale europea (BCE) nella fase inziale dell’euro. Poi, l’esperienza in istituzioni internazionali di investment banking e nel mondo degli hedge funds, fra cui Barclays Capital, Brevan Howard e l’attività accademica presso le Università di Milano, Bologna e Harvard, con la pubblicazione di lavori di economia monetaria e internazionale.

Ora LB MACRO lancerà in estate un nuovo ambizioso servizio: «Si chiamerà Emporium» dice Buttiglione «e si rivolge a una cerchia ampia di utilizzatori non necessariamente del settore finanziario, ma imprenditori, operatori per i quali è interessante conoscere l’evoluzione macroeconomica in un formato nuovo. Stiamo creando un’applicazione cui lavorano persone di diversi Paesi, con note brevi, semplici ma rigorose, un distillato della massa enorme di news e dati che ci sommerge. Saranno pubblicate alcune volte al giorno in varie lingue. È un prodotto che non ha concorrenti ed evita di dover “navigare” fra le decine di migliaia di informazioni giornaliere, avendo invece una sintesi filtrata e certificata, dal costo accessibile. Un altro mondo rispetto a quanto si trova nella rete». A Luigi Buttiglione abbiamo rivolto anche alcune domande legate all’attualità.

Dopo un quarto di secolo di euro, con molte aree del continente più povere, a iniziare dall’Italia, il modello tedesco e lo stesso impianto comunitario che vacilla, quale bilancio si può trarre?
«L’esperienza dell’euro ha due lati. E’ positiva in quanto ha rappresentato un punto di congiunzione fra Paesi: non ha creato un blocco ma ha aumentato la capacità concorrenziale sullo scenario globale. Ora vedremo quanto reggerà all’urto di Trump. Si può invece discutere se la moneta fosse il primo o l’ultimo punto di contatto e se ha davvero irrobustito l’economia dei partner, che anzi sono oggi tutti più deboli. Si è creato un gigante con i piedi d’argilla senza aver pensato prima alle unioni economica, bancaria, fiscale, politica e della difesa. Ciò si riscontra osservando la dinamica della produttività. L’area euro ha accumulato un disavanzo enorme rispetto agli USA, e se prendiamo il PIL in dollari, era uguale a quello americano ancora nel 2008. Da allora le strade si sono divaricate, quello USA cresciuto di oltre l’80% e l’altro poco più del 10%. Né ha giovato l’elefantiaca burocratizzazione comunitaria, che si è sommata a quelle nazionali distanziandosi ancor più dalla realtà. Basti pensare alla politica energetica. All’interno dell’area euro, l’Italia ha accumulato un disavanzo produttivo rispetto alla Germania, non ha “fatto i compiti”, né prima né dopo, come i super-europeisti auspicavano. A reagire meglio è stata forse la Spagna e negli ultimi anni la Grecia, grazie alla competenza della sua nuova classe politica».

Globalizzazione ridimensionata, nuovi protagonisti, lotte commerciali. Chi vince e chi perde?
«In termini assoluti, perderanno sicuramente tutti. La Cina è stata il grande vincitore iniziale, ma questa globalizzazione è stata violenta e disomogenea, ha distrutto i soggetti deboli, come era avvenuto nella costruzione europea. Non è stata caratterizzata da un vero libero scambio, con la Cina che tassava l’import e sosteneva l’export. L’Italia ha perso su tutti i fronti, ha mantenuto nicchie, ma di solo commercio estero non si vive. Bassa produttività vuol dire bassi salari e impoverimento».

Le banche centrali appaiono oggi come super-protagoniste. Un ruolo eccessivo e fonte di distorsioni?
«Direi di sì. È stato il QE a generare i maggiori problemi. Si è ecceduto, sia da parte della Federal Reserve che della BCE. Sono state impedite delle catastrofi, ma si sono anche create delle distorsioni. L’andamento dei listini azionari si è gonfiato rispetto all’andamento degli utili. Oggi il mercato vede comunque nelle banche centrali un salvatore, una put option di ultima istanza».

Biglietto verde e Treasury, alla base del sistema finanziario americano, possono mantenere la loro supremazia nel tempo?
«Se guardiamo le valute delle grandi aree, direi sicuramente di sì. Se guardiamo il lungo periodo dobbiamo considerare il franco svizzero. Quanto alle nuove valute, crypto e simili, fatico a capire cosa siano davvero. È tutto connesso a un algoritmo. Già le valute tradizionali sono legate alle riserve, ma “sotto” c’è poco, se non la garanzia fiscale e il prestigio del governo, ma per le crypto non c’è nulla».

I mercati azionari sono cari ed i debiti crescono. Ma ci viene detto che i criteri di valutazione del passato sono superati e che le banche centrali hanno più frecce ai loro archi. Oggi è diverso?
«Indubbiamente vi sono settori legati a megatrend importanti, come l’AI, ma abbiamo visto la bolla NASDAQ di Internet nel 2000 e quanto avvenuto nel settore finanziario. Le banche centrali hanno avuto grandi responsabilità. Certo, non devono far fallire il mondo, ma è indubbio che la liquidità prodotta si riversa nell’economia reale o nelle attività finanziarie, creando bolle speculative».

E in tutto questo come si colloca la Svizzera?
«Penso sia messa bene. Nella gestione del Paese vi è stato probabilmente un eccesso di prudenza; potrebbe osare di più vista la sua ricchezza e i tassi d’interesse bassi. Potrebbe crescere molto di più. Ha dalla sua parte un buon livello di competenze e la certezza del diritto».