L'analisi

Da Migros a IKEA: l'economia del riciclo che giova a consumatori e imprese

Sono molte le aziende che, in Svizzera, stanno esplorando un modello di produzione e consumo basato su condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile — In due parole: «economia circolare»
© KEYSTONE/Christian Beutler

Economia circolare: un modello di produzione e consumo basato su condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. Un modello di cui si parla sempre più spesso. Sono molte le aziende che in Svizzera, come altrove, si stanno attivando in questo settore. Una delle ultime ad aver fatto passi avanti in questo campo è Migros.

Sparrow Ventures, il venture builder e finanziatore del Gruppo Migros, ha intenzione di investire nella startup Revendo. In un decennio la giovane azienda è riuscita (con uno shop online, dieci punti vendita e 140 dipendenti) ad affermarsi come la numero uno del Paese nel campo degli apparecchi elettronici usati. Il Gruppo Migros «crede nel potenziale di modelli aziendali sostenibili e circolari», si leggeva in un comunicato di fine gennaio.

Due su tre comprano usato

Anche IKEA, regina del mobilio «veloce», quello che non costa troppo e rischia di più di finire in discarica, si è lanciata nell’economia circolare. Tra gli obiettivi aziendali c’è quello di diventare completamente circolare entro il 2030, spiega la portavoce Stefanie Brehm. Dal 2018 il servizio Second Chance offre ai clienti la possibilità di dare una nuova casa a prodotti del marchio svedese ben tenuti. «I mobili IKEA sono molto popolari sulle piattaforme di seconda mano e cambiano proprietario in media circa due volte. Inoltre, attraverso un sondaggio tra i consumatori, abbiamo scoperto che due svizzeri su tre acquistano occasionalmente o regolarmente mobili di seconda mano. Ci siamo quindi lasciati guidare dalle esigenze dei clienti e abbiamo capito che convenienza e sostenibilità vanno di pari passo». A novembre, durante la campagna BuyBack Friday (una controproposta al Black Friday), IKEA ha «riacquistato quasi 6 mila mobili di seconda mano in tutta la Svizzera, rivendendoli a un prezzo inferiore».

«Sforzi in diminuzione»

Secondo esperti come Anja Reimer (dell’istituto internazionale di ricerca di mercato GFK), recentemente intervistata da SRF, quello dell’economia circolare è un concetto che interessa sempre più persone. Si tratta quindi di un mercato in crescita? Sembra di no: negli ultimi anni non c'è stata una crescita significativa, né a livello globale né in Svizzera, spiegano al CdT Karolin Frankenberger, professoressa di Strategia e Innovazione presso l’Università di S. Gallo e Fabian Takacs, ricercatore dell’ateneo. «Esistono pochi studi sulla situazione in Svizzera. Uno quantitativamente significativo è quello del Centro di ricerca congiunturale del politecnico di Zurigo, che ha dimostrato che oggi circa il 10% delle aziende svizzere svolge attività in questo campo, mentre la maggior parte è ancora lontana dal definirsi circolare», spiega Frankenberger. «Secondo l’organizzazione Circle Economy e il suo Circular Gap Report 2023, il tasso di attività circolari nel mondo è solo del 7,2%. Questa cifra è in calo da anni, il che significa che gli sforzi in Svizzera sono in diminuzione». Mentre le percentuali di riciclaggio sono aumentate per decenni, «la quantità di rifiuti urbani si è moltiplicata a causa dell’aumento della domanda dei consumatori, annullando i progressi. La Svizzera sta ottenendo ottimi risultati nel riciclaggio di PET, alluminio, vetro e dei rifiuti biologici, ma c’è ancora molto da recuperare nel riutilizzo di prodotti e imballaggi e nella riduzione dei rifiuti: ogni persona nella Confederazione produce due chili di rifiuti al giorno, una quantità assurda».

Povera di materie prime, la Svizzera ha adottato il principio dell’economia circolare sin dagli anni ’80. Da noi, però, per i rifiuti urbani non esiste una quota di riciclaggio vincolante. Fanno eccezione il vetro, le lattine in alluminio e le bottiglie in PET: per queste l’ordinanza sugli imballaggi per bevande prevede infatti un tasso di riciclaggio minimo del 75%. «Qualora questa percentuale non venisse rispettata, la Confederazione potrebbe intervenire, ad esempio introducendo l’obbligo di prelevare un deposito per questi imballaggi», ci spiega Michael Hügi della Sezione rifiuti urbani dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM). Nonostante la Svizzera sia tra i maggiori produttori di rifiuti domestici per abitante, il nostro Paese, sottolinea l’UFAM, «può vantare un sistema di riciclaggio performante che - in un confronto internazionale - la posiziona ai vertici della classifica».

Karolin Frankenberger sottolinea però: «I confronti con altri Paesi sono difficili» in quanto «i metodi di misurazione sono diversi». «Sebbene si vada nella buona direzione a livello europeo con il Piano d’azione per l’economia circolare e in Svizzera ci siano delle iniziative cantonali e federali, queste non sono ancora abbastanza efficaci o complete per affrontare il problema dello spreco di risorse».

E come già sottolineato, anche la maggior parte delle imprese non sta abbracciando i principi dell’economia circolare. In uno studio dell’anno scorso sugli ostacoli in questo campo per le piccole e medie imprese, l’ateneo di San Gallo ha dimostrato «che c’è ancora molta strada da fare per l’economia svizzera, anche se esistono approcci interessanti».

Considerata la limitata disponibilità di risorse naturali, «il potenziale di innovazione tecnologica non infinito per eliminare completamente la scarsità, i crescenti problemi di approvvigionamento e, al contempo, la continua domanda, i modelli di business basati sulla circolarità sono sempre più redditizi e - in ultima analisi - l’unica possibilità per ottenere una creazione di valore locale ecologicamente e socialmente compatibile. Chi non affronta la questione ora, inciamperà in futuro», avverte Frankenberger