Scenari

Dazi, deficit, debito e dollaro alla «corte» di Donald Trump

A Lugano il professor Dante Roscini della Harvard Business School è intervenuto sulle sfide globali dell’amministrazione USA, evidenziando le incertezze legate a una transizione economica e finanziaria complessa
Il professor Dante Roscini intervenuto a Villa Sassa. © CdT/Chiara Zocchetti
Gian Luigi Trucco
05.06.2025 22:41

Dazi, deficit, debito, dollaro: incognite che accompagnano la seconda Amministrazione Trump, la quale ha accentuato una transizione già in atto. Un processo economico e finanziario complesso al centro dell’evento organizzato a Lugano da Banca Generali (Suisse) Private Bank e da BG Valeur, dal titolo «Trump e le sfide economiche globali». Ad illustrarne i contorni Dante Roscini, professore di Management Practice of Business Administration presso la Harvard Business School che, prima dell’esperienza accademica, ha operato nell’ambito dell’investment banking internazionale con istituzioni quali Goldman Sachs, Merrill Lynch e Morgan Stanley.

Fulcro della transizione gli squilibri commerciali, ad iniziare da quello fra Stati Uniti e Cina, soprattutto dopo l’entrata di questa nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. La Cina produce ed è titolare di oltre il 35% del manufacturing globale, mentre l’America compra, spende e si indebita. Una tesi sostanzialmente falsa guida ora Washington, secondo la quale chi ha un forte surplus commerciale ne approfitta, come nel caso del Celeste Impero; una in parte vera, legata alla manipolazione dello yuan ma, da tutto questo, un esperimento iperprotezionistico con l’applicazione di dazi e tariffe strabilianti, esposte nella tabella del 2 aprile. La fine della vicenda è lontana, si susseguono gli interventi legali e molte cause giungeranno alla Corte Suprema, ove accortamente Trump ha collocato giudici «amici» durante il suo primo mandato.

Mosse erratiche o che rispondono a una precisa strategia ? «C’è chi pensa che ci sia dietro una strategia economica e politica - afferma Roscini - per ridurre il valore del dollaro e ridurre il deficit della bilancia commerciale, il tutto in modo violento. Altri pensano invece all’incompetenza al comando, vista l’applicazione dei dazi all’isola dei pinguini. La formula usata per la tabella del 2 aprile è assurda e fondata su basi sbagliate». E alla fine chi saranno i vincitori e i perdenti nella diatriba ? «Nella loro mente i vincitori saranno gli Americani che riacquisteranno il manufacturing perso nel tempo. Ma i flussi sono cambiati, le economie sono complementari. Abbiamo visto cosa è accaduto quando lo shipping si è fermato. I perdenti sono alla fine i consumatori e i Paesi con economia fondata sull’export. Quelli che in qualche modo possono vincere sono i produttori domestici che beneficeranno dell’assenza di concorrenza estera».

La «fine dell’Impero»?

Un altro aspetto della transizione è di tipo finanziario: i flussi di capitali verso gli USA sono stati finora elevati e gli asset americani in mano estera sono enormemente superiori a quelli stranieri detenuti negli USA. Negli ultimi anni i tassi sono scesi e il biglietto verde si è rafforzato, cosa non gradita alla Casa Bianca.

Altrettanto critici i conti pubblici, con deficit e debito che, ancorché ereditati già elevatissimi dall’Amministrazione Biden, segnano crescite allarmanti, destinate a peggiorare, con un’America che non risparmia e i tassi che volgono verso l’alto.

Un campanello d’allarme è particolarmente significativo: per la prima volta nella storia la spesa per interessi sta superando quella militare e ciò può essere il segnale della «fine dell’Impero». In bilico anche il mercato dei Treasury, finora «no risk» e bene rifugio per eccellenza, per i quali si potrebbe tuttavia ricorrere al collocamento presso il sistema bancario ordinario.

Ma a Washington non manca l’ottimismo e le proposte che fanno lievitare il deficit sono salutate come «Big Beautiful Bill» e si ritiene che l’equazione oggi disastrata possa essere risolta con la maggior crescita, grazie alla deregulation, alla maggiore produttività indotta dall’intelligenza artificiale (che però richiede volumi enormi di energia) e all’inflazione.

Per il dollaro si apre una fase ricca di incognite, quale valuta globale di riserva, che ha vissuto finora una condizione di «eccezionalismo». Tuttavia, anche in questo caso, un certo ottimismo lo vede senza concorrenti, con la possibile eccezione dell’euro che, al momento, ha un mercato limitato ed è condizionato dalle questioni istituzionali che affliggono l’Unione europea. Dunque, questa euforia sull’euro e l’Europa non è giustificata ? «I fondamentali restano migliori negli Stati Uniti ma indubbiamente alcune questioni strutturali che sostengono il dollaro sono messe in discussione, ma a lungo termine è proprio questa la strategia di Washington, come indica il cosiddetto Accordo di Mar-a-Lago».

Situazioni confuse

Tutto questo e altro ancora è alla base della visione isolazionista che si è manifestata con altre prese di posizione paradossali e assurde, come quelle che hanno colpito la stessa Università di Harvard, il blocco delle iscrizioni e le limitazioni di viaggio per stranieri. Una situazione nuova e confusa che, ha concluso l’ospite, potrebbe essere ulteriormente compromessa da un evento geopolitico inatteso e devastante.

Ma, per rimanere ancora sull’onda dell’ottimismo, Wall Street, dopo gli scossoni, iniziali, ha ripreso il suo tono positivo, confidando in dati macroeconomici ed utili aziendali in miglioramento.

Quale consiglio dare all’imprenditore e al manager alle prese con una pianificazione aziendale ? «Anzitutto dotarsi di strutture di analisi del rischio geopolitico. Capire le proprie vulnerabilità, diversificare logistica, supply chain e mercati di sbocco, anche se i cambiamenti non sono facili».

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