Negoziati

Dazi, la stretta di mano a Davos? «È un’opportunità che va colta»

Donald Trump sarà al World Economic Forum a gennaio e potrebbe essere l’occasione giusta per siglare un accordo commerciale giuridicamente vincolante – Il DEFR: «Dipenderà in gran parte dagli americani» – Marco Chiesa: «Tutti stanno lavorando per renderlo possibile»
©AP Photo/ Evan Vucci
Luca Faranda
12.12.2025 06:00

Un solo presidente della Confederazione, nella storia, ha avuto l’occasione di recarsi nello Studio Ovale della Casa Bianca a Washington. Ueli Maurer. Il 16 maggio 2019, l’allora «ministro» delle Finanze era stato accolto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per un incontro durato all’incirca quaranta minuti.

E se gli ormai noti imprenditori elvetici, lo scorso 5 novembre, hanno avuto la strada spianata per entrare nello Studio Ovale, lo stesso non si può dire della politica: prima di Maurer, l’onore di varcare la soglia era toccato a pochi consiglieri federali, tra cui Kurt Furgler (1984), Elisabeth Kopp (1987) e Jean-Pascal Delamuraz (1988 e 1990), ma mai in veste di «Primus inter pares».

In volo per Washington

Tale opportunità, dopo la «turbolenta» telefonata dello scorso agosto. Difficilmente toccherà a Karin Keller-Sutter: l’attuale presidente della Confederazione, che fra poco più di due settimane cederà la carica a Guy Parmelin, negli ultimi mesi (per ovvi motivi) non ha più avuto un ruolo di primo piano nella controversia commerciale con gli Stati Uniti

Il «ministro» dell’Economia, dal canto suo, negli scorsi mesi è volato più volte a Washington per incontri di alto livello, ma non ha mai avuto la possibilità di parlare direttamente con Trump. Il presidente statunitense tende infatti a parlare unicamente con i capi di Stato. Le cose, da gennaio, potrebbero dunque cambiare: ciò non significa però che Parmelin riceva l’invito ufficiale di «The Donald» per un incontro alla Casa Bianca.

L’autoinvito

«Al momento, il consigliere federale Guy Parmelin non ha in programma alcun viaggio negli USA nei mesi di dicembre e gennaio. È tuttavia disposto a recarsi negli Stati Uniti in qualsiasi momento, qualora la situazione lo richiedesse», indica al CdT il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR). Donald Trump, invece, arriverà in Svizzera. E l’invito ufficiale non è necessario: il presidente statunitense ha preso in controtempo gli organizzatori e lo scorso ottobre si è già autoinvitato al World Economic Forum (WEF) di Davos, previsto dal 19 al 23 gennaio. Nonostante ciò, l’effettiva presenza di Trump nei Grigioni dopo sei anni (lo scorso anno parlò solo in videoconferenza) non è ancora stata confermata dalla Casa Bianca.

L’occasione è però propizia: l’intesa raggiunta il 14 novembre con la dichiarazione d’intenti rappresenta solo una base (anche fragile, considerata l’imprevedibilità di Trump). Ora si tratta di tradurre questa volontà in un accordo giuridicamente vincolante. Se i negoziati con gli Stati Uniti dovessero procedere in modo spedito, non sarebbe da escludere la possibilità che si trovi un accordo tra Berna e Washington già entro fine gennaio. «Credo che tutti stiano lavorando per poterlo rendere possibile», ci spiega il consigliere agli Stati ticinese Marco Chiesa (UDC), aggiungendo che la possibilità concreta di raggiungere un’intesa c’è. «È una finestra di opportunità che va colta».

La politica si muove in fretta

Spesso accusata di essere lenta, la politica federale in questo caso si è attivata in tempi rapidi: lo scorso venerdì, il Governo ha approvato il progetto di mandato negoziale, che è ora stato trasmesso ai Cantoni e alle Commissioni della politica estera di entrambi i rami del Parlamento. Chiesa, che ha lasciato solo pochi giorni fa la carica di presidente della commissione, conferma che già all’inizio della prossima settimana il tema verrà trattato dai «senatori» nel corso di una seduta a margine della sessione alle Camere. Lo stesso arriva al Nazionale. «D’altronde il dossier è conosciuto, non stiamo parlando di un oggetto misterioso. Il Governo ha la volontà di andare avanti, l’economia ne ha l’esigenza e il Parlamento ha la responsabilità di renderlo possibile», aggiunge Chiesa.

«È ancora presto»

Parmelin, dal canto suo, auspica di ricevere il via libera entro la fine dell’anno. In ogni caso, la dichiarazione d’intenti siglata a metà novembre «prevede la conclusione dei negoziati con gli USA, se possibile, nel primo trimestre del 2026». Ma ci sono i tempi tecnici per un accordo entro metà gennaio? «È ancora troppo presto per pronunciarsi sulla durata dei negoziati. Poiché per negoziare occorrono due parti, l’avanzamento dei negoziati dipenderà in gran parte anche dagli americani», si limita a rispondere il DEFR, lasciando aperto uno spiraglio.

Il pacchetto negoziale, aveva già messo in guardia mercoledì Parmelin, dovrà poi seguire il consueto iter parlamentare (facoltà di referendum inclusa). Potrebbero volerci ancora svariati mesi. Almeno per quel che concerne la Svizzera. Tra gli Stati Uniti e la Confederazione ci sono infatti nette differenze istituzionali: non è detto che l’amministrazione Trump decida di sottoporre l’accordo alle Camere. Se dovesse pronunciarsi per decreto, l’intesa sarebbe ovviamente più fragile.

Modus vivendi

Il rischio, inoltre, in questa fase di nuovi negoziati è che per raggiungere un accordo giuridicamente vincolante si debbano fare molte più concessioni. «Si tratta di formalizzare, nero su bianco, quanto è stato concordato», aggiunge il «senatore» ticinese.

«L’accordo è il frutto di una trattativa e ognuno lascia qualcosa sul tavolo dei negoziati. Poi vedremo quali saranno gli effetti sugli obiettivi di Trump, ossia diminuire il deficit commerciale, diminuire il debito pubblico e riportare l’industria a produrre negli Stati Uniti. Io non sono sicuro che i dazi siano una strategia giusta, ma Trump rimarrà ancora tre anni». Bisogna, dunque, trovare un modus vivendi con il presidente statunitense e la sua imprevedibilità.

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