E il petrolio che cosa fa? «Ora si rischia un tonfo»

Il petrolio, croce e delizia delle nostre nazioni industrializzate, malgrado la guerra fra Israele e Iran non ha registrato forti scossoni. Dopo essere passato da una media di 65 dollari al barile nei mesi prima dell’attacco, è salito a 75 dollari circa per poi ridiscendere sotto i 70 dollari. Ieri il future del mese di luglio quotava 65,60 dollari al barile.
Come si sa, quando si parla di petrolio tutto ruota attorno allo Stretto di Hormuz, un corridoio marittimo di 33 chilometri tra Iran e Oman, dove transita petrolio e gas proveniente da Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti e, in parte, Arabia Saudita. Infatti, non appena l’Iran aveva ventilato il rischio di chiusura, i prezzi del petrolio, che erano già cresciuti del 14% in una settimana, sono ulteriormente saliti. Ma poi sono gradualmente tornati alla normalità.
Traffico minacciato
Dopo gli attacchi statunitensi contro le sue installazioni nucleari, il 22 giugno scorso, in ritorsione Teheran ha minacciato il blocco strategico di questo lembo di mare. Un blocco che avrebbe enormi conseguenze a livello mondiale, con interruzioni nell’approvvigionamento globale del petrolio. Tuttavia, alla fine, il 25 giugno, il Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano, a cui spetta la decisione finale, non ha varato la proposta del Parlamento di sospendere la navigazione nello Stretto. Quindi il pericolo per il momento è scongiurato.
Ma quali sono i fattori che influenzano il prezzo del petrolio in questo momento? E come mai la minaccia della chiusura dello Stretto di Hormuz non ha spaventato gli operatori del settore petrolifero? Lo abbiamo chiesto a Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia di Bologna, società di consulenza nel mercato petrolifero. «Per quanto riguarda il petrolio, c’è un problema strutturale ed eterno - spiega -, e cioè che a causa dalla «magia» della natura, le maggiori riserve di petrolio e di gas a livello mondiale sono concentrate nel Medio Oriente, ossia in una regione politicamente molto instabile. È vero che ce n'è molto altro in altre parti del mondo, ma non così concentrato e non con costi di estrazione così bassi. Quindi noi conviviamo da 70 anni con questo rischio. Ma è un rischio che giovedì scorso, il 23 giugno, è stato quasi azzerato, almeno nel breve termine. Questo perché lo strapotere militare degli americani è stato talmente evidente che gli iraniani non ci hanno nemmeno pensato a bloccare lo stretto di Hormuz».
«In questo modo si è dimostrato che l’Iran probabilmente non ce la farà mai a chiudere lo Stretto di Hormuz, da dove passano 17 milioni di barili al giorno di petrolio, circa un terzo degli scambi mondiali. E quindi il rischio geopolitico che normalmente agita molto gli operatori del settore del petrolio, nel breve periodo è stato praticamente eliminato».
Sfiorata l’Apocalisse
«Se si fosse verificato - spiega - un eventuale blocco avrebbe determinato l’Apocalisse, facendo schizzare i prezzi anche a 200 dollari al barile. Avremmo vissuto una replica dello choc degli anni Settanta. Ed è proprio da quell’epoca che ci aspettavamo una crisi, sempre minacciata dall’Iran, che per il momento è da escludere».
«Per questo - illustra - per fare delle analisi del mercato petrolifero bisogna tornare ai fondamentali, che in questo momento sono segnati da una straordinaria abbondanza di offerta. Infatti la domanda aumenta ogni anno a ritmi di 0,7 milioni di barili al giorno, e abbiamo raggiunto un nuovo record, superando quota 104 milioni d barili al giorno. Tuttavia, questo è più che compensato da una l’offerta che aumenta di 1,2 o 1,4 milioni di barili al giorno. Col risultato di fare aumentare le scorte e abbassare i prezzi».
«Pertanto dopo la fiammata per alcuni giorni per la guerra, siamo tornati sotto i 70 dollari al barile, che si confrontano agli 83 di un anno fa e agli oltre 100 dollari che avevamo prima del 2014, oppure ai 120 immediatamente successivi all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Anche nel breve-medio termine le ipotesi più probabili sono quelle di un eccesso di offerta, con quotazioni deboli attorno ai 70 dollari per barile. Ma, come al solito, c’è l’incertezza della politica in Medio Oriente, perché comunque l’Iran non è battuto, e per quanto basso è il rischio di interruzione di Hormuz, questo rimane, anche se è remoto. Mentre il rischio al ribasso è che questo eccesso di offerta peggiori con prezzi che potrebbero scendere attorno ai 50 dollari per barile».
Come si vede, in questo caso il petrolio potrebbe addirittura perdere il 23%. Un vero e proprio tonfo.
A fine anno a quota 72 dollari
Ma quali sono le previsioni per il futuro? Nel suo scenario base, Nomisma Energia stima per fine anno un barile a 72 dollari, ossia quattro in più di adesso. Quindi una previsione di stabilità. Una buona notizia, ma sul fronte petrolifero non si può mai stare tranquilli. Il fattore geopolitico resta, anche se per ora in sordina.