I dazi USA pesano sulle Borse ed è allerta per le aziende svizzere

Sono stati annunciati sabato da Donald Trump i dazi del 25% su buona parte delle importazioni dal Messico e dal Canada e del 10% su quelle dalla Cina. Ma l'entrata in vigore, prevista per martedì 4 febbraio, è stata rimandata all'ultimo: sia Messico, sia Canada, hanno infatti concordato con il presidente USA una sospensione di un mese per l'attuazione dei provvedimenti. Mentre sugli effetti concreti di queste misure (e di eventuali contromisure da parte di questi Paesi) si dovrà quindi attendere ancora un po', i mercati finanziari hanno subito reagito con una corsa al dollaro e forti vendite di titoli azionari su praticamente tutti i listini, a partire da quelli asiatici: il calo più pesante è stato del Nikkei a Tokyo (-2,7%), quello più contenuto del Hang Seng a Hong Kong (-0,6%). In Europa, dove Trump ha promesso analoghe misure commerciali, le Borse hanno subito perdite fra lo 0,69% di Milano all’1,40% di Francoforte. A essere fra le più colpite sono le società dell’automotive, come Stellantis (-4,52% alla Borsa di Milano) e Volkswagen (-4,10%), che hanno importanti attività in Messico e sono quindi particolarmente vulnerabili alle tariffe imposte da Trump.
Della corsa al dollaro ha sofferto in modo marcato l’euro, cedendo in mattinata oltre due centesimi e toccando quota 1,0141, il livello più basso dal novembre 2022. In serata la moneta comune ha recuperato terreno sul biglietto verde attorno a quota 1,0278. Contro franco svizzero il greenback è salito di quasi un centesimo, a quota 0,9197, per assestarsi in serata attorno a quota 0,9137. In controtendenza invece lo yen giapponese, che pare aver ritrovato il suo status «flight to quality» (grazie anche al recente rialzo dei tassi d’interesse effettuato dalla Bank of Japan): oggi la valuta nipponica è salita fino a quota 154,02, guadagnando lo 0,75%.
Anche Wall Street non ha accolto troppo bene l’annuncio della firma dell’ordine esecutivo di Trump: a metà seduta i principali indici segnavano un rosso dello 0,70% per il Nasdaq e dello 0,57% per lo S&P 500.
Le turbolenze sui mercati sono state alimentate sostanzialmente dai timori che i dazi americani possano avere un effetto sui prezzi e impattare la crescita economica negli USA. Inoltre, il timore di una maggiore pressione inflazionistica crea ulteriore incertezza per le future mosse della Federal Reserve. «L’inflazione statunitense metterà fine al sogno di ulteriori tagli da parte della Fed e potrebbe invece richiedere un aumento dei tassi per far fronte a un probabile shock dei prezzi», osserva Ipek Ozkardeskaya, analista senior di Swissquote in una nota. «Ma le tariffe - precisa - peseranno anche sulle aspettative di crescita degli Stati Uniti, limitando quindi il potenziale di rialzo del dollaro e pesando sulle valutazioni azionarie».
Attesa e incertezza in Svizzera
In attesa di sapere quando (e se) la scure del «Tariff Man» (così viene ora etichettato il presidente Trump negli ambienti economico-finanziari) si abbatterà anche sull’Europa, nella «piccola» Svizzera l’allerta resta alta. In particolare, nel settore chimico-farmaceutico: gli Stati Uniti rimangono infatti il singolo Paese più importante per le esportazioni di prodotti del settore, con un volume di 35,7 miliardi di franchi nel 2024, ovvero quasi un quarto del volume complessivo di 149 miliardi, che a sua volta rappresenta il 52% di tutto l’export svizzero.
«L’aumento dei dazi doganali potrebbe portare a contromisure che potrebbero impattare le catene di approvvigionamento e provocare una guerra commerciale», afferma al CdT Stephan Mumenthaler, direttore di scienceindustries, l’associazione nazionale del settore chimico-farmaceutico. «In una simile guerra - aggiunge - le aziende che operano in Svizzera non sarebbero le uniche ad essere colpite. Anche le filiali e i clienti dei Paesi che servono il mercato statunitense ne risentirebbero».
A preoccupare scienceindustries sono anche i possibili sviluppi delle tensioni in Europa: con un volume nel 2024 di 79 miliardi di franchi (oltre il doppio di quello verso gli USA), l’export del settore chimico-farmaceutico verso l'UE rimane infatti di gran lunga la regione più importante per il settore-faro dell’economia elvetica.
Ma se l’«uomo dei dazi» dovesse imporre dazi anche all’UE, le probabili contromisure di Bruxelles riguarderebbero anche la Svizzera come Paese terzo? «Sì, è possibile», risponde Mumenthaler. «Se l’UE dovesse adottare contromisure che riguardano anche la Svizzera - prosegue - è probabile però che il sostegno della popolazione agli Accordi bilaterali III diminuisca».
Anche per l’export delle PMI svizzere gli USA sono un mercato importante. «Fra le aziende si osserva una certa incertezza e un atteggiamento di attesa. Ciononostante esse continuano a investire fortemente in questo mercato», afferma al CdT Switzerland Global Enterprise (S-GE). L’organizzazione nazionale di promozione delle esportazioni e della piazza economica elvetica sta monitorando attentamente gli sviluppi della situazione: «Tuttavia, è probabile che anche le aziende svizzere debbano prepararsi a scenari con dazi più alti».
Più allarmista è invece il direttore di Swissmem, Stefan Brupbacher, che al «Blick» ha detto che i dazi USA devono preoccupare anche in Svizzera perché ««ci concernono direttamente».