Valute

Il calo del dollaro continua ma è ancora sopravvalutato

Il biglietto verde continua la sua corsa al ribasso e nel medio-lungo termine gli analisti lo vedono scendere attorno a 0,70 centesimi contro il franco svizzero - Secondo Nikolay Markov (Pictet) gli USA sono alla fine di un ciclo - L’anno prossimo potrebbero entrare in recessione - Ci si attende che la Fed taglierà i tassi già all’inizio del 2024
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Dimitri Loringett
20.07.2023 22:30

Gli europei che quest’anno hanno deciso di visitare gli Stati Uniti per le ferie se ne saranno accorti: il dollaro americano «costa meno». Per gli svizzeri, aggiungiamo, molto poco: da inizio 2023 il biglietto verde ha perso, contro franco svizzero circa il 7% del suo valore, ovvero quasi dieci centesimi di franco per ogni dollaro, passando da un livello di circa 0,94 agli attuali 0,86.

Un rimbalzo però non pare vedersi all’orizzonte. Anzi: gli analisti di UBS, nell’ultimo «Outlook Svizzera» pubblicato in questi giorni, stimano un valore del dollaro attorno ai 60-70 centesimi di franco nel medio-lungo termine (il minimo storico, ricordiamo, fu raggiunto nell’agosto 2011 attorno a 0,73 centesimi). «Secondo il nostro modello di valutazione basato sulla parità di potere d’acquisto il dollaro è ancora fortemente sopravvalutato», afferma Nikolay Markov, economista senior di Pictet Asset Management, da noi interpellato. «Questo lo vediamo anche contro l’euro che, nonostante il recente apprezzamento (sul livello attuale di 1,12, ndr.), è ancora sottovalutato dovrebbe continuare ad apprezzarsi verso livelli di circa 1,25 contro il dollaro». Secondo l’esperto il valore di «equilibrio» del dollaro dovrebbe essere raggiunto nel 2027 sul livello di 0,77 centesimi di franco.

La «svalutazione» del biglietto verde, come sappiamo, è in corso da alcuni decenni, ma guardando nel prossimo futuro viene da chiedersi se continuerà su questa traiettoria. Secondo l’economista di Pictet vanno osservati alcuni fattori, di ciclo economico e di carattere strutturale. Riguardo ai primi, Markov spiega che «gli Stati Uniti si trovano alla fine di un ciclo, stanno entrando in un periodo di rallentamento economico con una buona probabilità di recessione, che vedremo l'anno prossimo. La Federal Reserve, quindi, raggiungerà verosimilmente il suo obiettivo di tasso d’interesse la prossima settimana con il previsto rialzo di ulteriori 25 punti base (attualmente il tasso di sconto sul dollaro si colloca tra il 5 e il 5,5%, ndr). In sostanza, gli Stati Uniti hanno completato il loro ciclo di stretta monetaria e le aspettative del mercato si concentrano ora sull'inizio del taglio dei tassi, che avverrà nel primo trimestre del prossimo anno».

Riguardo ai fattori strutturali, il nostro interlocutore sottolinea il fatto che gli Stati Uniti hanno un livello di debito molto alto, che continua a crescere e che fa sì che abbiano un deficit di bilancio strutturale e un deficit delle partite correnti. «Gli USA - aggiunge Markov - sono un debitore netto, quindi hanno bisogno di flussi di capitale dall’estero per poter sostenere i consumi e questo tende a far indebolire il dollaro. Inoltre, gli Stati Uniti hanno storicamente un’inflazione che, rispetto ad altri Paesi sviluppati, è in media più alta. L’unico fattore che gioca a loro favore è la produttività».

In chiusura, a Nikolay Markov chiediamo un parere sulla questione, ancora tutta aperta, dell’inflazione di fondo («core inflation»), che negli USA (e anche in Europa) rimane piuttosto tenace. «In America la questione si risolverà, mentre in Europa non lo sappiamo ancora. Da questa parte dell’Atlantico l'inflazione è trainata dai servizi. Essa continua ad accelerare e non ha raggiunto il picco. È spinta da una domanda interna molto forte, sostenuta da un eccesso di risparmio, da un mercato del lavoro vigoroso e dagli aumenti salariali. La questione quindi sarà se si riuscirà - e in quanto tempo - a riportare l’inflazione in linea con l’obiettivo del 2% stabilito dalla maggior parte dei Paesi. Credo che questo target non sarà raggiunto prima del 2025», conclude Markov.