Il franco forte, palla al piede per l'industria dell'export

Il franco mostra i muscoli. Nelle scorse settimane, è stato addirittura toccato un nuovo record nei confronti del dollaro, con un cambio sceso a 79 centesimi di franco (a parte il periodo che precedette l’introduzione della soglia di cambio di 1,20 con l’euro, nel settembre del 2011). Anche nei confronti della moneta unica europea il franco si mantiene forte, ossia attorno 0,93 centesimi di franco. Inoltre, per l’industria, alla «tradizionale» variabile dei cambi si aggiunge ora anche quella dei dazi, che da mesi tiene con il fiato sospeso il settore industriale svizzero, in attesa di decisioni da parte di Donald Trump.
Il fatto di essere restata fuori dall’Unione europea ha portato la Svizzera a diversificare i propri mercati di sbocco e quindi oggi anche il dollaro ricopre un ruolo molto importante a livello di export. E proprio il biglietto verde ultimamente si è indebolito, sull’onda del pericolo dazi e delle aspre critiche di Trump nei confronti di Jerome Powell, numero uno della Federal Reserve, la banca centrale statunitense.
Un trend destinato a continuare
Ma quali sono gli effetti della forza del franco sull’industria svizzera? Ne abbiamo parlato con Stefano Modenini, direttore dell’AITI, l’Associazione Industrie Ticinesi. Come vive l’industria svizzera e ticinese questa situazione? «Prima di tutto: questa tendenza all’indebolimento del dollaro - risponde - è destinata a continuare, a fronte di un mercato azionario americano ancora in euforia. Chiaramente le incertezze legate alla politica economica e commerciale americana hanno un peso su questa situazione. Per un settore d’esportazione come l’industria evidentemente la situazione odierna non è favorevole perché il prodotto svizzero diventa più caro. Poi però bisogna distinguere settore per settore e per tipo di prodotto esportato. Detto questo, bisogna dire altrettanto chiaramente che gli imprenditori si attendono un intervento della Banca nazionale svizzera per cercare di indebolire il franco svizzero, pur rispettando il fatto che l’obiettivo della nostra banca centrale resta la stabilità dei prezzi».
Nessuna soluzione miracolosa
Quali strategia utilizzano gli industriali per gestire la forza del franco? «Non esistono soluzioni miracolose - rileva - e tutti vedono che negli anni le aziende sono riuscite ad adattarsi a situazioni di cambio sempre meno favorevoli, soprattutto per chi esporta. In linea generale valgono alcune regole: analizzare i propri flussi di pagamento, cioè sapere con esattezza quali entrate e uscite l’azienda avrà e quando, soprattutto in euro e in dollari; tenere conto della propria esposizione e della volatilità delle valute, cioè tenere conto esattamente di uscite e incassi in rapporto alla valutazione monetaria; avere un equilibrio fra la sicurezza nella gestione valutaria e un approccio maggiormente speculativo; inoltre, stabilire a partire da quale tasso di cambio l’operazione può essere un danno per l’azienda. In questo scenario entra in linea di conto ad esempio un’operazione a termine sulle divise, cioè la vendita o l’acquisto di valute a una determinata data».
Questa sfida si aggiunge all’incertezza relativa ai dazi americani. Qual è il clima fra gli industriali in questo momento? Quali sono le loro aspettative in tema di dazi? «Il clima generale - sottolinea - è di attesa perché non ci sono ancora decisioni definitive per quanto concerne la Svizzera in questo momento. La fase di incertezza è certamente quella meno gradita dagli imprenditori, che evidentemente non se ne stanno con le mani in mano in attesa di sapere quali dazi saranno applicati».
«Ma come abbiamo già detto nelle settimane passate - aggiunge - contiamo sul fatto che la nostra diplomazia politica e commerciale sia stata in grado e sia in grado di fare valere i buoni argomenti della Svizzera, a cominciare dal fatto che il nostro Paese non applica più dazi all’importazione sui prodotti industriali. L’aspettativa resta quella di un impatto limitato dei dazi che dovessero essere applicati dagli Stati Uniti. Tutto quanto dovesse andare al di sopra del 10% sarebbe comunque problematico».
Fatto il bilancio dell’impatto del franco forte e dei dazi, come sta andando l’industria ticinese nel suo complesso? «Si conferma - nota Stefano Modenini - quanto indicato già nell’ultimo trimestre del 2024. La congiuntura resta in una fase di debolezza perché i nostri mercati di riferimento per le esportazioni, a cominciare dall’Europa, restano deboli. Poi come diciamo sempre, bisognerebbe distinguere fra i singoli rami di attività. Difficoltà congiunturali sì, ma parlare di vera e propria crisi economica sarebbe sbagliato. Anche se pure sul piano interno le preoccupazioni in chiave futura non mancano, a cominciare dalla progressiva mancanza di manodopera a seguito della negativa tendenza demografica e dall’aumento dei costi, senza dimenticare le necessità miliardarie nei prossimi anni per finanziare le nostre assicurazioni sociali».