L'analisi

Il franco viaggia ad alta velocità con la benzina delle incertezze

La valuta elvetica è spinta sia dalla solidità del Sistema Svizzera sia dalle tensioni geopolitiche ed economiche della fase - Nel quadro attuale i tagli al tasso guida attuati dalla Banca Nazionale non possono frenare più di quel tanto la moneta rossocrociata
©Gabriele Putzu
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
13.07.2025 23:59

Nonostante i tagli al tasso guida attuati dalla BNS, il franco svizzero resta a livelli molto elevati. Si può obiettare che senza questi tagli la valuta elvetica sarebbe ancora più in alto, ciò è possibile ma è anche difficilmente dimostrabile, manca la controprova. Ma lasciamo pure aperto questo interrogativo. Quello che più conta comunque è che sin qui i tagli al tasso guida - sceso dall’1,75% all’attuale 0%, con sei riduzioni dal marzo 2024 - non hanno prodotto un arretramento della super moneta svizzera. Vediamo dunque qual è la situazione ora, quali sono le ragioni principali dell’ascesa del franco, quali potrebbero essere le prospettive.

L’avanzata

Se si guarda alla composizione delle riserve valutarie mondiali, si può vedere come il franco sia all’ottavo posto, posizione rilevante considerando le dimensioni non grandi della Svizzera. Nell’ultimo anno, prendendo i valori della mattinata di venerdì 11 luglio, la valuta elvetica ha guadagnato su tutte le altre sette che la precedono nelle riserve: 12% sul dollaro USA, 4% sull’euro, 2% sullo yen giapponese, 6% sulla sterlina britannica, 12% sul dollaro canadese, 11% sullo yuan cinese, 14% sul dollaro australiano. Nel complesso, un’avanzata più che consistente, considerando anche che il franco era già forte in precedenza.

La riduzione del tasso di interesse aiuta l’economia ma rende meno attrattiva una moneta e quindi in molti casi la indebolisce. Diciamo in molti casi ma non sempre, perché possono subentrare altri fattori in grado di influenzare i cambi. Il caso del franco è appunto emblematico. La Banca nazionale svizzera (BNS) ha in proporzione tagliato il tasso guida più delle banche centrali che governano le altre sette valute principali (quella del Giappone lo ha addirittura alzato), eppure il franco non si è fermato. La valuta elvetica ha guadagnato più di altre su un dollaro USA in discesa complessiva ed è andata avanti, seppur in misura minore, anche su monete in recupero come euro, sterlina, yen.

I fattori

È evidente come ci siano altri fattori che ora incidono sul cambio, più dei tassi. Alcuni di questi sono di fondo e tendono quindi, al di là delle oscillazioni nei vari periodi, a giocare un ruolo di lungo periodo. Altri sono più legati alla fase specifica. I fattori di fondo principali sono ricollegabili in sostanza al Sistema Paese elvetico: stabilità politica e sociale, conti pubblici in ordine, economia competitiva e in grado di tenere anche nelle fasi difficili, saldo commerciale positivo, piazza bancaria e finanziaria ancora in buona posizione. Tutto questo contribuisce alla forza della moneta. Per quel che riguarda la fase specifica, poi, è chiaro che le tensioni geopolitiche e le incertezze economiche a livello internazionale sono cresciute, basti pensare ai conflitti bellici e all’offensiva sui dazi voluta dal presidente USA Trump. Fattori di fondo e fattori di fase insieme fanno sì che il franco sia richiesto da investitori, sia svizzeri sia esteri.

Naturalmente un franco così robusto crea alcuni ostacoli in più all’export svizzero ed è quindi comprensibile che le imprese esportatrici elvetiche vogliano una moneta un po’ meno forte. D’altro canto la gran parte delle aziende svizzere che fanno export ha anche saputo adattarsi nel tempo, con successo, ai meccanismi della moneta forte. Molte imprese rossocrociate hanno diversificato prodotti e mercati, facendo di necessità virtù. A questa capacità di molte aziende bisogna poi aggiungere che molti beni e servizi elvetici sono ad alto valore aggiunto e risentono meno di altri dell’effetto valutario. Inoltre, il super franco rende meno care le importazioni in Svizzera e contribuisce a tenere molto bassa l’inflazione elvetica. Allo svantaggio sul piano dell’export si contrappone dunque un vantaggio sul piano dell’import.

Le previsioni

Molte delle previsioni attuali indicano che nei prossimi mesi difficilmente ci sarà un arretramento sostanzioso del franco. Il dollaro USA viene visto da molti ancora in fase di chiara debolezza. L’euro in questa fase sta reggendo un po’ meglio e molti prevedono una certa stabilità sul franco (in questo quadro sarebbe già un successo), con la moneta elvetica che però, se dovesse muoversi, anche qui lo farebbe più all’insù che all’ingiù. La BNS dovrebbe andare nei tassi negativi per frenare il franco? Il dibattito è aperto ma, come si è visto, i tassi non sono tutto e quelli negativi creano problemi al settore finanziario e ai risparmiatori. Forse, più che volere tassi negativi, sarebbe meglio prepararsi a puntare ancora sulle grandi capacità di adattamento delle imprese svizzere nell’export, prendendosi nel contempo tutti i vantaggi sul piano dell’import.

I dazi di Trump

La lettera con cui Trump nei giorni scorsi ha indicato dazi del 30% per Unione europea e Messico, a partire dal primo agosto, ha fatto nuovamente crescere i timori sull’andamento dell’economia mondiale. La mossa del presidente USA d’altronde arriva dopo i suoi passi precedenti che avevano già stabilito alcuni dazi nei confronti del resto del mondo e che ne avevano minacciato altri. La stessa Svizzera guarda con preoccupazione, giustamente, a quanto potrebbe arrivare da Washington, nonostante le trattative intavolate. Bisognerà vedere quale sarà alla fine il livello dei dazi all’import imposti dagli USA agli altri Paesi e quale sarà la risposta di questi, i negoziati ancora in corso sono molti. Intanto però è ormai chiaro che in un modo o nell’altro ci sono e ci saranno più dazi rispetto al passato. Questo aumento del protezionismo rischia di aggravare seriamente il rallentamento della crescita economica mondiale e di spingere nel contempo all’insù una serie di prezzi, rialimentando l’inflazione. Sino a che punto la crescita rallenterà e l’inflazione risalirà, ebbene ciò dipenderà appunto dal livello finale dei dazi. Senza scordare che sulla crescita incombono ancora, oltre ai dazi, le tensioni geopolitiche e i conflitti bellici. Le maggiori istituzioni economiche internazionali hanno già rivisto all’ingiù le previsioni sulla crescita economica mondiale nel 2025, riportandole nella fascia 2%-3%, con 0,4-0,5 punti percentualiin meno rispetto a quanto registrato nel 2024. Queste previsioni sono state peraltro pubblicate tra aprile e giugno, sulla base dei dati disponibili. In caso di appesantimento dei dazi, il rischio è che anche queste stime debbano essere riviste. Nonostante il difficile contesto geopolitico e le incertezze sul piano economico, le Borse mondiali nel complesso sin qui hanno tenuto, andando anche oltre le aspettative. Dopo la caduta di inizio aprile, in coincidenza con l’annuncio di Trump su una raffica di dazi, i listini azionari sono risaliti. L’impressione di fondo della maggior parte degli investitori sin qui è stata che i negoziati degli USA con gli altri Paesi avrebbero portato a limitazioni degli aumenti dei dazi. Inoltre, gli utili aziendali sono rimasti complessivamente a livelli abbastanza soddisfacenti, pur se alcuni segnali di rallentamento anche su questo piano ci sono. Vedremo presto il bilancio del secondo trimestre. Ma questo quadro di tenuta dei mercati comunque rischia ora di essere intaccato. Con i suoi ultimi annunci sui dazi, Trump ha nuovamente portato in alto le tensioni commerciali e adesso occorre quindi vedere come la prendono le Borse, a ricominciare da oggi. L’indice borsistico mondiale MSCI ACWI in dollari USA alla chiusura di quest’ultimo venerdì era ancora attorno ai massimi, con un progresso del 13% rispetto a un anno prima. L’indice americano S&P 500 era in rialzo dell’11%, l’indice europeo STOXX 600 era in progresso di circa il 5%. Ci sono però anche indici in cui il segno positivo su base annua quest’ultimo venerdì non c’era. Tra questi purtroppo lo SMI svizzero e il Nikkei 225 giapponese, entrambi in ribasso di circa il 3% in rapporto a un anno prima. Segnali premonitori di turbolenze più ampie o situazioni temporanee in via di superamento? Da oggi in poi avremo una serie di risposte. Un accentuarsi dello scontro sui commerci mondiali potrebbe portare nuove turbolenze anche sul versante valutario. Il dollaro USA è già in fase di debolezza, il rischio tuttavia è che possa perdere ulteriore terreno, per due ragioni principali: l’offensiva condotta da Trump potrebbe far crescere la diffidenza di una parte dei Paesi e degli investitori nei confronti dell’Amministrazione USA, ritenuta meno affidabile; i conti pubblici statunitensi, con deficit e debito elevati, restano tutt’altro che in ordine e ciò anche potrebbe far allontanare dal dollaro altri investitori. Con maggiori incertezze, il franco svizzero, già molto forte, potrebbe viceversa rimanere a livelli alti.