Aziende

Il futuro dell’agricoltura passa dalla tecnologia spaziale

Presto la grande distribuzione in Svizzera venderà ortaggi a foglia prodotti in modo automatizzato e con risparmi di acqua e terra di oltre il 90%
Un impianto di produzione come quello operativo nel New Jersey, negli USA (foto), sarà presto realtà anche in Svizzera. © Elevate Farms
Dimitri Loringett
28.09.2024 06:00

Una doccia di 12 minuti? Circa 80 litri d’acqua. Ed è anche la quantità d’acqua necessaria per coltivare un singolo cespo di lattuga con metodi agricoli convenzionali. Mangiare ortaggi a foglia è un’attività quotidiana (come lo è farsi una doccia) che, per via dei consumi idrici (si pensi anche al lavaggio), «pesa» sugli ecosistemi naturali, specie quelli più fragili. Come fare per ridurre i consumi e gli sprechi e, al contempo, non incrementare i prezzi delle onnipresenti foglie verdi? Una soluzione c’è e non consiste nel privarsi di un alimento essenziale (o lavarsi meno di frequente...).

Parliamo di agricoltura verticale (vertical farming), un concetto certo non nuovo ma che sta prendendo sempre più piede in molte aree del globo, tipicamente laddove scarseggiano i terreni coltivabili (o dove non ce ne sono proprio, come per esempio a Singapore). Ma anche e soprattutto laddove c’è l’esigenza di produrre a «chilometro zero».

Fra questi c’è la Svizzera, dove presto si inizierà a coltivare lattuga (e altri ortaggi a foglia) in un capannone nel Canton Soletta, a pochi passi da uno dei maggiori centri di distribuzione di prodotti alimentari del Paese, utilizzando oltre il 90% di acqua e terra in meno e, non da ultimo, senza pesticidi. «Non vogliamo sostituirci agli agricoltori, ma piuttosto lavorare al loro fianco e in collaborazione con i grossisti per ridurre le importazioni di prodotti freschi dall’estero, come dal sud della Spagna o dall’Africa settentrionale», chiarisce al CdT Amin Jadavji, imprenditore canadese trapiantato in Ticino che, assieme al ricercatore norvegese Per Aage Lysaa, ha creato Elevate Farms per commercializzare un sistema di coltivazione che va ben oltre quello idroponico o simili.

«Buona parte dei progetti di coltivazione verticale nel mondo sono generalmente piccole, qualcuno in uno scantinato, in un garage o su un tetto e molti sono nel frattempo falliti perché non sostenibili economicamente», spiega Amin. «In sostanza, non fanno molto di più di quanto facevano gli antichi egizi: «seminare» nell’acqua, mettere la pianta sotto la luce e infine raccogliere. La sfida vera per me era come fare questo su vasta scala e in modo economico». Secondo Amin, infatti, negli ultimi anni miliardi di dollari sono stati investiti, anche da colossi tecnologici quali Google e Amazon, in progetti che promettevano di cambiare il mondo e nutrire le persone ma che, in definitiva, sono risultati «elitari». «Sono andati sul mercato con prodotti, certamente di ottima qualità, venduti a cinque volte il prezzo di mercato, accessibili solo all’1% della popolazione», afferma.

Dallo spazio alla tavola

L’imprenditore canadese ha un passato nel settore manifatturiero: ha trasformato la Metro Paper Industries di Toronto in una delle più grandi e tecnologicamente avanzate aziende produttrici di carta velina (per tovaglioli, fazzoletti ecc.), acquistando e installando apparecchiature di automazione e sviluppando un software per monitorare l’intero impianto di produzione. Il ricercatore norvegese, dal canto suo, vanta 25 anni di esperienza nella ricerca e nello sviluppo della fotobiologia e di sistemi di crescita delle piante in ambiente controllato presso l’ESA, la NASA e l’Università di Guelph (Canada), dove ha incontrato, casualmente, Amin.

«L’ESA - racconta Amin - ha di fatto finanziato il lavoro iniziale di come produrre cibo nello spazio, partendo dalle ricerche di Per degli anni ’90 sugli effetti della variazione del colore della luce sugli allevamenti ittici nei Paesi scandinavi. Grazie a questa ricerca abbiamo potuto sviluppare degli ambienti controllati, delle specie di camere sigillate ipertecnologiche, in cui possiamo cambiare tutte le variabili: colori della luce, umidità, temperatura, nutrienti. Misuriamo in seguito la risposta delle piante. Il sistema genera molti dati e abbiamo quindi creato un algoritmo che di fatto gestisce il tutto il processo».

Ortaggi a chilometro zero

La ricerca di Per Aage Lysaa non si limitava naturalmente alla lattuga o altri ortaggi a foglia, ma era molto più ampia, per esempio riguardava pomodori, peperoni e anche la frutta. Allora perché Elevate Farms si focalizza sulla «banale» lattuga? Principalmente per due motivi, risponde Amin: «Le verdure a foglia hanno un ciclo semplice. Si semina, la crescita è quasi lineare e quando si raggiunge le dimensioni giuste si taglia e si mette in un sacchetto, pronta per la distribuzione. Mentre per i pomodori bisogna far crescere una vite, poi un fiore (e potrebbe essere necessario impollinare con le api). E infine arrivano i frutti che bisogna raccogliere».

L’altro motivo è di natura logistica. Ancora Amin: «I pomodori si possono conservare, l’insalata no. La lattuga ha una durata di conservazione massima di 14 giorni e di solito 5 di questi vanno persi nella catena di approvvigionamento, di cui buona parte nel solo trasporto. Negli Stati Uniti, per esempio, il 90% degli ortaggi a foglia è prodotto in California e Arizona, mentre 2/3 della popolazione si trovano sulla costa orientale. Il trasporto è quasi sempre su strada, che dura almeno tre giorni, a cui si deve aggiungere la lavorazione intermedia, quindi per arrivare sul mercato ci vogliono circa cinque giorni. In Europa, il due terzi della produzione europea su base annua proviene dal sud della Spagna. E quindi abbiamo una situazione simile a quella negli USA».

A questo proposito, il nostro interlocutore ci propone un esempio vicino a noi che spiega bene la problematicità della logistica. «La scorsa estate un grande gruppo svizzero, soggetto all’obbligo contrattuale di fornire insalata a una catena di fast food in Svizzera, ha riscontrato problemi per via del caldo in Spagna. Non riuscendo a procurarsi il prodotto dalla penisola iberica, ha iniziato a trasportarlo per via aerea dalla California. È stato solo per un breve periodo, ma la Svizzera ha capito che deve trovare un modo per assicurare che non accada di nuovo».

Riuscita l'iniziativa per l'alimentazione sicura, si andrà al voto

L’iniziativa «Per un’alimentazione sicura – mediante il rafforzamento di una produzione nazionale sostenibile, più derrate alimentari vegetali e acqua potabile pulita», inoltrata lo scorso 16 agosto, è formalmente riuscita. Lo ha annunciato questa settimana la Cancelleria federale. Delle 113.060 firme depositate, 112.736 sono risultate valide. Ne sarebbero state necessarie almeno 100 mila. Il testo chiede che la produzione alimentare in Svizzera si concentri sempre più su alimenti di origine vegetale per raggiungere una maggiore autosufficienza e acqua potabile. All'origine dell'iniziativa vi sono Franziska Herren dell'associazione «Acqua pulita per tutti» e altre sei persone. La Herren è già stata la forza trainante dell'iniziativa sull'acqua potabile che era stata respinta alle urne nel giugno 2021.