L'analisi

Il lusso tra crisi e ripresa

Il settore dei prodotti di alta gamma è entrato in una prima fase di rallentamento (escludendo il biennio pandemico) dopo anni di crescita
©FXQuadro
Dimitri Loringett
26.07.2025 06:00

Per alcuni è crisi profonda, per altri le prospettive rimangono solide. La situazione reale si colloca probabilmente in mezzo ai due estremi, sta di fatto però che il settore del lusso, che a livello globale si stima valga attorno ai 1.500 miliardi di euro al 2024, sta passando una fase «turbolenta» e si trova di fronte al suo primo rallentamento da 15 anni a questa parte (escluso naturalmente la crisi pandemica). Nel solo segmento dei beni personali di lusso, dopo il forte rimbalzo post-Covid che ha portato il mercato a valere 369 miliardi di euro nel 2023, si è registrata una lieve flessione a 364 miliardi l’anno scorso (-1% a tassi correnti), mentre nel primo trimestre di quest’anno il mercato mostra un calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente dell’1-3% a tassi correnti.

Stando a un recente rapporto pubblicato dalla società di consulenza strategica internazionale Bain & Company e stilato in collaborazione con l’associazione dell’industria italiana dei beni di lusso Altagamma, le «perturbazioni» del mercato sono esacerbate da incertezze economiche, tensioni geopolitiche e cambiamenti culturali che erodono la fiducia dei consumatori.

Rifocalizzarsi sui fondamentali

Il rapporto di Bain & Company e Altagamma avverte che le turbolenze potrebbero diventare la «nuova normalità» per un periodo prolungato, richiedendo ai brand di ripensare le proprie proposte di valore. In particolare, l’invito è di rifocalizzarsi sui fondamentali del lusso, come ad esempio proposte di valore chiare e distintive radicate nella qualità reale dei prodotti e logiche di prezzo ben strutturate. Secondo gli analisti, i marchi dovrebbero inoltre coltivare il desiderio tra i consumatori e costruire posizioni uniche e identificabili. «È ciò che il settore fa e che ha sempre fatto – afferma al CdT la responsabile globale Moda e Lusso di Bain & Company e autrice dello studio Claudia D’Arpizio. C’è stata però una fase nella quale, dopo una forte crescita post-Covid, le strategie dei marchi hanno dapprima puntato sull’allargamento della base dei consumatori, e in particolare sui giovani, per poi riposizionarsi in modo importante sui ricchi e gli ultraricchi con anche dei forti incrementi di prezzo, che però i consumatori hanno considerato un po’ esagerati. Ora stiamo vivendo una fase dove i consumatori stanno mostrando un certo “distacco” da questi marchi o prodotti, anche “fisico”: si stima infatti che l’anno scorso il settore abbia perso circa 50 milioni di consumatori nel mondo. Quindi, quando diciamo che serve un ritorno ai fondamentali, diciamo anche che va riscoperta la cosiddetta “purpose”, il senso per l’acquisto di un determinato prodotto. Ai consumatori va in qualche modo spiegato, giustificato quello che si paga».

Lo studio rileva inoltre come i marchi tradizionali, con identità diluite e creatività simili, perdono terreno a favore di quelli agili, autentici e culturalmente radicati. Inoltre, il retail multimarca è sotto pressione: oltre il 70% dei marchi riduce i volumi per il canale e gli operatori devono evolvere verso una customer experience più coinvolgente. E, alla fine, ne soffrono i margini operativi, che soffrono dal 2021.  

Il «made in China» piace ai cinesi

Sul piano della domanda in termini geografici, gli analisti di Bain & Company rilevano come Stati Uniti e Cina mostrano una domanda contenuta. Mentre però negli USA resiste una domanda legata ai beni «accessibili», in Cina emerge l’interesse per i marchi locali e i prodotti essenziali. «Cominciamo in effetti a vedere segnali significativi di spostamento da prodotti occidentali a quelli locali – conferma D’Arpizio – per esempio nel ramo della gioielleria, dove ci sono una serie di marchi che interpretano meglio anche i gusti locali e soprattutto si rifanno a una simbologia tradizionale cinese con maggiore autenticità rispetto ai marchi internazionali. E questo ritrovato interesse per la propria cultura passa soprattutto dai giovani, che sembrano aver superato uno stigma nei confronti del “made in China”».

Secondo l’esperta, il fenomeno è alimentato anche dalla «cross-fertilizzazione culturale» esercitata dalla pop culture coreana, soprattutto sui 20-30.enni (Gen Z). «Ma questa “nuova” competizione è una cosa positiva perché stimola da una parte la creatività e, dall’altra, obbliga i brand a conoscere meglio i consumatori locali», commenta l’esperta.

Prospettive comunque solide

Guardando però avanti, per gli analisti di Bain & Co. le prospettive restano solide a medio-lungo termine: nei prossimi cinque anni si prevedono infatti oltre 300 milioni di nuovi consumatori (oltre il 50% appartenenti alla Gen Z e Alpha), redditi globali in crescita e un aumento del 20% di persone cosiddette HNWI (High Net Worth Individual) «Va ridimensionata l’idea che il settore del lusso sia in crisi – sostiene Claudia D’Arpizio –le difficoltà di questa fase sono legate alla dinamica dei prezzi (e del calo dei volumi), ma questa è un’industria resiliente e con fondamentali solidi», conclude Claudia D’Arpizio.