Il rallentamento della Cina si ripercuote sul petrolio

La caduta di oltre l’uno percento verificatasi all’inizio di questa settimana è stata causata dalla pubblicazione dei dati sulla crescita economica cinese, che indicano un aumento del PIL del 6,3% su base annua nel secondo trimestre, rispetto al 7,3% che gli analisti si attendevano. La Cina è il secondo consumatore mondiale di petrolio dopo gli Stati Uniti. La correzione è venuta dopo settimane di crescita in cui i prezzi avevano raggiunto i massimi dallo scorso aprile, sostenuti dai tagli operati dall’OPEC e dai suoi alleati e dalle limitazioni intervenute nell’export di Libia e Nigeria. L’export saudita è diminuito a maggio di 388 mila barili fermandosi al di sotto dei 7 milioni (6,93) giornalieri.
Raffinazione in aumento
Tuttavia non è solo Pechino, ove peraltro è aumentata sensibilmente l’attività di raffinazione, a incidere sul fronte della domanda. Un rapporto pubblicato dalla JODI-Joint Organization Data Initiative indica che nel mese di maggio è stato registrato un aumento di tre milioni di barili giornalieri rispetto al mese precedente, soprattutto da parte di India, Arabia Saudita e Stati Uniti, a fronte di un calo dell’estrazione di 0,8 milioni di barili in Arabia Saudita, Canada e USA. Anche le riserve di greggio sono scese di 10 milioni di barili, con 324 milioni, al di sotto della media pluriennale.
Frattanto la Russia si appresta a ridurre l’export di greggio dai porti del Baltico di 500 mila barili giornalieri, secondo quanto rivela il giornale russo Kommersant. L’export complessivo di Mosca via mare dovrebbe quindi scendere a 2,9-3 milioni di barili giornalieri, come concertato con Riyadh.
Il greggio di riferimento russo, definito Urals, ha superato per la prima volta il tetto di prezzo stabilito dal G7 allo scopo di tagliare le entrate di Mosca, portandosi a oltre i 60 dollari il barile. Il superamento di questa soglia costituisce una sorta di vittoria per il Cremlino, indicando la possibilità di trasportare e distribuire il suo petrolio senza l’intervento di istituzioni occidentali. Le sanzioni prevedevano infatti la possibilità di usare navi e compagnie di assicurazione occidentali solo se il prezzo si manteneva al di sotto di tale soglia. L’export di petrolio russo ha segnato forti incrementi soprattutto verso l’Asia, Cina e India in testa, oltre a Singapore, Emirati e Turchia.
Offerta OPEC in calo
La scorsa settimana l’OPEC ha pubblicato le sue previsioni per il 2024, indicando un possibile lieve rallentamento nonostante l’espansione della domanda da parte di Cina e India. La domanda globale dovrebbe salire di 2,5 milioni di barili giornalieri (+2,2%), mentre i tagli decisi dall’Organizzazione appaiono destinati a essere mantenuti anche nel nuovo anno.
Questo scenario appare più ottimistico rispetto a quello delineato dalla IEA-International Energy Agency, secondo cui l’aumento della domanda risulterebbe appena superiore all’uno percento. Il rapporto dell’OPEC considera anche l’inflazione, destinata a calare nella seconda parte del 2023 e nel 2024, e i tassi d’interesse, che dovrebbero raggiungere il loro picco verso la fine del 2023. Lo scenario per il greggio delineato dall’OPEC è quello in cui la domanda cresce più dell’offerta, soprattutto per i limiti dei produttori non-OPEC, che potrebbero contribuire solamente con 1,4 milioni di barili giornalieri, determinando un deficit di circa 30 milioni di barili.
Intanto in giugno la produzione OPEC è salita di 91 mila barili giornalieri raggiungendo i 28,19 milioni, grazie al contributo di Iraq e Iran, membro esentato dai tagli di produzione decisi a Vienna. Al momento gli Stati Uniti sono il maggiore produttore non OPEC ma, secondo il rapporto, nel 2024 la produzione di shale oil dovrebbe scendere dagli attuali 730 mila barili giornalieri a 500 mila, quindi non in grado di scalfire il cartello.
I rappresentati OPEC non mancano poi di sottolineare i problemi che, a medio e lungo termine, deriveranno dai mancati investimenti nel settore petrolifero, oggetto - secondo alcuni analisti - di opposizione pregiudiziale e ideologica, a vantaggio di fonti energetiche alternative valide ma non in grado - e questo ancora per molto tempo - di sostituire quelle tradizionali.