L’intervista

«Il settore finanziario è solido e resta un traino per la Svizzera»

Sergio Ermotti, presidente del CdA di Swiss Re, a 360 gradi su presente e futuro dell’economia, su scala locale e globale
© Keystone/Elia Bianchi
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
11.06.2021 06:00

In questo Focus Economia l’intervista a Sergio Ermotti, che dall’aprile scorso è presidente del Consiglio di Amministrazione di Swiss Re. Ad Ermotti, in precedenza a lungo CEO di UBS, abbiamo posto alcune domande sulla sua nuova carica, sulla situazione economica a livello internazionale e svizzero, sulle prospettive per il Ticino.

Come valuta questo suo primo periodo alla presidenza del CdA di Swiss Re?

«Ho assunto la presidenza nell’aprile scorso, ma ero già membro del Consiglio di Amministrazione di Swiss Re da un anno. In quei dodici mesi ho avuto la possibilità di attuare un percorso di integrazione, di conoscere il gruppo, il suo management, i colleghi del CdA e di essere a stretto contatto con il presidente uscente Walter Kielholz. Ho potuto prepararmi bene e devo quindi dire che l’approdo alla presidenza di Swiss Re è stato molto buono. Ora ho la possibilità di focalizzarmi sull’implementazione della nostra strategia e sul futuro del gruppo».

Quali sono le particolarità delle attività e delle strategie di un gruppo riassicurativo?

«Occorre anzitutto chiarire che le riassicurazioni sono diverse dalle assicurazioni primarie. I riassicuratori lavorano normalmente su rischi che possono essere anche molto elevati, devono convivere con la volatilità dei risultati finanziari, che fa parte del modello di business. Negli ultimi due anni, ad esempio, ci sono state molte catastrofi naturali e c’è stata una pandemia, eventi che per un riassicuratore significano fungere da ammortizzatore per le perdite dei suoi clienti e del sistema economico. Alcuni di questi rischi sono presi in considerazione dai modelli di calcolo dei premi. Può succedere che questi eventi straordinari incidano negativamente sul conto economico di un singolo anno. Per i nostri azionisti è però importante ottenere una redditività soddisfacente sul capitale impiegato a medio termine. Definire una strategia in questa attività significa trovare equilibri tra questi vari versanti, sapendo che qualche evento inaspettato ci sarà sempre. Occorre anche cercare di capire quali rischi in futuro potranno essere ancora riassicurabili e a che condizioni e quali invece no. Per quest’ultimi si dovranno trovare soluzioni alternative che possono passare per esempio da collaborazioni fra il settore pubblico e il privato».

Come vede il quadro economico internazionale e quello svizzero?

«A livello internazionale dopo la contrazione economica dovuta alla pandemia è iniziata una ripresa marcata, soprattutto negli Stati Uniti ma per certi aspetti anche in Europa. Le previsioni ad un certo punto erano più negative, anche perché la pandemia è arrivata in un momento in cui, dopo anni di buona crescita, l’economia internazionale già mostrava chiari segni di rallentamento. L’ondata del virus ha fatto non pochi danni, ma ora il rimbalzo sta diventando più robusto. La Svizzera è stata più virtuosa nella gestione dell’impatto economico del coronavirus, è riuscita più di altri a limitare i danni; il rimbalzo per l’economia elvetica quest’anno sarà molto buono, ci vorrà però un po’ più di tempo per ritornare agli stessi livelli del PIL del 2019, probabilmente ciò accadrà nella prima parte dell’anno prossimo».

Qual è ora la situazione per il settore finanziario, in Svizzera e più in generale?

«All’interno del settore finanziario le assicurazioni stanno crescendo più delle banche, ma il settore finanziario nel suo complesso resta trainante per l’economia svizzera. A livello mondiale, la finanza si è mostrata solida durante questa crisi da pandemia; a differenza del biennio della crisi finanziaria 2007-08, che ha toccato soprattutto il settore bancario, la finanza questa volta è stata parte della soluzione, non è stata il problema. La finanza ha gestito nel complesso bene i propri rischi ed ha aiutato i clienti e le economie ad affrontare la crisi».

Si parla ancora di possibili nuove fusioni, il tema rimarrà all’ordine del giorno nel settore?

«Il tema delle fusioni per le banche e per la finanza emerge sempre più chiaramente. Certo, acquisizioni e fusioni non possono essere solo una questione di risparmio di costi, occorre che abbiano anche una valenza strategica che permetta di ottimizzare tutte le sinergie. In molti casi non c’è abbastanza diversificazione delle attività o non ci sono sufficienti masse critiche per supportare gli investimenti necessari per tenersi al passo sul fronte regolamentare, come pure quelli per le nuove tecnologie che servono per restare competitivi. In Svizzera abbiamo già avuto un notevole consolidamento, ma credo che anche da noi in qualche misura ci saranno altre fusioni».

Qual è la sua valutazione sui rapporti tra Svizzera e Unione europea, dopo il recente no del Consiglio federale all’accordo quadro?

«La Svizzera ha bisogno di avere un buon rapporto con l’Unione europea, dobbiamo mantenere e adattare i Bilaterali con l’UE. Detto ciò, penso che il Consiglio federale abbia fatto bene a interrompere, seppur con un po’ di ritardo, le trattative sull’accordo quadro, che aveva difficoltà ad ottenere una maggioranza solida. Penso che ulteriori giri di negoziazioni, con eventuali concessioni da tutte e due le parti, senza ottenere poi il supporto del Parlamento e del Popolo, avrebbero peggiorato in maniera più importante il clima politico interno e le relazioni con l’UE. Ora dobbiamo rimanere freddi e valutare attentamente eventuali reazioni di ritorsione da parte dell’UE. Credo che anche Bruxelles abbia interesse a non arrivare a misure estreme. Come Svizzera dobbiamo però prepararci a tutti gli scenari, cioè avere non solo un piano B ma anche un piano C, D, etc. Dobbiamo pensare ad alternative su come rimanere competitivi a livello globale anche in futuro».

Come valuta le dinamiche del franco e la politica della Banca nazionale svizzera?

«Occorre premettere che la Svizzera è storicamente abituata ad avere un cambio forte e le imprese, e l’economia in generale, hanno sempre avuto la capacità di adattarsi nel tempo. Inoltre, il franco forte ha anche alcuni vantaggi, tra i quali quello di un import meno caro. Detto questo, è anche comprensibile che la BNS abbia cercato a suo tempo di frenare il franco per evitare eccessivi problemi all’export svizzero, attraverso acquisti di valute estere e con la soglia di 1,20 con l’euro. L’uscita da questa soglia nel 2015 secondo me non è stata però gestita in maniera ottimale. Ora siamo in una situazione in cui alcuni elementi pesano maggiormente. Pensiamo ai tassi negativi, che alla lunga creano problemi non solo alle banche, ma anche al risparmio più in generale; e pensiamo al bilancio della BNS, che è ormai molto ampio e che presenta maggiori rischi rispetto a qualche anno fa. Su franco e politica BNS occorre una nuova riflessione anche se bisogna riconoscere che in questo momento non è facile per la BNS distanziarsi troppo dall’approccio della Federal Reserve e della Banca centrale europea».

In Ticino ci sono pareri spesso diversi sul quadro economico del cantone. Quali sono a suo avviso le prospettive per l’economia ticinese?

«L’economia ticinese è ben diversificata, le misure anti pandemia sono state gestite bene, a livello di occupazione il cantone nel complesso ha una buona posizione. Il virus ha danneggiato alcuni settori, ma altri hanno tenuto e altri ancora hanno fatto passi avanti. In futuro AlpTransit e la nuova galleria del Monte Ceneri avranno un impatto importante, miglioreranno le relazioni Nord-Sud e l’accesso all’Italia, anche se a Sud di Lugano rimane ancora molto da fare. È positivo che il Ticino sia meglio agganciato alla Great Zurich Area. Il Ticino potrà essere ancor più interessante come base per sviluppare nuove attività. Quello che mi preoccupa è la migrazione strutturale dei giovani ticinesi: che vadano a studiare o a fare esperienze lavorative altrove va bene, ma dovrebbero poi almeno in parte poter tornare. Dobbiamo puntare a ulteriormente sviluppare centri di eccellenza per quel che riguarda le strutture universitarie, la digitalizzazione, l’industria e i servizi, la finanza, che nel cantone mantiene un ruolo di rilievo nonostante i cambiamenti degli anni scorsi».

Lei fa parte della società di investimento SPAC di Investindustrial ed è membro del CdA del Corriere del Ticino. Come descrive questi suoi altri impegni?

«Quando ho lasciato la carica di CEO di UBS avevo detto che sarei entrato in una nuova fase della mia vita professionale ed è quello che sta accadendo. Il lavoro da presidente del CdA di Swiss Re è a tempo pieno, ma mi consente un po’ più di flessibilità nella gestione del tempo. C’è spazio anche per altri impegni e nuove esperienze. Una è quella appunto della SPAC con Investindustrial, dove possono essere utili le conoscenze professionali e personali che ho accumulato negli anni. Un’altra, diversa, è quella di membro del CdA del Corriere del Ticino. In questo caso ho accettato volentieri di dare la mia disponibilità ad una importante realtà del tessuto dove sono nato e cresciuto. Il mondo dei media è già molto cambiato negli ultimi decenni, anche attraverso le tecnologie e i diversi modi del pubblico di fruire delle notizie. Il cambiamento continua. Ci sono anche sfide e incertezze nel settore, certo, credo però che ci siano anche tante opportunità da cogliere».

Le riassicurazioni e i numeri del gruppo elvetico

L’assunzione di copertura di rischi presa nei confronti di clienti privati o aziendali (ad esempio per epidemie, tempeste, inondazioni, terremoti, malattie, polizze vita) può essere troppo grande per le società di assicurazione, indipendentemente dalla loro solidità finanziaria. Questi rischi possono infatti essere anche di centinaia di milioni o addirittura di miliardi. Quindi piccoli, medi e grandi gruppi assicurativi acquistano a loro volta un’assicurazione da un riassicuratore. Ecco dunque la caratteristica di fondo dell’attività riassicurativa. Swiss Re è leader a livello mondiale nel settore; nel 2020 ha registrato premi netti per 40,7 miliardi di dollari. Dopo le perdite dell’anno scorso causate dalla pandemia, il gruppo zurighese è tornato in attivo nei primi tre mesi del 2021, con un utile netto trimestrale di 333 milioni di dollari (300 milioni di franchi al cambio attuale).