Italia, «Economia e politica: vere bombe a orologeria»

Presentato a Lugano il nuovo libro di Daniele Capezzone “Bomba a orologeria - L’autunno rovente della politica italiana”. L’autore, noto editorialista e commentatore televisivo delle reti Mediaset, già parlamentare e presidente di Commissioni, è stato ospite del Lions Club Campione d’Italia.
Durante l’incontro ha dibattuto, con il presidente del Club Valentino Benicchio e Fabio Sacchi, editore di Ticino Economico, un’ampia gamma di temi, dalla politica italiana ed internazionale alla crisi energetica. Riguardo ai temi economici, Capezzone ha sottolineato le difficoltà in cui versano molte aziende italiane, soprattutto le PMI in crisi di liquidità, a fronte di un ottimismo non corrispondente alla realtà che i Governi precedenti, incluso quello Draghi, andavano mostrando. Ora, per il nuovo Governo, ha indicato Capezzone, il rischio è dato «dall’illusione di non avere avversari», mentre la vera opposizione è rappresentata dalle difficoltà in cui versano famiglie e imprese. A margine dell’evento abbiamo rivolto alcune domande a Daniele Capezzone.
Ritiene possibile un reale rilancio economico, sostegno alle famiglie e imprese, investimenti in grado di sviluppare il mercato del lavoro, fermi restando gli attuali vincoli di bilancio dell’Unione Europea?
«La mia opinione è che, se l’Italia vuole garantirsi una crescita robusta negli anni, deve operare un significativo taglio della pressione fiscale. Per farlo, occorre necessariamente operare corrispondenti tagli agli sprechi e alla spesa pubblica in eccesso. L’Italia spende ogni anno oltre 1000 miliardi di euro: sarebbe sufficiente intervenire sul 3-4% di questa massa di spesa per ricavare un margine di 30-40 miliardi da destinare alle riduzioni fiscali. Ovviamente non è facile, ma è questa la strada maestra, che mi auguro venga intrapresa a partire dalla legge di bilancio del prossimo anno, visto che quella appena varata ha forzatamente destinato i due terzi delle risorse al caro bollette».
A fronte dell’emergenza che si avvicina, sono ipotizzabili nuove iniziative da parte della Banca Centrale Europea (BCE) e un ammorbidimento verso una condivisione del debito dei Paesi più «problematici»?
«Al momento mi pare che la BCE non abbia le idee chiarissime. Per lunghi mesi, ha perfino negato - con la signora Lagarde - il carattere duraturo dell’impennata inflazionistica, derubricandola erroneamente a fiammata transitoria. Mi auguro che nei prossimi mesi a Francoforte siano più avveduti nel leggere ciò che accadrà».
Del resto l’intransigenza tedesca si trova a fare i conti con un «modello» indebolito, visto che poggiava su energia, materie prime e componenti tecnologici (semiconduttori) a flusso costante ed a basso prezzo. Ora tutto questo è venuto a mancare.
«Mi pare che la Germania pensi soprattutto a se stessa, non certo ai destini comuni... Il mega stanziamento tedesco da 200 miliardi serve a questo: ad evitare la desertificazione del suo sistema industriale e produttivo».
Cosa pensa degli obiettivi «green» ? Troppo ideologici, affrettati, dai costi economici e sociali eccessivi ? Tali da porre l’Europa – e l’Italia – in una posizione concorrenziale perdente rispetto ad altre aree?
«Un errore esiziale. Perseguendo la linea ecofondamentalista, costruiremo povertà, decrescita, e un costo devastante a carico dei ceti medi. Tutto ciò mentre la Cina, per fare un esempio, continua a bruciare carbone come se non ci fosse un domani, rendendo quindi i nostri sforzi inutili per l’ambiente, e controproducenti per la nostra economia».
La Cina ha accumulato materie prime e tecnologia, ha un quasi-monopolio per certi metalli e materiali strategici, come le terre rare. Esiste non solo il rischio di una forte dipendenza unilaterale, ma anche di una loro «weaponization», come sta accadendo ora con gas e petrolio russo?
«È così. Dopo aver incautamente infilato la testa nelle fauci dell’orso russo sull’energia, nell’ultimo decennio, adesso i sonnambuli europei vorrebbero infilarla nelle fauci del dragone cinese, creando un’altrettanto strutturale dipendenza da Pechino nei prossimi anni, e per giunta determinando le condizioni per farci invadere dai loro prodotti, inevitabilmente realizzati a costi più bassi».
Cosa pensa dei «price cap» a gas e petrolio? Esiste il rischio boomerang sui prezzi e un ancor più accentuato riorientamento dei flussi verso l’Asia, come già sta accadendo?
«A Bruxelles ne parlano da dieci mesi e non l’hanno realizzato. E peraltro, quand’anche l’avessero fatto, avrebbero fatto i conti senza l’oste: perché il venditore può sempre cercarsi altri acquirenti rispetto ai mercati europei. È il solito mix di incompetenza e inconcludenza Ue».
Burocrazia e lentezza della giustizia civile tengono lontano molti investitori stranieri. Si potrà fare qualcosa a breve termine in questi ambiti ?
«È doveroso farlo. Insieme alla pressione fiscale eccessiva e al caos regolatorio-burocratico, l’incertezza e le insidie della giustizia civile rappresentano uno dei tre fattori di potente scoraggiamento verso gli investitori esteri».