La BNS non toccherà i tassi, il rischio deflazione è tenue

La prossima settimana la Banca nazionale svizzera (BNS) non dovrebbe abbassare i tassi d’interesse guida portandoli sotto lo zero. E questo nonostante il tasso d’inflazione sia praticamente nullo. La gran parte degli analisti si dice convinta che non vi sia un pericolo di deflazione, fattore che farebbe scattare le contromisure della Banca nazionale che ha quale obiettivo principale la stabilità dei prezzi.
«Il presidente della direzione della BNS, Martin Schlegel, ha ripetutamente dichiarato che la soglia d’intervento è significativamente più alta per tagliare i tassi d’interesse quando sono a zero rispetto a quando sono positivi», afferma GianLuigi Mandruzzato, Senior Economist presso EFG Asset Management a Lugano, intervenuto nella tradizionale chiacchierata informale tra giornalisti e analisti di EFG la settimana precedente la decisione di politica monetaria.
Gli ultimi dati economici sono stati misti. Il Prodotto interno lordo (PIL) del terzo trimestre è stato più debole del previsto, «ma gli indicatori più recenti, come il sentiment aziendale KOF e gli indicatori PMI della domanda per le esportazioni svizzere, indicano un miglioramento dell’attività economica», continua Mandruzzato, il quale precisa che «non sorprende che l’aumento della fiducia delle imprese svizzere rifletta gli sviluppi nel resto dell’Europa, principale mercato di sbocco della Svizzera».
Sale l’industria, calano i servizi
Dagli indici PMI (Purchasing Managers’ Index) calcolati da UBS e resi noti ieri emerge un sentimento di maggiore ottimismo nell’industria e minore nei servizi. Bisogna ricordare che questi indicatori misurano il comportamento dei manager che, nelle imprese, si occupano degli acquisti aziendali.
Per quanto riguarda l’industria, il parametro si è attestato in novembre a 49,7 punti, in progresso di 1,5 punti rispetto a ottobre. L’indicatore si conferma, seppur ancora per un soffio, al di sotto della soglia di crescita fissata a 50: è il 35.esimo mese consecutivo in cui ciò avviene. Tuttavia, il dato è anche il migliore dalla fine del 2022 e si colloca nella fascia alta delle previsioni degli analisti interrogati dall’agenzia AWP, che andavano da 48,5 a 50,0 punti.
Passando ai servizi, il relativo indice PMI si è attestato in novembre a 45,3 punti, con un peggioramento mensile di 2,5 punti. L’indicatore rimane in modo ancora più netto sotto la soglia di crescita ed è chiaramente inferiore alle aspettative degli economisti, che scommettevano su valori compresi tra 48,5 e 50,4 punti.
In entrambi i settori – industria e servizi – può essere osservato con particolare attenzione il segmento dell’impiego: nel ramo secondario il relativo sottoindice è salito a 49,6 (+2,9 punti mensili), mentre nel terziario ha raggiunto 46,5 punti (+2,7 punti). Proprio quest’ultimo dato ha evitato che l’indicatore dei servizi scendesse in maniera ancora più marcata, emerge dall’analisi di UBS.
L’incognita dei dazi
C’è però ancora l’incognita legata ai dazi commerciali. «Il recente Memorandum d’intesa con gli Stati Uniti riguardo una futura riduzione delle tariffe statunitensi sui beni svizzeri al 15% dall’attuale 39% alimenta le speranze per un ulteriore miglioramento del ciclo economico svizzero. Tuttavia, rimane incertezza sulla tempistica dell’implementazione dell’accordo, il che potrebbe portare le aziende a posticipare investimenti ed esportazioni verso gli Stati Uniti, con effetti negativi sul PIL svizzero nel breve termine», commenta Mandruzzato.
Stando al sondaggio effettuato da UBS, il 40% delle aziende industriali (dato analogo a ottobre) afferma di aver vissuto un aumento degli ostacoli al commercio negli ultimi dodici mesi. L’accordo di massima sui dazi sottoscritto fra Berna e Washington ha però un impatto sulle prospettive: la quota di imprese industriali che prevedono un aumento delle barriere è scesa a un quarto (–20 punti percentuali rispetto a ottobre), attestandosi al valore più basso dall’introduzione di questa domanda speciale, nel dicembre 2024.
Capitolo inflazione
Ci sono anche altri aspetti che potrebbero far pendere la bilancia verso un taglio dei tassi. L’inflazione, per esempio, è stata più bassa del previsto. «Mentre a settembre la BNS prevedeva un tasso d’inflazione medio dello 0,4% su base annua nel quarto trimestre del 2025, i dati dell’Ufficio federale di statistica indicano una media tra lo zero e lo 0,1% anno su anno. Inoltre, il calo dei prezzi del petrolio e la riduzione annunciata dei prezzi dell’elettricità il prossimo gennaio aumentano il rischio che l’inflazione torni negativa all’inizio del prossimo anno».
«Sebbene l’attuale bassa inflazione rifletta per lo più l’apprezzamento passato del tasso di cambio, che si è stabilizzato nella seconda metà del 2025, e altri fattori al di fuori del controllo della BNS, inclusi i bassi prezzi delle materie prime, la banca centrale sarà comunque sotto pressione per impedire che una bassa inflazione si radichi nelle aspettative del settore privato», fa notare Mandruzzato. «Tuttavia, solo una forte revisione al ribasso della previsione condizionale d’inflazione della BNS, che indichi un periodo prolungato di inflazione molto bassa, se non negativa, potrebbe giustificare il ritorno dei tassi negativi. Ma questo sembra improbabile nella fase attuale», conclude l’economista di EFG.
Anche i mercati sposano questa tesi, visto che attribuiscono solo una probabilità del 25% che ciò si realizzi nel 2026.
