Politica monetaria

La BNS verso lo statu quo, ma resta guardinga

Giovedì prossimo la Banca nazionale riferirà sulla situazione economica in Svizzera – Le attese degli analisti sono per un tasso guida invariato allo 0% – Rimangano però molte incognite, a partire dai dazi statunitensi che, se confermati al 39%, avranno un probabile impatto sulla crescita del PIL elvetico
© Keystone/Peter Klaunzer
Dimitri Loringett
18.09.2025 21:59

Il consueto «esame trimestrale della situazione economica e monetaria» della Banca nazionale svizzera, in calendario giovedì prossimo, rischia di essere un evento avaro di sorprese. Eppure, la situazione geoeconomica globale è piena di incognite, alimentate soprattutto dai continui colpi di scena provenienti da oltre Atlantico, che pongono gli economisti dell’istituto d’emissione elvetico, come quelli di tutte le banche centrali, davanti a sfide importanti. Ma la Svizzera, rispetto ad altre economie, in questa fase parrebbe trovarsi in una situazione congiunturale relativamente buona: la pressione inflazionistica è piuttosto bassa, il mercato del lavoro mostra segnali di stabilizzazione (e addirittura continua a creare posti) e le aspettative di crescita sono ancora tutto sommate solide (la BNS prevede una progressione del Prodotto interno lordo all’1% quest’anno) – tutti elementi che verosimilmente porteranno la BNS a mantenere invariato il tasso guida all’attuale livello dello 0%. Ne è convinto, tra gli altri, GianLuigi Mandruzzato, economista senior di EFG Bank, mentre Gero Jung, responsabile della strategia di investimento presso la Banca cantonale del Vallese, ricorda che il presidente della BNS Martin Schlegel ha spesso affermato di non volere i tassi negativi, salvo in caso di crisi. «E non vi è alcuna situazione di crisi» in Svizzera, afferma Jung, aggiungendo inoltre come durante l’estate l’istituto centrale non è intervenuto sul mercato dei cambi, segno che il tanto temuto apprezzamento della valuta elvetica non si è materializzato.

Ancora sull’inflazione, il capo economista di EFG Stefan Gerlach osserva che la pressione al ribasso è sì diminuita (attualmente tasso del rincaro in Svizzera si attesta al +0,2%), ma «utilizzando i dati destagionalizzati, si vede che l’inflazione è stata quasi esattamente dell’1% negli ultimi tre mesi, quindi non c’è alcun motivo di preoccuparsi della deflazione».

Insomma, i presupposti per un «non intervento» della BNS, giovedì prossimo, ci sono tutti. Ma Martin Schlegel e colleghi rimangono guardinghi: «Pur mantenendo aperte tutte le opzioni, è improbabile che la BNS fornisca indicazioni precise sulla futura politica monetaria», sostiene Mandruzzato. Infatti, le incognite sono ancora molte, a partire dalla questione dei dazi sull’export svizzero verso gli USA che, se confermata la tariffa doganale del 39%, avranno un probabile impatto sulla crescita del PIL svizzero. «Lo shock sembra per ora sostenibile, anche perché i prodotti farmaceutici e l’oro, che rappresentano oltre la metà delle esportazioni svizzere verso gli Stati Uniti, sono esenti dai dazi, almeno per il momento», annota ancora l’economista senior di EFG Bank, aggiungendo che «i dazi statunitensi saranno inoltre meno significativi per settori come quello degli orologi di lusso e della meccanica di precisione, in cui le aziende svizzere sono leader e i cui prodotti non hanno sostituti a livello globale».

Esportazioni in calo

Le esportazioni svizzere hanno subito un nuovo calo in agosto, come già in luglio, influenzate in particolare dall'andamento negativo del comparto orologiero, in un contesto di scambi con gli Stati Uniti in forte flessione: il valore totale dei beni venduti all'estero è sceso dell'1,0% rispetto al mese prima, quando era già stata osservata una contrazione del 2,4%. In lieve aumentano risultano per contro le importazioni, salite dello 0,4%.

Le variazioni indicate sono nominali: in termini reali (cioè corrette dell'effetto dei prezzi) si sono attestate rispettivamente a +2,4% (export) e +0,6% (import), emerge dai dati pubblicati oggi dall'Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC). Hanno preso la via dell'estero merci per 22,0 miliardi di franchi, mentre in direzione opposta i movimenti ammontano a 18,1 miliardi: il periodo in rassegna si chiude quindi con un'eccedenza di 3,9 miliardi.

Nel confronto con luglio i principali settori dell'export hanno avuto un andamento non del tutto uniforme, ma in generale verso il basso. Il ramo di gran lunga più importante, la chimica-farmaceutica, segna (a livello nominale) +0,5% (a 11,9 miliardi di franchi); seguono le macchine e l'elettronica (-2,0% a 2,6 miliardi), l'orologeria (-8,6% a 2,1 miliardi) e gli strumenti di precisione (-4,3% a 1,4 miliardi).

A livello geografico il continente più interessante per i prodotti elvetici rimane l'Europa (+1,6% a 13,3 miliardi), con un contributo importante fornito da Germania (+5,8% a 3,7 miliardi), Slovenia (-9,4% a 2,1 miliardi), Italia (-21,3% a 1,4 miliardi) e Francia (+23,9% a 1,2 miliardi). In forte flessione è il Nord America (-12,6% a 3,7 miliardi): gli Stati Uniti, malgrado il deciso calo (-22,1% a 3,1 miliardi), rimangono comunque il secondo maggiore importatore di merci dalla Confederazione dopo la Germania; ma interessante è anche il dato del Canada, in forte progressione (+67,7% a 0,4 miliardi). Fa un piccolo passo indietro l'Asia (-0,6% a 4,5 miliardi), nonostante un certo dinamismo della Cina (+3,8% a 1,2 miliardi).

Anche sul fronte delle importazioni il settore più importante rimane quello chimico-farmaceutico (+0,5% a 5,7 miliardi), seguito da macchine ed elettronica (-3,5% a 2,7 miliardi), veicoli (+2,7% a 1,8 miliardi), alimentari (+2,5% a 1,3 miliardi) e metalli (-1,2% a 1,2 miliardi). Riguardo alle regioni, in progressione è l'Europa (+1,0% a 13,2 miliardi), mentre sostanzialmente stabili sono l'Asia (-0,2% a 3,3 miliardi) e il Nord America (+0,2% a 1,1 miliardi).