La calma prima della tempesta? I mercati «snobbano» (per ora) la «Big Beautiful Bill» di Trump

Da qualche tempo la raffica di annunci, proclami o finanche decisioni della Casa Bianca non sembrano preoccupare troppo i mercati finanziari d’oltre Atlantico: gli indici di Borsa sono ai massimi di sempre e la caduta del dollaro, benché da inizio anno abbia perso il 10% circa del suo valore nel confronto delle maggiori valute globali, si è (per ora) fermata.
E nemmeno le decisioni che provengono dal Congresso sembrano spaventare gli investitori, come l’approvazione in via definitiva, lo scorso 3 luglio, dell’ormai famosa One Big Beautiful Bill (OBBB), la controversa legge di bilancio fortemente voluta dall’amministrazione Trump che, tra le molte altre cose, farebbe lievitare l’enorme debito pubblico degli Stati Uniti da 36 mila miliardi di dollari di ulteriori tremila miliardi sull’arco dei prossimi dieci anni.
Ma nel lungo termine la OBBB viene comunque considerata pericolosa per il mercato dei titoli di Stato americani (Treasury bond), perché rappresenta un segnale di imprudenza fiscale e rischia di innescare una spirale di tassi di interesse più elevati e di minare la stabilità finanziaria. Eppure, la reazione dei cosiddetti bond vigilantes (investitori e operatori di mercato) è stata finora relativamente contenuta. Non come a gennaio di quest’anno quando, lo ricordiamo, i «vigili del mercato» avevano «protestato» contro le paventate politiche monetarie e fiscali dell’amministrazione Trump che percepivano come inflazionistiche vendendo i titoli di Stato, facendo così salire i rendimenti a livelli record (sulla scadenza decennale si erano spinti fino al 4,8%, il più alto dal 2008).
Dal Liberation Day, invece, i rendimenti dei Treasury decennali sono rimasti pressoché stabili e di poco sotto la soglia del 4,5%. Secondo Daniel Murray, CEO di EFG Asset Management Switzerland e Global Head of Research del gruppo bancario zurighese, «i mercati faticano a concentrarsi su più di una cosa alla volta e in questa fase il tema dominante è, di nuovo, quello dei dazi. Credo quindi che sia questo il motivo per cui l’azione dei bond vigilantes si sia un po’ calmata. Inoltre, bisogna dire che il mercato aveva verosimilmente già “scontato” l’esito del voto al Congresso».
Presto o tardi, però, la maxi manovra di bilancio del Governo USA sarà attuata e gli effetti si faranno sentire. Come, ad esempio, sulle obbligazioni del Tesoro americano. Stando a un sondaggio condotto in questi giorni da Reuters, oltre tre quarti degli operatori di mercato ritiene che la domanda di titoli di Stato americani sarà leggermente inferiore all’offerta nel prossimo semestre. Ciò significherebbe rendimenti più elevati (per l’effetto inverso rispetto ai prezzi) e non è irragionevole attendersi che possano salire attorno al 5% (sempre sulla scadenza decennale). «C’è un circolo vizioso per cui meno responsabile è la posizione fiscale, più i rendimenti aumentano e maggiori diventano i costi di servizio del debito e, ovviamente, più alto è il rapporto tra debito e PIL – osserva Murray – e questo è l’aspetto più problematico perché poi diventa molto più difficile “sgonfiare” il debito».
Come uscirne quindi? Semplice, almeno per Donald Trump: basta ridurre il costo del denaro. Ecco quindi il perché dei suoi reiterati attacchi alla Federal Reserve, criticata perché non ha ancora tagliato i tassi dei Fed funds, rimasti invariati dal dicembre scorso, quando l’istituto d’emissione diretto da Jerome Powell li aveva abbassati nella forchetta attuale tra il 4,25% e il 4,5%. Ma le condizioni per tagliare i tassi continuano a non essere favorevoli: oltre al mercato del lavoro tuttora sui livelli di «piena occupazione», l’inflazione rimane sostenuta e addirittura in lieve aumento (+0,3% a giugno, +2,7% sull’anno), indicando che gli effetti dei dazi commerciali annunciati (e in parte applicati) da Trump si stanno facendo sentire, rimandando quindi un intervento della Fed verosimilmente all’autunno. Ne sapremo di più quando il comitato dei governatori dell’istituto (FOMC) si riunirà il prossimo 29-30 luglio, «ma dubito che ci saranno sorprese – afferma l’esperto di EFG – c’è però sempre un po’ di suspense. A parte ciò, da qui a fine mese verranno pubblicati ancora alcuni dati significativi, sul mercato del lavoro e sui consumi, con in particolare l’indice PCE (Personal Consumption Expenditures), l’osservato speciale della Fed, quindi non si può escludere che qualcosa accada. In questa fase la Federal Reserve è quanto mai dipendente dai dati, molto più del solito, probabilmente per l’effetto delle pressioni politiche dell’amministrazione Trump, quindi è essenziale che le sue analisi siano solide e comprovati dai dati».
E sulle pressioni politiche sulla Fed, si fanno sempre più insistenti le voci di una nomina «anticipata» del successore di Jerome Powell, il cui mandato si conclude nel maggio 2026 (v. sotto). Ma Trump non può licenziare il presidente della Fed, c’è una sentenza della Corte Suprema del 1935 che di fatto lo impedisce. Ancora Murray: «Certo, Trump può giocare la carta della nomina anticipata, cosa che farebbe sicuramente rumore, nelle prime settimane almeno. Ma poi, nella pratica, non cambierebbe nulla, fino all’insediamento del successore di Powell. Tuttavia, una simile mossa da parte di Trump minerebbe la credibilità della Fed, più che la sua indipendenza. Ma non credo che l’obiettivo dell’amministrazione Trump sia prendere il controllo della Fed: come per gli operatori di mercato, al governo interessa in fin dei conti che la banca centrale attui il suo (doppio) mandato di favorire la piena occupazione e di tenere sotto controllo l’inflazione».
Bessent dopo Powell? «È un'opzione»
Donald Trump ha detto martedì che il segretario al Tesoro Scott Bessent potrebbe essere un candidato per sostituire il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, ma ha lasciato intendere che ciò potrebbe non accadere. Dopo essere atterrato alla base militare Joint Base Andrew, nel Maryland, a seguito di un viaggio a Pittsburgh, a Trump è stato chiesto se Bessent fosse la sua prima scelta per sostituire Powell: «È un’opzione ed è molto bravo. Be’, non lo è, perché mi piace il lavoro che sta facendo, giusto?», ha detto Trump ai giornalisti. Tra le altre persone prese in considerazione per sostituire Powell ci sono l’ex governatore della Fed Kevin Warsh e il principale consigliere economico di Trump, Kevin Hassett.