La congiuntura britannica tiene malgrado la Brexit

La Gran Bretagna evita la recessione: una buona notizia per il Governo conservatore in vista delle elezioni del 12 dicembre. L’economia britannica è cresciuta dello 0,3% nel trimestre giugno-settembre, secondo i dati resi noti ieri dall’Ufficio nazionale di Statistica (Ons). Gli analisti avevano previsto un aumento dello 0,4%.
Nel trimestre precedente c’era stato un calo dello 0,2%, quindi un altro segno negativo avrebbe portato la Gran Bretagna in recessione tecnica. Grazie allo scampato pericolo, la sterlina ha subito guadagnato l’1% sul dollaro ed è salita ai massimi da sei mesi sull’euro.
Qui finiscono le buone notizie: i dati dell’Ons dimostrano infatti che l’economia britannica sta crescendo al ritmo più lento da quasi dieci anni, indebolita dalle incertezze su Brexit che hanno frenato produzione e investimenti. La crescita del PIL annuale è rallentata dall’1,3% all’1%, appena sotto la crescita dell’1,1% registrata dall’Eurozona.
Luglio positivo
Il dato positivo trimestrale è dovuto soprattutto all’andamento dell’economia nel mese di luglio, trainata come sempre dai servizi. In agosto (-0,2%) e settembre (-0,1%) invece c’è stata una contrazione del PIL, che solleva il timore di un progressivo peggioramento della congiuntura nell’ultimo trimestre dell’anno.
«I dati dimostrano che non c’è stato l’auspicato rilancio dell’economia dopo la contrazione nel secondo trimestre», ha commentato Ruth Gregory, senior UK economist di Capital Economics. «Con le elezioni tra meno di cinque settimane, non sono queste le notizie positive che il Governo avrebbe sperato di ricevere».
Sajid Javid, cancelliere dello Scacchiere (ministro delle Finanze), invece ha espresso soddisfazione per la «solidità» dell’economia britannica, dichiarando che i dati sul PIL sono «un altro segnale che i fondamentali sono forti. Con i conservatori abbiamo avuto nove anni consecutivi di crescita, che sarebbe frenata dal vandalismo economico proposto dai laburisti».
L’opposizione laburista ha prontamente risposto. «Il fatto che il Governo festeggi una crescita annuale dell’1% dimostra quanto siano basse le loro aspettative per l’economia», ha detto il cancelliere-ombra John McDonnell.
L’incertezza politica in Gran Bretagna e il rallentamento dell’economia globale potrebbero convincere la Banca d’Inghilterra a tagliare i tassi d’interesse l’anno prossimo. All’ultima riunione la settimana scorsa la Monetary Policy Committee aveva lasciato invariati i tassi ma la consueta unanimità era stata infranta, con due membri su nove a favore di un taglio immediato per sostenere l’economia.
Molta incertezza
La Banca d’Inghilterra ha anche rivisto al rialzo le previsioni di crescita per il 2019, dall’1,3% all’1,4 %, lo stesso livello dell’anno scorso. Prima del referendum del 2016 l’economia britannica cresceva a ritmi superiori al 2% ma la crisi politica legata alla Brexit e i continui rinvii della data di uscita della Gran Bretagna dalla UE hanno frenato la crescita e paralizzato gli investimenti. Secondo i dati Ons resi noti ieri gli investimenti sono calati dello 0,6% quest’anno, mentre la produzione manufatturiera è calata dell’1,8%.
Elezioni in vista
Il Partito conservatore conta di vincere le elezioni, riconquistare la maggioranza in Parlamento e far approvare l’accordo di recesso dalla UE entro la nuova scadenza di fine gennaio, rendendo finalmente la Brexit una realtà. La speranza è che la fine dell’incertezza possa rilanciare l’economia.
L’agenzia di rating Moody’s è meno ottimista e ha appena rivisto al ribasso le prospettive per la Gran Bretagna da «stabili» a «negative». Il credit rating, che attualmente è Aa2, potrebbe essere rivisto al ribasso perché Brexit ha causato una «paralisi decisionale». La Gran Bretagna aveva perso il rating AAA nel 2013, che la Germania invece mantiene, ed era stata nuovamente retrocessa nel 2017 dopo il referendum.
Per Moody’s le promesse di forti aumenti della spesa pubblica fatte da entrambi i partiti per raccogliere consensi in vista delle elezioni rischiano di «erodere la credibilità finanziaria della Gran Bretagna».