La «criptofebbre» cinese è arrivata in Texas

Cripto-cowboys cinesi alla conquista del Texas. Quello che come titolo potrebbe sembrare un remake dei «Leningrad Cowboys» del vecchio film di Aki Kaurismäki è invece una realtà tangibile già da qualche mese: la massiccia migrazione dei minatori digitali cinesi verso il Texas, accelerata dalla progressiva stretta di Pechino e culminata con il recente bando totale a tutte le transazioni finanziarie effettuate con criptovalute (compresi i servizi di exchange stranieri verso cittadini cinesi). Mentre il Dragone proibisce bitcoin e simili, infatti, nell’ex Far West è scattata una nuova febbre dell’oro, con i «minatori digitali» dagli occhi a mandorla al posto di quelli a caccia di pepite di oltre un secolo e mezzo fa. Ma perché gli operatori cinesi stanno guardando proprio al Texas?
Gli atout
A favore dello Stato della Stella solitaria giocano diversi fattori: il basso prezzo dell’elettricità, grazie alle abbondanti risorse petrolifere e rinnovabili, ma anche la normativa favorevole voluta dal Governatore Greg Abbott, che sta cercando di fare del Texas la nuova frontiera del «mining». Negli ultimi mesi il mercato cinese delle criptovalute, primo al mondo con il 70% delle imprese del settore, è stato ostacolato sia dalle singole province dove si concentravano gli operatori (a partire dalla Mongolia Interna, con Xinjiang, Qinghai, Yunnan e Sichuan a seguire) che dalle autorità centrali. La motivazione ufficiale risiede nell’eccessiva fame di energia delle criptoindustrie: ciascuno delle decine di migliaia di supercomputer che producono bitcoin consuma oltre 2mila kWh di energia al mese, il sestuplo di una famiglia cinese, mettendo a repentaglio non solo gli obiettivi di sostenibilità di Pechino, ma anche la sicurezza energetica del Dragone, in un momento per giunta in cui l’elettricità scarseggia e i black-out si moltiplicano. Ma dietro alla guerra di Pechino al mondo cripto potrebbe anche esserci il desiderio di concentrare gli sforzi sullo yuan digitale, la valuta elettronica di Stato con cui la Cina è in pole position mondiale (con l’obiettivo di contrastare lo strapotere del dollaro sui mercati finanziari).
Il Texas è stato rapido nel cogliere l’occasione. In giugno ha inserito blockchain e criptovalute nella sua normativa commerciale, preceduto negli USA solo dallo Wyoming. A far gola ai cinesi è soprattutto il prezzo dell’energia, che in Texas è tra i più bassi al mondo grazie all’abbondanza di risorse (petrolio, fracking, eolico, solare) e soprattutto alla liberalizzazione della rete elettrica. Le cripto imprese del Dragone non ci hanno pensato due volte. BIT Mining, colosso di Shenzhen, ha annunciato investimenti per 26 milioni di dollari per un data center nel minuscolo paesino di Rockdale, vicino ad Austin, un tempo famoso per la produzione di alluminio. Gli operatori dello Stato della Stella solitaria hanno anche messo in piedi la loro associazione, la Texas Blockchain Council, che sottolinea con orgoglio come l’arrivo dei cinesi sia destinato ad arricchire gli USA di talenti e tecnologie. Anche altri Stati americani si sono accodati: in maggio il Kentucky, ricco di carbone, ha introdotto detrazioni fiscali a chi investe almeno un milione di dollari in attività legate alle criptovalute.
Gli effetti di lungo periodo
Con una rete di «mining» meno concentrata nel Dragone e più equilibrata come distribuzione geografica probabilmente il prezzo del bitcoin sarà un po’ meno volatile del solito. Questo perché il mondo delle criptovalute si ritroverà meno esposto alle strette regolamentari di un singolo Paese o addirittura di una sola provincia come, appunto, Xinjiang o Yunnan.
Certo, agli occhi dei cinesi anche in Texas non è tutto oro quel che luccica: c’è un costo del lavoro molto più alto rispetto a quello dell’ex Impero di Mezzo, procedure burocratiche meno snelle e frequenti black-out elettrici. Anche la logistica, rispetto all’alternativa del vicino Kazakistan (vedi scheda) non è il massimo: la penuria di container legata all’onda lunga della pandemia rallenta il trasferimento di macchinari dalla Cina agli Stati Uniti. Ma alla fine si tratta di problemi risolvibili, in un Texas che comunque rappresenta uno dei non molti luoghi al mondo dove l’industria delle criptovalute è la benvenuta. Per i cowboy digitali dagli occhi a mandorla il gioco, senza dubbio, vale la candela.