La pensione? Una questione di rendimento

Nonostante il vento timidamente ottimista, per l’anno in corso sui mercati finanziari continuerà a soffiare l’incertezza, al punto che è praticamente impossibile fare previsioni accurate. Guardiamo allora al 2024, anno che ha chiuso in positivo e che ha portato alle circa 1.300 casse pensioni svizzere rendimenti sugli averi pensionistici giudicati «ottimi» dagli esperti della Banca cantonale di Zurigo (ZKB) nella loro analisi periodica condotta per conto di Swisscanto. In media l’anno scorso i capitali previdenziali in Svizzera sono stati remunerati con un tasso d’interesse del 4,3% - un valore quindi vicino alla media del 5,1% calcolato da ZKB/Swisscanto nell’ultimo ventennio e, soprattutto, ben al di sopra del minimo di legge fissato dal Consiglio federale, che l’anno scorso lo aveva aumentato all’1,25%.
Anche le riserve a disposizione hanno beneficiato del buon andamento dei mercati: alla fine del 2024 le casse pensioni svizzere avevano un tasso di copertura media del 117%, secondo ZKB/Swisscanto. Il dato trova un riscontro simile anche presso VZ VermögensZentrum, che in uno studio comparativo rileva una «forchetta» tra il 119% e il 102,5% fra gli oltre 30 istituti pensionistici collettivi più grandi in Svizzera.
Occhio al «tasso tecnico»
Lo studio di VZ dedica una sezione a un aspetto che interessa da vicino i futuri pensionati e che è stato oggetto, quasi un anno fa, di un recente referendum: l’aliquota di conversione, ovvero il tasso mediante il quale si trasforma il proprio capitale previdenziale cumulato negli anni in una rendita, che per legge è attualmente fissato al 6,8%. Per fare un esempio pratico, applicando tale tasso a un avere di vecchiaia di 500 mila franchi si ottiene una rendita di 34 mila franchi annui. L’aliquota di conversione, spiegano gli esperti di VZ, è legata direttamente al cosiddetto tasso d’interesse tecnico, che può essere descritto come rendimento atteso sugli averi risparmiati (capitale di copertura, in gergo tecnico). «Conformemente alle più recenti basi biometriche - scrive VZ- sarebbe necessario un tasso di interesse tecnico di circa il 4,5% per riuscire a garantire un’aliquota di conversione delle rendite pari al 6,8%. Con un tasso di interesse tecnico al 2% percento, l’aliquota di conversione tecnicamente rettificata è pari a circa il 5%».
Detto altrimenti, se scendono i rendimenti attesi - perché la Borsa va male o i tassi d’interessi rimangono su livelli inferiori al minimo di legge dell’1,25%, se non addirittura negativi - i nostri risparmi previdenziali «renderanno» meno.
Conversione «vincolata»
Nel settembre 2024 oltre due terzi delle svizzere e svizzeri respinsero la proposta di modifica della Legge federale sulla previdenza professionale (LPP) che, tra le altre cose, mirava a ridurre l’aliquota di conversione dal 6,8 al 6%, svantaggiando quindi i futuri pensionati. «Il tema dell’aliquota di conversione “ex-lege”, in realtà, riguarda solo una fascia minima degli assicurati, parliamo di circa il 15% dei circa 5 milioni di lavoratori e lavoratrici in Svizzera», afferma Mauro Guerra, direttore della Cassa Pensioni di Lugano (CPdL).
Va precisato che il tasso di conversione di legge si applica alla cosiddetta parte obbligatoria degli averi previdenziali, che prevede un salario assicurabile massimo pari a tre volte la rendita annua AVS, ovvero 90.720 franchi (valore aggiornato al 2025). La quota di salario che eccede questo limite non è assicurata obbligatoriamente ai sensi della LPP, ma può esserlo su base volontaria nel quadro della previdenza sovraobbligatoria.
«Le disposizioni di legge servono a stabilire la prestazione minima – spiega Guerra - ma si riferiscono ancora a parametri che potevano andare bene, diciamo, negli anni Ottanta o Novanta. Con il progressivo aumento del livello generale degli stipendi, la maggior parte degli averi previdenziali si è ormai accumulata nella parte cosiddetta sovraobbligatoria e gestita in piani pensionistici con caratteristiche proprie. Preso atto dell’evoluzione dell’offerta pensionistica e osservando i cambiamenti della società e del mondo del lavoro in atto, a mio parere, il legislatore dovrebbe intervenire sull’intera “impalcatura” del sistema, eliminando in particolare i parametri fissati per la parte obbligatoria, cioè il salario minimo e massimo assicurabile e l’aliquota di conversione che, ricordo, vale solo per l’età di riferimento AVS. Vincolare l’aliquota di conversione nella legge è un approccio superato dagli eventi, sarebbe meglio lasciare piena autonomia agli Enti previdenziali nel definire la struttura dei piani pensionistici, mentre il legislatore e l’Autorità di vigilanza dovrebbero agire a sostengo della loro stabilità nel lungo termine e soprattutto introdurre nuove regole e maggiori controlli del loro sistema di governo. Lo statu quo, a mio avviso, è una scelta rischiosa che potrebbe minare l’intero sistema previdenziale svizzero, una conquista sociale che nel tempo va tutelata e costantemente migliorata».
Tra la rendita e il capitale, si sceglie la classica via di mezzo
Oltre all’aliquota di conversione o i rendimenti (futuri) delle casse pensioni, a destare preoccupazione fra gli assicurati è il progetto del Consiglio federale presentato a gennaio che, nel contesto delle misure di sgravio del bilancio della Confederazione, prevede di limitare le agevolazioni fiscali al versamento degli averi previdenziali. Detto altrimenti, lo Stato vuole aumentare l’imposizione fiscale a coloro che scelgono di ritirare i propri averi pensionistici del secondo pilastro (e anche del terzo). Per questo, sempre più persone preferiscono percepire il capitale anziché la rendita al momento del pensionamento. Però, questa tendenza si registra già da un paio d’anni: secondo gli ultimi dati disponibili dell’Ufficio federale di statistica (UST), infatti, i pensionati nel 2023 (ultimo dato disponibile) hanno scelto per il 41% il capitale, per il 40% la rendita e per il 19% una combinazione fra i due. È la prima volta che la forma del prelievo totale vince sulla rendita, in passato non era mai successo: ancora nel 2015 la scelta per quest’ultime era al 50%.

Uno studio, sempre di VZ ma relativo proprio al tema della rendita/capitale, rileva una simile tendenza ma con dati un po’ differenti (e anche più «recenti»): il 27% del campione di 1.200 persone (lavoratori e pensionati) interrogati nella sola Svizzera tedesca fra fine gennaio e fine febbraio di quest’anno ha affermato di preferire solo la rendita, il 33% solo il capitale e il 40% una combinazione fra i due. Nel dettaglio, influiscono sulla scelta del solo capitale la possibilità di investire il denaro in modo autonomo (54%), il desiderio di lasciare qualcosa agli eredi (17%), considerazioni finanziarie come quelle relative alle imposte (10%) e la salute (8%). Chi invece opta per la combinazione apprezza soprattutto la sicurezza del reddito (35%). «Il motivo principale dell’aumento dei prelievi di capitale è probabilmente da ricercare nella riduzione del tassi di conversione», osserva Michael Imbach, responsabile di VZ in Ticino. «Va detto - precisa - che tale riduzione è possibile e in atto da tempo sulla parte sovraobbligatoria degli averi pensionistici. I dati dell’UST mostrano inoltre che sempre più persone apprezzano la flessibilità di poter disporre liberamente del proprio capitale: gli aspetti fiscali non sembrano avere invece un ruolo preponderante nella scelta».
Anche uno studio di PUBLICA (la cassa pensione della Confederazione, fra le maggiori nel Paese) giunge a simili conclusioni. Nel periodo 2013-2023 la quota di assicurati che ha deciso per la sola rendita è scesa dal 67% al 43%, quella per il ritiro di tutto il capitale è salita dal 6% al 20%, mentre quella per la soluzione «combinata» è salita dal 33% al 57%. «Nel tempo - scrivono gli autori - si osserva una crescita significativa della quota di prelievi, anche se questa tendenza sembra essere stata accelerata dalle riduzioni dell’aliquota di conversione (nel 2015 venne ridotta all’attuale 6,8%, ndr) e dalla semplificazione del prelievo di capitale. Le persone con un avere relativamente basso prelevano in proporzione un capitale nettamente maggiore». «A posteriori - aggiungono gli autori - la maggior parte degli assicurati prenderebbe di nuovo la stessa decisione e le considerazioni fiscali sono il motivo più citato per il prelievo di capitale».