L'analisi

La piazza finanziaria svizzera e le cifre della sua resilienza

Nonostante i molti ostacoli emersi a livello sia internazionale sia nazionale, il valore complessivo delle attività è aumentato - Negli ultimi anni l’economia rossocrociata nel suo insieme è cresciuta più del settore, che però ha saputo mantenere un ruolo importante
©Gabriele Putzu
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
13.11.2023 06:00

Non sono stati pochi gli ostacoli che la piazza bancaria e finanziaria svizzera ha affrontato nell’ultimo decennio. La fine del segreto bancario per i non residenti, l’aumento della concorrenza di altre piazze, le normative più stringenti a livello sia internazionale sia nazionale, l’aumento dei costi, il crescere degli investimenti necessari per adeguare le strutture alle nuove esigenze e alle nuove tecnologie. Questi sono alcuni dei nodi principali che la piazza elvetica ha dovuto gestire, all’interno di un percorso decennale di cambiamento. La finanza svizzera poteva uscirne nettamente ridimensionata e questo era d’altronde ciò che molti si aspettavano, soprattutto all’estero ma talvolta anche in patria. Ma non è andata così, c’è stata una chiara resilienza, come mostrano dati e fatti.

I numeri

Sul versante dei fattori positivi per la piazza elvetica c’erano e ci sono tra i capitoli maggiori il contenuto di professionalità e di esperienza della finanza svizzera, un’economia rossocrociata che ha tenuto meglio di molte altre, la forza e l’attrattività perduranti del franco, il funzionamento e l’affidabilità del sistema Paese. Il quadro che si è creato è stato dunque non solo di ombre vecchie e nuove ma anche di luci ancora una volta confermate. Ciò spiega la tenuta complessiva che la piazza svizzera ha potuto nonostante tutto registrare. I dati della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI) e della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), pubblicati negli Indicatori 2023, forniscono un quadro del percorso della finanza elvetica tra il 2012 e il 2022.

Il valore aggiunto creato dalla piazza finanziaria svizzera era di 66 miliardi di franchi nel 2012, di 65,5 miliardi nel 2017 e di 68,9 miliardi nel 2022. Disaggregando le attività in due grandi parti, si può vedere come i servizi finanziari siano leggermente scesi nel primo quinquennio considerato – da 36,5 miliardi a 34,8 miliardi – per poi però salire molto nettamente nel secondo quinquennio, a 40,1 miliardi; le attività assicurative sono invece salite nel primo quinquennio – da 29,5 miliardi a 30,7 miliardi – per poi scendere nel secondo a 28, 8 miliardi. Guardando al risultato complessivo, la piazza elvetica era nel 2022 a un livello più alto sia rispetto a cinque anni prima sia rispetto a dieci anni prima.

Le dinamiche

Quando si dice che la piazza finanziaria svizzera nel suo complesso negli ultimi anni non è cresciuta, si dice quindi qualcosa che non è esatto. È vero semmai che sia la piazza elvetica sia il Prodotto interno lordo svizzero sono cresciuti, il secondo di più. Il PIL rossocrociato era infatti a 643,6 miliardi di franchi nel 2012, a 684,6 miliardi nel 2017, a 771,2 miliardi nel 2022. Questo ha portato al fatto che la piazza finanziaria rappresentasse il 10,2% del PIL nel 2012, il 9,6% nel 2017 e l’8,9% nel 2022. La piazza è quindi cresciuta chiaramente anch’essa in termini assoluti, ma non in percentuale sul PIL. Altri rami dell’economia svizzera, legati all’industria e ai commerci, hanno guadagnato ancora maggior terreno nel decennio considerato.

La percentuale di 8,9% sul PIL registrata nel 2022 dalla piazza elvetica rappresenta comunque una percentuale di rilievo. Se si guarda ad alcuni Paesi di dimensioni maggiori, si può vedere come nel 2022 sui rispettivi PIL le piazze finanziarie non contino più di quella svizzera. Ad esempio, secondo la SFI per il Regno Unito il rapporto è 8,6%, per gli Stati Uniti è 8,3% (2021), per la Germania è 3,6%. È vero che invece per il Lussemburgo (2021) la percentuale è il 26,1% e che per Singapore è il 12,8%; sono senza dubbio cifre di rilievo, ma occorre anche considerare che si tratta in entrambi i casi di Paesi di dimensioni molto minori e con economie che non hanno la stessa diversificazione, in cui quindi anche un singolo ramo può assumere uno spazio molto ampio.

Gli organici

Tra le ombre c’è la riduzione del numero delle banche in Svizzera. Acquisizioni e fusioni, riorganizzazioni interne ai gruppi, cambiamenti di strategia sono tra i fattori che hanno contribuito alla riduzione. Le banche erano 312 nel 2012, 261 nel 2017 e 239 nel 2022. Per quel che riguarda gli organici della piazza elvetica, nel decennio questi sono scesi sia nei servizi finanziari sia nelle attività assicurative, ma c’è stata una crescita nelle attività ausiliarie a supporto di entrambi i rami. Questa ridistribuzione ha permesso di risalire nel complesso la china, dopo la caduta nel primo quinquennio. Il totale degli addetti era di 215.816 nel 2012, di 205.853 nel 2017, di 217.890 nel 2022. In rapporto all’occupazione complessiva in Svizzera, gli addetti della piazza sono in discesa contenuta: 5,2% nel 2022, contro il 5,3% del 2017 e il 5,8% del 2012.

UBS-Credit Suisse, riflettori accesi sull’integrazione che sta avanzando

Quando si parla di piazza finanziaria svizzera, in questa fase è naturale che molti riflettori si accendano subito sull’acquisizione del Credit Suisse da parte di UBS. È comprensibile, il settore bancario è una parte rilevante della finanza elvetica e il gruppo UBS è una parte rilevante del settore bancario. Non capita tutti i giorni, inoltre, che il primo istituto per dimensioni in un Paese ad alta concentrazione bancaria acquisisca il secondo istituto, caduto in crisi. Si tratta senza dubbio di una maxi operazione, molto seguita sia a livello nazionale sia a livello internazionale.

I risultati

La pubblicazione dei risultati nel terzo trimestre 2023 del nuovo gruppo UBS, nei giorni scorsi, ha dunque inevitabilmente generato molto interesse. È stata un’occasione per fare il punto sulle cifre, ma anche sull’integrazione del Credit Suisse. Sono emerse in sostanza le due facce della medaglia: il gruppo UBS da una parte ha accusato un rosso trimestrale a causa dei costi di integrazione, dall’altra però ha beneficiato della buona tenuta sul piano operativo e su quello dell’afflusso di fondi. E il mercato ha premiato il titolo UBS, guardando soprattutto a questa seconda faccia.

La perdita netta nel terzo trimestre 2023 è stata di 785 milioni di dollari (708 milioni di franchi al cambio attuale), cifra che si contrappone all’utile netto di 1,7 miliardi di dollari dello stesso periodo del 2022. Se il secondo trimestre di quest’anno si era caratterizzato per un maxi utile contabile legato allo scarto tra il prezzo pagato per l’acquisto del CS e il valore intrinseco di quest’ultimo, il terzo trimestre è stato segnato invece dagli oneri per l’integrazione della banca acquisita, integrazione che peraltro sta procedendo a passo sostenuto.

Una parte degli analisti si attendeva una perdita più contenuta in questo terzo trimestre, il primo intero a vedere il Credit Suisse all’interno dei conti del gruppo UBS. In ogni caso, molti operatori hanno guardato anche alla redditività operativa. È stato valutato positivamente il fatto che, escludendo gli effetti legati all’integrazione del CS, l’utile operativo sottostante prima delle imposte sia stato di 844 milioni di dollari, grazie al buon andamento dell’ampio ramo Global Wealth Management (gestione di patrimoni privati), seguito da Personal and Corporate Banking e da Asset Management (gestione di patrimoni istituzionali). Non è andato bene invece a livello di redditività il ramo Investment Bank.

Molti operatori hanno anche sottolineato l’entrata di capitali nel trimestre. L’afflusso netto di fondi è stato di 22 miliardi di dollari nel Global Wealth Management; per quel che riguarda i nuovi depositi netti, questi sono stati di 33 miliardi complessivi nello stesso GWM e nel Personal and Corporate, di cui 22 miliardi provenienti dalle strutture CS. I dati su redditività operativa e su afflussi e depositi hanno favorito alla Borsa di Zurigo il titolo UBS, che è andato al rialzo nel giorno della pubblicazione dei dati. Rispetto a inizio anno l’azione UBS quest’ultimo venerdì era in progresso di circa il 24%.

La ristrutturazione

L’annuncio del passaggio a UBS del Credit Suisse è arrivato nel marzo scorso; la conclusione legale è poi arrivata in giugno. Il CEO di UBS, Sergio Ermotti, ha sottolineato la velocità con cui l’integrazione sta procedendo e la fiducia che alla stessa UBS la clientela mostra, con una stabilizzazione delle attività CS. Il Credit Suisse è peraltro strutturalmente in perdita e ha portato in UBS disavanzi maggiori del previsto, ha aggiunto Ermotti. La ristrutturazione del CS è un’operazione ampia e impegnativa, ma il top manager ticinese si è detto convinto che le cose evolveranno in modo positivo. Occorrerà comunque proseguire nel piano di risparmi, dunque anche nei tagli a strutture e organici. L’organico del nuovo gruppo era a fine settembre di 115 mila addetti, circa 4 mila in meno rispetto a fine giugno. A fine 2022 l’organico complessivo era di circa 120 mila dipendenti, di cui 72 mila di UBS.