Energia

La «sete» di energia rinnovabile mette alla prova le reti di distribuzione

Il passaggio alle energie «pulite» procede spedito, ma le reti sono spesso inadatte e vanno ampliate - L'UE stima investimenti per oltre mille miliardi di euro
© David Dixon / Walney Offshore Windfarm (da Wikipedia)
Dimitri Loringett
13.06.2025 23:45

In Europa la via della transizione energetica basata sulle rinnovabili è tracciata e non si torna indietro. La quota delle rinnovabili nel settore energetico dell’UE è salita dal 34% nel 2019 al 47% nel 2024, con una capacità record di 168 gigawatt (GW) di energia solare e 44 GW di energia eolica installati solo tra il 2022 e il 2024, secondo i dati di Bruxelles. Ma la strada di questa transizione è in salita e irta d’ostacoli: il grave incidente verificatosi a fine aprile scorso sulla rete elettrica della Penisola iberica (con conseguente blackout in buona parte della Spagna e del Portogallo) ha infatti rivelato alcuni importanti limiti di questa transizione. Mentre si indaga su che cosa abbia provocato il collasso, si sa con certezza che l’interruzione di corrente è stata preceduta dalla disconnessione di due parchi solari nel sud della Spagna. Il sistema spagnolo è fortemente dipendente dalle energie rinnovabili, ma il problema non è la fonte energetica in sé, bensì che il sistema di rete non è stato aggiornato per tenere conto del fatto che gli impianti a energia solare non generano inerzia – l’energia cinetica creata dalla rotazione dei generatori – che può aiutare a stabilizzare una rete in caso di disturbi di potenza.

La domanda legittima è: si è forse corso troppo per produrre energia (rinnovabile) e poco per trasportarla? «In molti Paesi ci sono zone in cui l’energia prodotta non può essere trasportata o distribuita correttamente, con il rischio di sprechi, interruzioni o instabilità del sistema», osserva Barbara Antonioli Mantegazzini, professoressa ordinaria in Economia pubblica e in Politiche per la sostenibilità alla Supsi. «A livello sovranazionale – prosegue – ci sono ancora diversi “colli di bottiglia”, cioè strozzature nell’interconnessione delle reti. In un sistema europeo sempre più integrato, la capacità di scambiare elettricità in tempo reale e in modo coordinato tra Paesi è fondamentale per bilanciare domanda e offerta e garantire sicurezza, permettendo una migliore gestione dei picchi di consumo o delle interruzioni. Senza reti moderne, intelligenti e interconnesse, rischiamo di avere molta energia pulita che però non riusciamo a usare dove e quando serve».

Migliaia di miliardi per la rete

Quanto successo nella Penisola iberica ha messo in evidenza la necessità di maggiori investimenti nelle infrastrutture di rete. Secondo un rapporto della Commissione europea, tra il 40% e il 55% delle linee a bassa tensione supereranno i 40 anni entro il 2030, mentre la loro lunghezza è aumentata solo dello 0,8% tra il 2021 e il 2022. La settimana scorsa la Commissione ha inoltre pubblicato una guida per lo sviluppo delle reti elettriche in cui stima che nell’UE serviranno 730 miliardi di euro per investimenti nella distribuzione di energia e di altri 477 miliardi di euro per lo sviluppo delle reti di trasmissione entro il 2040.

Ma la sfida non è solo europea. Un rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) rileva che gli investimenti globali nelle reti elettriche hanno raggiunto la cifra record di 390 miliardi di dollari nel 2024 e sono destinati a superare i 400 miliardi nel 2025, con un aumento del 20% rispetto a un decennio fa. Ma la spesa per l’aggiornamento delle reti elettriche non ha tenuto il passo. Nel 2016, infatti, per ogni dollaro speso in nuova capacità di generazione, sono stati investiti nelle reti circa 60 centesimi. Secondo l’IEA, questo rapporto è sceso a meno di 40 centesimi con la diminuzione dei costi delle energie rinnovabili.

Sostenibilità economica

Un’altra prova di realtà per l’Europa è la constatazione che l’eolico offshore - un tempo annunciato come un potenziale elemento di svolta per le energie rinnovabili - oggi presenta problemi di sostenibilità economica. Il 7 maggio, il gigante danese Ørsted ha cancellato un importante progetto al largo della costa orientale della Gran Bretagna, Hornsey 4, infliggendo un duro colpo alle ambizioni del Paese di sviluppare 50 GW di capacità energetica pulita entro il 2050. Il recente aumento dei costi dei materiali ha costretto alla cancellazione, secondo Ørsted, che aveva già investito 5,5 miliardi di corone danesi (840,5 milioni di dollari) nel progetto. Il 16 maggio, inoltre, il governo olandese ha rinviato le gare d’appalto per due parchi eolici offshore con una capacità totale di 2 GW a causa della mancanza di interesse da parte dei potenziali offerenti. Diverse aziende hanno dichiarato di non vedere un business case valido per i progetti, che non offrivano agli sviluppatori alcuna sovvenzione governativa.

Questi due casi suggeriscono che progetti ad alta intensità di capitale come l’eolico offshore semplicemente non hanno senso economico senza il sostegno finanziario pubblico. Si può quindi parlare, come qualche economista ha già osservato, di «bad economics»? «Parlerei piuttosto di “misaligned economics”», risponde Antonioli Mantegazzini. «Negli ultimi anni – continua – l’aumento dei costi delle materie prime, l’inflazione e la crescita dei tassi d’interesse hanno inciso fortemente sulla sostenibilità finanziaria dei progetti, molti dei quali erano stati strutturati in un contesto diverso, con contratti a lungo termine e margini ridotti, spesso fissati prima dell’impennata dei costi. Più in generale, le difficoltà per alcuni progetti recenti, come nel caso di Ørsted, non sono tanto il segnale di un fallimento economico o tecnologico, quanto il risultato di un limitato coordinamento tra le diverse componenti del sistema: politiche, regole, incentivi, pianificazione industriale. Non si tratta di fare marcia indietro, ma di avanzare con una governance che sappia coniugare ambizione, realismo e capacità di attuazione».

«Sete» di corrente in Svizzera

Anche in Svizzera la rete elettrica va svecchiata (più del 60% delle linee ad altissima tensione hanno tra i 50 e gli 80 anni) e ampliata per rispondere alla «sete» crescente di corrente. Swissgrid, il gestore della rete elettrica nazionale, prevede di rafforzare l’infrastruttura esistente su 400 chilometri e di costruire 790 chilometri di linee nuove per accrescere la capacità di trasmissione di corrente. E, soprattutto, ha annunciato investimenti nell’ordine di 5,5 miliardi di franchi fino al 2040. Investimenti che si tradurranno, almeno in parte, in maggiori costi per i consumatori.

Ancora Barbara Antonioli Mantegazzini: «Il piano annunciato da Swissgrid fa parte di una strategia di lungo periodo di adeguamento della rete a un sistema elettrico sempre più decentrato, rinnovabile e interconnesso. Swissgrid non segue logiche commerciali tradizionali e può effettuare investimenti solo previa autorizzazione dell’ente regolatore, che consente di riversare i costi sugli utenti secondo meccanismi trasparenti e controllati. Questi investimenti sono inoltre indispensabili per garantire l’accesso sicuro all’energia importata, specialmente nei momenti di maggiore domanda, migliorando la stabilità complessiva del sistema elettrico continentale».

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