La sostenibilità, da obbligo a vantaggio competitivo

Dopo anni di dichiarazioni ambiziose e nonostante la «disaffezione» dell’amministrazione Trump per i criteri ESG (ambiente, sostenibilità e governo d’impresa), la sostenibilità aziendale torna d’attualità, con meno proclami e più pragmatismo. È quanto emerge dalla terza edizione dello studio The Visionary CEO’s Guide to Sustainability 2025, pubblicato di recente da Bain & Company. L’analisi, basata su oltre 35 mila dichiarazioni di amministratori delegati di 150 grandi aziende globali, mostra un cambiamento di paradigma, secondo cui la sostenibilità non è più tanto un imperativo etico o regolatorio, quanto una leva strategica per la creazione di valore. Detto altrimenti, adottare principi e attuare processi sostenibili «conviene».
Emissioni riducibili subito
Il potenziale di intervento è tutt’altro che trascurabile. Secondo Bain, infatti, fino al 25% delle emissioni globali di CO₂ già esistenti può essere ridotto già oggi attraverso misure economicamente vantaggiose. Si tratta di azioni concrete come l’efficienza energetica, l’adozione di modelli di economia circolare e la regionalizzazione delle catene di fornitura. Un ulteriore 32% delle emissioni aggiuntive previste, per esempio a seguito della crescita economica o che sorgessero dall’emergere di nuove tecnologie, potrebbe essere eliminato nel medio termine, con interventi che promettono ritorni economici positivi. Tuttavia, la velocità di questa transizione dipende da tre fattori chiave: regolamentazione, progresso tecnologico e comportamento dei consumatori. «Dopo anni di dichiarazioni ambiziose, i CEO stanno ricalibrando le loro strategie ESG alla luce delle reali condizioni di mercato», osserva Karl Strempel, partner di Bain e responsabile del gruppo Sustainability & Responsibility per Svizzera, Germania e Austria. «Oggi contano più le azioni delle parole».
Fornitori sostenibili
Il cambiamento non riguarda solo la comunicazione, ma anche le scelte operative. In ambito B2B (commercio interaziendale) la sostenibilità sta diventando un criterio d’acquisto sempre più rilevante. Un’indagine condotta da Bain su oltre 750 clienti aziendali nel mondo in settori come automotive, chimica, edilizia e ingegneria meccanica mostra che il 50% delle imprese acquista già più spesso da fornitori sostenibili, mentre il 70% prevede di aumentare questi acquisti nei prossimi tre anni. Il divario tra aziende «pioniere» e «ritardatarie» è netto. Il 90% delle prime prevede un impatto commerciale positivo dalle iniziative sostenibili, contro il 60% delle seconde. In mercati come India e Stati Uniti, la differenza è ancora più marcata, mentre in Europa il quadro normativo più avanzato sembra livellare le aspettative.
Gli effetti collaterali dell’IA
L’intelligenza artificiale potrebbe diventare un «alleato strategico» per la sostenibilità. Secondo un sondaggio su 400 dirigenti in nove Paesi (tra cui non figura però la Svizzera), l’80% ritiene che l’IA possa contribuire in modo significativo agli obiettivi ESG, ad esempio ottimizzando i consumi energetici o riducendo gli sprechi. Tuttavia, solo una minoranza (20%) è già in fase avanzata, con progetti scalabili e integrati. Ma l’impiego dell’IA crea un certo «conflitto di obiettivi». Un modello di scenario di Bain stima che, in una situazione di forte crescita, IA e data center potrebbero generare fino a 810 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno entro il 2035, pari al 2% delle emissioni globali e al 17% di quelle industriali. Negli Stati Uniti la quota di emissioni industriali legate all’IA potrebbe superare il 50% nello stesso orizzonte temporale. L’analisi di Bain evidenzia quindi una certa «tensione» fra i due aspetti: da un lato l’IA può contribuire a ridurre le emissioni nei processi industriali tradizionali - ottimizzando per esempio il consumo energetico, rendendo più efficienti le catene di fornitura o accelerando la decarbonizzazione - mentre dall’altro il suo stesso fabbisogno energetico comporta un «effetto collaterale» in termini di emissioni, soprattutto a causa dell’elevato consumo energetico dei data center e dell’addestramento dei cosiddetti grandi modelli linguistici (LLM). Lo studio Bain sottolinea inoltre che la rete elettrica e le fonti di energia sono fattori decisivi: se l’IA viene alimentata con energia verde, l’effetto netto può rimanere positivo. In assenza di queste condizioni, però, l’effetto compensativo si riduce o addirittura si annulla. «I data center sono energivori e nei Paesi che dipendono ancora dai combustibili fossili l’impronta di carbonio rischia di crescere rapidamente», avverte Deike Diers, partner di Bain a Zurigo. L’Europa, grazie alla transizione verso le rinnovabili, appare meglio posizionata per contenere l’impatto.
Sostenibilità e trasparenza
Anche sul fronte B2C (commercio da azienda a consumatore) la sostenibilità si conferma una priorità. L’80% dei 14 mila consumatori intervistati da Bain in nove Paesi (anche qui, la Svizzera non è fra questi) considera la sostenibilità un fattore importante nelle decisioni d’acquisto. Un terzo adotta già sei o più comportamenti sostenibili quotidiani, come ridurre i consumi, riciclare o scegliere prodotti locali. Tuttavia, costi elevati e scarsa informazione restano ostacoli significativi. Negli Stati Uniti i consumatori sono disposti a pagare in media il 13% in più per prodotti sostenibili, ma spesso i prezzi reali superano questa soglia. Inoltre, il 50% degli intervistati ritiene di non avere accesso a informazioni sufficienti per compiere scelte consapevoli. In questo contesto, l’IA generativa potrebbe giocare un ruolo chiave. Più della metà degli utenti di strumenti come ChatGPT li utilizza per vivere in modo più sostenibile e un terzo li impiega per trovare prodotti ecologici. La tecnologia, dunque, non è solo un motore di efficienza, ma anche un facilitatore di consapevolezza.
