L'analisi

La Svizzera mantiene la resilienza e affronta le sfide internazionali

La geopolitica e i dazi pesano sull’economia mondiale e si fanno sentire anche a queste latitudini, ma la tenuta elvetica c’è – Dopo aver evitato la recessione negli anni scorsi, la Confederazione gioca le sue carte per rimanere nell’area di crescita anche nel 2025
©JOHN G. MABANGLO
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
19.05.2025 06:00

Dal punto di vista della crescita economica la Svizzera ha confermato sin qui un buon grado di resilienza. Fatta eccezione per il 2020 pandemico, anno in cui la recessione fu mondiale e toccò inevitabilmente quindi anche le latitudini elvetiche, la Confederazione nell’ultimo decennio ha sempre registrato il segno positivo, in varia misura a seconda degli anni. Anche nel difficile triennio 2022-2024 l’economia elvetica ha evitato la recessione. Ora, per questo 2025 segnato non solo dalle già esistenti tensioni geopolitiche ma anche dai dazi USA, le previsioni prevalenti sono al momento di crescita, rallentata ma ancora crescita.

Le cifre

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha reso nota nei giorni scorsi la stima flash sul Prodotto interno lordo (PIL) svizzero nel primo trimestre di quest’anno. Vedremo all’inizio di giugno la stima definitiva, per ora si può registrare che il PIL è cresciuto dello 0,7% rispetto al trimestre precedente. Assumendo che il calcolo definitivo non sia lontano da questa indicazione, si può dire che si tratta del miglior ritmo di crescita da inizio 2023.

È utile ricordare che nello stesso periodo la crescita su base trimestrale è stata negli USA del -0,3% e nell’Unione europea dello 0,3%. Il Regno Unito si è pure posto allo 0,7%. Il dato negativo degli USA conferma che tra gennaio e marzo, prima dell’annuncio di aprile dei dazi di Trump, è salito l’import americano, per acquisire scorte a prezzi non ancora aumentati, e di contro è aumentato l’export di altri Paesi, tra i quali la Svizzera. È stato insomma un trimestre particolare. Per il resto del 2025 ovviamente molto dipenderà da quali dazi gli USA attueranno e da quali accordi ci saranno oppure no con Washington.

Resta il fatto che, pur in un quadro di chiaro rallentamento economico mondiale, la Svizzera ha manifestato sin qui la sua capacità di tenuta. Nell’Outlook globale di aprile, il Fondo monetario internazionale (FMI) ha indicato per la Confederazione una crescita dello 0,9% per l’intero 2025, dopo l’1,3% del 2024. Sono cifre, queste, quasi identiche a quelle delle previsioni di marzo della SECO, che ha indicato rispettivamente 1,3% e 1%, nella versione non corretta dagli eventi sportivi, che è quella considerata dall’FMI. Se così sarà nel 2025, non ci sarà certo da brindare, ma tenendo presente il difficile contesto internazionale ci sarà, questo sì, da prender nota di una nuova conferma della buona resilienza elvetica.

Il percorso

I dati dell’FMI consentono di vedere il cammino di questa resilienza economica della Svizzera. Nel decennio 2007-2016 la media della crescita annua elvetica è stata dell’1,8%, contro l’1,3% dell’insieme delle economie avanzate. Poi, l’aumento annuo del PIL è stato per la Svizzera migliore di quello medio delle economie avanzate nel 2018 e nel 2022. Nel 2020, anno di recessione internazionale a causa della pandemia, la Confederazione ha avuto una flessione del PIL minore rispetto all’insieme delle economie avanzate. Negli altri anni del periodo la crescita economica elvetica non ha raggiunto la media delle economie avanzate, ma la Svizzera non è mai andata in territorio negativo su base annua. Considerando anche che si tratta di un Paese che da tempo ha un PIL pro capite già elevato, e che non può dunque crescere a ritmi travolgenti, il bilancio nel complesso resta positivo.

Essendo un Paese fortemente esportatore, ed essendo gli USA tra i suoi partner di rilievo, la Svizzera è tra quelli più chiaramente messi alla prova dalla nuova ondata di protezionismo voluta dall’Amministrazione Trump. Sulla guerra dei dazi varata da quest’ultima ci sono ancora molti interrogativi (anche per la Svizzera, che pure cerca un’intesa), se i contrasti nei commerci dovessero attenuarsi la crescita economica globale potrebbe rallentare in modo contenuto, se invece i conflitti dovessero proseguire o ampliarsi, il rallentamento economico complessivo potrebbe essere molto consistente, dunque potrebbero esserci riflessi negativi più marcati per tutti.

La moneta

L’export svizzero potrebbe esser frenato anche dalla grande forza del franco, valuta ancor più richiesta dagli investitori nelle fasi di alta incertezza. Si tratta in effetti di una sfida per l’economia elvetica, ma occorre anche dire che molte imprese esportatrici svizzere hanno dimostrato negli anni di saper gestire la situazione, puntando sulla qualità e diversificando prodotti e mercati. Inoltre, il franco forte rende di fatto meno caro l’import e aiuta a tenere bassa l’inflazione, elementi questi che contribuiscono alla stabilità e all’affidabilità del sistema Paese. Il contesto internazionale è complicato, gli ostacoli non mancano, ma la Svizzera ha carte da giocare.

La Camera di commercio italiana per la Svizzera (CCIS) tiene la sua 116.ma Assemblea generale il 22 maggio a Zurigo. La CCIS ha in effetti superato ampiamente il secolo di vita, essendo nata nel 1909. L’obiettivo era di promuovere gli scambi commerciali, culturali e professionali tra due Paesi legati da vicende storiche comuni, da vincoli familiari, da affinità consolidate, indica Vincenzo Di Pierri, presidente della CCIS. Dopo aver attraversato guerre mondiali, ricostruzioni, crisi economiche, trasformazioni epocali nei modelli produttivi e tecnologici, la Camera di commercio italiana continua oggi a proporsi come riferimento per le imprese e i professionisti che, da una parte e dall’altra delle Alpi, puntano su scambio e collaborazione. Di fronte alle attuali tensioni geopolitiche e alle conseguenti incertezze economiche, afferma Di Pierri, occorre privilegiare per quanto possibile i canali del dialogo internazionale e in questo Italia e Svizzera hanno molto da dire e da dare. Si tratta di due economie complementari, di due sistemi imprenditoriali dinamici, con una storia comune fatta di scambi, di lavoro, di persone, di idee e anche di lingua. La transizione ecologica, le nuove tecnologie, i modelli di business più etici e inclusivi sono ambiti in cui l’Italia e la Svizzera possono costruire occasioni straordinarie di collaborazione, secondo il presidente della CCIS. Di Pierri descrive la Camera di commercio italiana per la Svizzera come un edificio aperto, un laboratorio di proposte, come una rete al servizio di un tessuto imprenditoriale che si adatta alle nuove modalità di fare impresa, in fondo come parte attiva del Sistema Italia. E qui in un certo senso il cerchio della storia si chiude, perché se i molti italiani fuori d’Italia hanno a lungo contribuito con il loro lavoro a rendere apprezzata la reputazione del Paese nel mondo, ora si tratta di andare avanti cercando di essere ancor più innovativi e capaci di anticipare le tendenze. In questo contesto, per il presidente della CCIS il ruolo delle Camere di commercio è più che mai centrale, perché devono fare da ponte, da facilitatore, da interprete delle sfide. Durante l’Assemblea, sarà il segretario generale Fabrizio Macrì a fare il punto su cifre e fatti delle attività della Camera di commercio italiana per la Svizzera e sulle nuove iniziative di questa. Terminata l’Assemblea, riservata ai soci, si svolgerà a partire dalle 11.30 alla Zunfthaus zur Meisen l’evento pubblico (è richiesta peraltro l’iscrizione, sul sito della CCIS), con la presenza come ospite d’onore di Sergio Ermotti, CEO di UBS Group, che sarà intervistato dal giornalista economico Lino Terlizzi, commentatore del Corriere del Ticino e collaboratore de Il Sole 24 Ore per la Svizzera. Tra i temi che saranno trattati durante l’intervista, la situazione geopolitica ed economica internazionale, la situazione dell’economia elvetica e in particolare della piazza bancaria e finanziaria, i rapporti economici tra Svizzera e Italia, i punti principali della strategia di UBS, l’integrazione del Credit Suisse, la regolamentazione nel settore bancario. Il ticinese Sergio Ermotti è tornato ad essere CEO di UBS Group, il maggior gruppo bancario svizzero, nel 2023. Lo era già stato per circa un decennio, dal 2011 al 2020. Ermotti è rientrato in UBS dal gruppo riassicurativo elvetico Swiss Re, dove è stato presidente del Consiglio di Amministrazione, appunto sino al 2023. Prima di entrare in UBS nel 2011, ha lavorato nel gruppo bancario italiano UniCredit, dove dal 2007 al 2010 ha ricoperto il ruolo di Group Deputy CEO e Head of Corporate & Investment Banking e Private Banking, dopo aver precedentemente guidato la Divisione Markets & Investment Banking. In precedenza ha ricoperto diversi incarichi presso Merrill Lynch & Co., nei settori dei derivati azionari e dei mercati dei capitali. Nel 2001 è diventato Co-Head of Global Equity Markets e membro dell’Executive Management Committee per Global Markets & Investment Banking.