La tendenza al rialzo delle Borse e la razionalità degli investitori

L’indice borsistico mondiale in dollari Msci Acwi quest’ultimo venerdì era a 389 punti, ancora in area massimi storici. Rispetto a un anno prima il progresso è di circa il 30% e in rapporto ai minimi toccati all’inizio della pandemia, nel marzo del 2020, il progresso è di oltre il 70%. Nonostante gli allarmi lanciati da più parti su imminenti grandi cadute, le Borse sin qui hanno continuato nell’avanzata. Certo, ci sono stati di tanto in tanto alcuni ribassi, come è inevitabile che sia perché i mercati non possono sempre e soltanto salire, ma la tendenza di fondo al rialzo sin qui è stata chiara ed ha smentito le variegate profezie di sventura.
Le ragioni
Ma come mai le Borse nel loro complesso non hanno rallentato, dopo aver recuperato i livelli pre pandemia già nell’estate del 2020, e nell’ultimo anno sono andate invece avanti con passo spedito? Chi è molto critico nei confronti dei mercati borsistici sostiene che questi sono regni dell’irrazionalità, staccati dall’economia reale; ma i dati di lungo periodo contraddicono questa tesi liquidatoria. Chi è attento al quadro della finanza sottolinea come le alternative agli investimenti azionari siano più deboli che in passato, soprattutto per via dei bassi tassi di interesse; constatazione opportuna, quest’ultima, che però da sola non basta a spiegare una così massiccia avanzata dei listini azionari.
Una risposta più completa sulle ragioni dell’avanzata può venire dall’esame dell’atteggiamento della gran parte degli investitori borsistici sui capitoli economici maggiori della fase. Per semplificare, aggreghiamo questi in due filoni: uno è riflessi della pandemia-crescita economica-strettoie nelle catene di rifornimento-risultati delle imprese; l’altro è inflazione-banche centrali-liquidità-tassi di interesse. Più avanti nel tempo riemergerà anche, inevitabilmente, il filone dei conti pubblici e del rientro dagli indebitamenti troppo elevati, ma per ora sulla scena ci sono soprattutto i due filoni citati. Le tensioni geopolitiche mondiali inoltre sono sempre una variabile, ma per adesso non hanno superato la soglia dell’allarme generale.
Rimbalzo e vaccini
Con la pandemia e con le restrizioni per le attività economiche, una contrazione delle economie nel 2020 è stata messa subito nel conto dalle Borse, che infatti tra febbraio e marzo dell’anno scorso sono molto scese. Gli interventi dei Governi a sostegno delle economie, le politiche ancor più espansive delle banche centrali, l’ulteriore sviluppo delle attività delle imprese più legate alle tecnologie, sono tutti elementi che hanno però favorito la veloce risalita delle Borse. A ciò bisogna aggiungere l’entrata in campo dei vaccini anti coronavirus; la pandemia non è ancora scomparsa, ma i vaccini sono un bel progresso, per la salute e per il quadro economico.
Il rimbalzo delle economie si è fatto consistente nel corso del 2021 e la crescita economica per quest’anno e il prossimo è prevista ancora come robusta (+5,9% e +4,9% a livello mondiale, secondo il Fondo monetario). Le strettoie nelle catene di rifornimento di materie prime e prodotti stanno creando problemi ad una parte delle imprese e stanno contribuendo al rallentamento della ripresa, ciò nonostante siamo ancora in un quadro di buona crescita, dove più e dove meno. Dopo il buon andamento complessivo a metà anno, c’era molta attesa per i risultati del terzo trimestre delle imprese quotate; in generale, le cose sono andate bene da questo punto di vista e ciò ha rafforzato l’idea di molti investitori sul fatto che restiamo in una fase di ripresa.
Inflazione e tassi
Quanto all’inflazione, questa è salita in tutta evidenza, ma tra quanti investono in Borsa rimane largamente condivisa la tesi delle banche centrali, secondo cui i rincari maggiori sono temporanei, legati al forte rimbalzo economico; l’inflazione dunque più avanti sarà più contenuta. Le principali banche centrali, a cominciare dall’americana Federal Reserve e dalla Banca centrale europea, stanno d’altronde rassicurando gli investitori sulla loro volontà di procedere lentamente nel rientro dalla maxi liquidità e dai tassi ai minimi. Scontata la necessità di questo rientro, ciò che i mercati implicitamente chiedono è appunto gradualità.
È chiaro che la grande liquidità - fornita anche con gli acquisti di titoli da parte delle banche centrali - e i tassi molto bassi hanno contribuito all’ascesa delle Borse, ma è altrettanto chiaro che la situazione non può rimanere sempre la stessa; l’importante per i mercati è che la liquidità diminuisca solo gradualmente e che all’aumento dei tassi di interesse le maggiori banche centrali arrivino con passo lento, lasciando che il quadro economico prima si consolidi. Ed è ciò che per ora sta avvenendo. Nell’insieme, la tendenza al rialzo delle Borse di questa fase non si è basata dunque sull’irrazionalità, bensì in gran parte su valutazioni razionali.
La piazza svizzera
La Borsa svizzera ha fatto la sua parte, anche in queste ultime fasi, prima di caduta dovuta alla pandemia e poi di rimbalzo economico. Ancora una volta, il listino azionario elvetico ha confermato il suo carattere prevalentemente difensivo, il che comporta anche guadagni azionari che sono spesso più contenuti rispetto ad altre piazze quando il trend è al rialzo, ma anche cadute dei corsi dei titoli che sono spesso decisamente minori quando la tendenza è al ribasso. Una Borsa nel complesso equilibrata, come più in generale il sistema Paese di cui fa parte. Un listino, inoltre, che ha il vantaggio della forza del franco, che contribuisce all’attrattività dei titoli della piazza elvetica, perché comprare azioni quotate in Svizzera significa di fatto anche comprare franchi.
Gli ammortizzatori
Alla chiusura di venerdì scorso, lo Swiss Market Index (SMI), il principale indice borsistico svizzero, registrava un progresso di quasi il 20% rispetto ad un anno prima. È un rialzo annuale più che buono, anche se inferiore, ad esempio, all’oltre 30% dell’indice S&P 500 di New York, al circa 25% dell’indice DAX di Francoforte, all’oltre 20% dell’indice Nikkei 225 di Tokyo. Bisogna però anche calcolare che durante la forte caduta degli indici causata dalla pandemia, tra febbraio e marzo dell’anno scorso, la Borsa di Zurigo è sì a sua volta scesa, ma meno di altre Borse principali. Di nuovo, una piazza difensiva come quella svizzera ha messo in campo i suoi ammortizzatori, attenuando la discesa. In seguito, la risalita è stata meno veloce rispetto ad altre piazze, ma il saldo complessivo è stato sin qui nettamente positivo.
Il carattere difensivo della Borsa svizzera è dato in ampia misura dal tipo di attività delle maggiori società quotate a Zurigo. Se si guarda appunto all’indice SMI, si può vedere che tra i titoli che ne fanno parte ci sono ad esempio Nestlé nell’alimentare, Roche e Novartis nella farmaceutica, ABB e Richemont ancora nell’industria, UBS, Credit Suisse, Zurich, Swiss Re nella finanza. Questi e altri sono titoli che, pur nelle loro diversità, fanno parte in genere di uno schieramento difensivo in campo azionario. Si tratta cioè di azioni che nella gran parte dei casi (tolte situazioni particolari) sono funzionali a investitori che puntano a limitare molto le oscillazioni e ad avere un grado abbastanza elevato di equilibrio nei loro investimenti.
Oltre allo SMI ci sono poi altri indici elvetici, in cui sono presenti titoli di società di non così grandi dimensioni e anche titoli di altri settori non così difensivi. Questi altri indici forniscono occasioni di ulteriore diversificazione agli investitori che sono interessati ad avere una presenza differente o in ogni caso molto articolata nella Borsa svizzera. Nel suo insieme, la piazza borsistica elvetica tende comunque sempre a mantenere come prevalenti i caratteri di solidità di fondo e di difesa da oscillazioni eccessive.
Si diceva del franco svizzero. Non è un mistero che la valuta elvetica tenda a essere forte. Persino troppo forte per le esportazioni rossocrociate, che sono rese più care dal valore alto della moneta svizzera. Per la verità, in questi ultimi anni le imprese esportatrici svizzere hanno anche confermato, ancora una volta, una loro ampia capacità di adattamento alla valuta nazionale forte, anche grazie al fatto che beni e servizi elvetici hanno in media un alto valore aggiunto e sono quindi un po’ meno sensibili di altri all’effetto valutario. Tra i vantaggi del franco forte ci sono d’altronde il minor costo effettivo delle importazioni e, appunto, la maggior attrattività degli investimenti in valori svizzeri.
La valuta
La Banca nazionale svizzera ormai da anni cerca di frenare il franco, per evitare danni all’export, utilizzando i tassi di interesse negativi e gli acquisti di valute estere. Ma per un certo numero di investitori, sia svizzeri che esteri, il franco rimane un rifugio. Dopo aver dovuto abbandonare nel 2015 la soglia di 1,20 franchi per 1 euro, la BNS ha poi cercato negli anni successivi di ostacolare ancora l’apprezzamento del franco. Al di là delle fluttuazioni, è rimasta però una tendenza di fondo al rialzo del franco. Nelle ultime settimane la valuta elvetica si è nuovamente apprezzata, ora siamo a 1,05 franchi per 1 euro e a 0,91 franchi per 1 dollaro USA. Se da un lato ci possono essere alcuni ostacoli in più per l’export, dall’altro ci sono per la Svizzera un import meno caro (il che è anche un fattore di difesa contro l’inflazione) ed un ulteriore elemento a favore della solidità dei titoli elvetici. L.TE.