L’Africa e i metalli critici, tra geopolitica e logistica

La nuova rivoluzione industriale centrata sui cosiddetti metalli critici favorisce il continente africano sia in termini di produzione, sia di logistica, a iniziare dalla costa mediterranea. La posizione geografica e la crescente presenza cinese ne fanno un polo privilegiato fra le aree centrali e meridionali del continente, ricche di minerali, i centri di raffinazione dell’Asia e i mercati di consumo estremo-orientali ed europei.
Nell’Africa sub-sahariana abbonda la produzione di questi metalli, a iniziare dal cobalto, con circa il 70% dell’intera estrazione mondiale, oltre a quote ingenti di manganese e platino. Nel 2024 l’export complessivo di minerali critici dall’Africa ha sfiorato i 270 miliardi di dollari. Oggi il continente assume una posizione più decisa, a livello politico ed economico, nella difesa dei propri interessi, conscio nel valore delle sue risorse. Sul piano politico ciò si manifesta con il rigetto dei rapporti residui che legavano alcuni Paesi alla Francia e con una ricalibratura della stessa presenza cinese. Fra le altre iniziative, la Repubblica Democratica del Congo ha posto blocchi all’esportazione di cobalto grezzo mentre lo Zimbabwe ha fissato nuovi oneri sul commercio del litio.
Le nuove strategie sono destinate a creare valore, favorendo lo sviluppo economico locale e a creare opportunità rilevanti per la logistica del Nord Africa e per alcuni poli orientali del continente, attraverso un ambizioso programma di infrastrutture già esistenti o in via di realizzazione.
Egitto, Marocco e Algeria sono fra i primi Paesi ad aver avviato piani di investimenti strategici in linea con i nuovi trend continentali, ora favoriti anche da un ritorno d’interesse per la rotta del Mar Rosso e di Suez verso il Mediterraneo, dopo gli «incidenti» causati dagli Houthi yemeniti al traffico marittimo.
In Marocco il MedPort di Tangeri, con la sua area circostante in cui si sono insediate anche molte aziende europee, è uno dei più avanzati del continente, con volumi crescenti di traffico che lo vedono in concorrenza con i maggiori terminali dell’Europa meridionale, favorito dalle norme ecologiche penalizzanti sul traffico marittimo emanate dall’Unione europea.
L’Egitto, che ha visto il traffico lungo il Canale di Suez fortemente ridotto, anche del 50%, dalla crisi mediorientale e dai rischi di transito attraverso lo Stretto di Bab el-Mandeb, sta ora trasformando la Zona Economica del Canale in una nuova struttura fortemente capitalizzata a livello internazionale, in grado di diventare un hub nel nuovo mercato globale dell’idrogeno, grazie alla sua posizione al centro di molte rotte marittime. Il progetto della Tindouf-Zouerate Highway (TZH) collegherà l’Algeria con la Mauritania, ricca di litio, manganese, fosfati, uranio e dei fatidici metalli delle terre rare, oggetto del desiderio da parte di tutti gli Stati avanzati, ma detenuti in forma pressoché monopolistica dalla Cina. Il collegamento TZH è particolarmente importante in quanto Algeri è a sua volta l’unico nodo mediterraneo della Trans-Sahara Highway, nota come TAH 2, che collega sei Paesi africani di particolare rilevanza economica, Algeria, Chad, Mali, Niger, Nigeria e Tunisia.
Marocco ed Egitto più vicini
Altri progetti infrastrutturali prevedono il collegamento fra Marocco ed Egitto con la Trans Maghreb Highway, attraversando Algeria, Tunisia e Libia, oltre a diversi corridoi ferroviari nelle varie porzioni del continente. La presenza cinese è rilevante nel campo energetico, idrico, dei trasporti e dei terminali marittimi. L’Africa Orientale, così come il Golfo di Guinea e la costa mediterranea ospita strutture portuali, per container e altri tipi di spedizioni, di forte capacità, come quella Doraleh di Gibuti, alle porte del Mar Rosso, importante per tutta la regione etiopica, di Dar es-Salaam, in Tanzania, collegata all’interno del continente da una rete ferroviaria, di Lamu, in Kenya, fino al terminale petrolifero di Kipevu, adiacente a Mombasa e collegato a Nairobi. Il progetto Bagamoyo, anch’esso in Tanzania, interrotto e poi ripreso, si pone come la più grande struttura portuale del continente e fa capo all’iniziativa Belt and Road ideata da Pechino.
Uno scacchiere globale
L’Africa diventa quindi un importante scacchiere per i Paesi avanzati assetati di risorse strategiche. Gli Stati Uniti percepiscono la loro posizione di inferiorità rispetto alla Cina, che processa l’85% del totale di minerali critici e oltre il 90% di terre rare e la cui forte presenza in ben 44 Paesi africani condiziona i mercati, ad esempio con gli ingenti investimenti nel settore del litio nel Mali o del rame in Zambia. Nel continente sono presenti altri attori con investimenti finanziari e tecnici di rilievo, dall’Arabia Saudita alla Russia, dagli Emirati alla Turchia.
Si prospetta dunque per l’Africa un ruolo economico e strategico enorme, con un elevato potenziale di guadagno cumulato che il Fondo monetario internazionale valuta, per i prossimi 25 anni e per i soli minerali critici, in almeno 2 mila miliardi di dollari, tanto più se i Paesi africani, oltre all’estrazione, sapranno sviluppare anche le attività di raffinazione.
Si tratta di uno scenario cui anche le nostre aziende possono guardare con interesse nel quadro di quelle esigenze di diversificazione e flessibilità che le nuove condizioni commerciali e geopolitiche impongono. Del resto il Mediterraneo non può che essere il naturale luogo di contatto tra Africa ed Europa meridionale, designato dalla storia e dall’economia, ieri come oggi.