Le acrobazie delle banche centrali tra crescita economica e inflazione

Le maggiori banche centrali sono in questa fase costrette a esercizi di acrobazia. Il mandato principale degli istituti centrali riguarda la stabilità dei prezzi e della valuta, ma inevitabilmente c’è da parte loro anche un’attenzione ai livelli della crescita economica e dell’occupazione. La situazione ideale è quella in cui c’è una buona crescita con bassa inflazione. Ma non sempre è facile e nella situazione attuale c’è il rischio di andare all’opposto, verso una crescita bassa con un’inflazione alta. Le tensioni geopolitiche, le guerre, i dazi americani spingono in questa seconda direzione.
La Fed
Le banche centrali, nella diversità dei vari quadri nazionali, cercano con fatica di far la loro parte contro un approdo negativo. I tassi di interesse sono uno dei maggiori strumenti degli istituti centrali. Alzando i tassi, si contrasta l’inflazione ma non si aiuta la crescita economica; abbassando i tassi, si fornisce un supporto alla crescita ma non si lotta contro l’inflazione. Durante la gestione ordinaria, le banche centrali muovono in maniera moderata un po’ al rialzo e un po’ al ribasso, mirando a un equilibrio tra i due versanti. Durante una gestione non ordinaria, come l’attuale, le scelte possono diventare dilemmi e gli istituti centrali possono dover fare acrobazie, spesso anche in tempi molto rapidi. Vediamo alcuni esempi di questa fase. L’americana Federal Reserve (Fed) sta navigando in acque molto agitate. Il vertice della Fed da tempo viene attaccato dal presidente USA Trump, che vuole tassi più bassi per supportare la crescita. La banca centrale statunitense, guardando ai rischi di inflazione, ha lungamente risposto di no. Poi, a settembre e nei giorni scorsi ha attuato due tagli, entrambi di un quarto di punto; ora i tassi di riferimento USA sono nella fascia 3,75%-4%. Ciò può contribuire al sostegno di una crescita americana che è in rallentamento annuo, ma non aiuta nella lotta all’inflazione. Il rincaro negli USA era al 2,3% in aprile ed era al 3% in settembre; il trend, anche a causa dei dazi e della debolezza del dollaro, è di risalita dell’inflazione. L’obiettivo delle principali banche centrali, Fed inclusa, è un’inflazione media annua del 2%. La Federal Reserve nei prossimi mesi potrebbe dover fare una scelta molto drastica: o sostegno alla crescita o lotta all’inflazione.
BCE e BoE
Per la Banca centrale europea (BCE) le acque sono meno agitate, ma rimangono insidiose. La BCE aveva già tagliato i tassi di riferimento sull’euro e dunque nei giorni scorsi non si è mossa, restando nella fascia 2%-2,40%. Lo svantaggio di una crescita economica scarsa dell’Eurozona su questo versante è diventato paradossalmente un vantaggio per la BCE, che ha potuto dedicarsi alla riduzione dei tassi a favore della ripresa economica, senza grandi timori sull’inflazione. Il rincaro nell’area dell’euro era all’1,9% nel maggio scorso e al 2,1% in ottobre. Da questo punto di vista la situazione è migliore rispetto agli USA, ma l’obiettivo della riduzione del rincaro al 2% annuo non è ancora pienamente raggiunto; bisognerà vedere quali riflessi sui prezzi avranno nei prossimi mesi le tensioni internazionali. Inoltre, il pur leggero miglioramento della crescita, previsto per l’Eurozona quest’anno, potrebbe spingere un po’ i prezzi. La BCE ora è vicina all’equilibrio, ma potrebbe più avanti esser chiamata a scegliere nuovamente tra sostegno alla crescita e lotta all’inflazione. La Bank of England (BoE) dal canto suo è in una situazione più simile a quella della Fed americana. La crescita britannica è moderata ma sta tenendo, però l’inflazione è nettamente risalita: era al 2,6% in marzo e al 3,8% in settembre (indice CPI). Il tasso guida di Londra è al 4%, nei prossimi giorni la banca centrale britannica dirà se intende cambiare o no. Potrebbe essere un indizio sulla linea che la BoE intende seguire nei prossimi mesi e dunque su quanto conta il supporto alla crescita economica e quanto conta la lotta contro un’inflazione che ha ripreso spazio.
La BNS
La Banca nazionale svizzera (BNS) è in una situazione molto diversa. La BNS ha tagliato il tasso di riferimento sino allo 0%. Ciò è stato possibile per tre motivi: l’inflazione elvetica è molto bassa, dello 0,2% in settembre, dentro la fascia-obiettivo 0%-2%; la crescita economica, pur esprimendo resilienza, è in rallentamento e va sostenuta; il franco è molto forte e la BNS vuole frenarlo per aiutare l’export. L’istituto svizzero è dunque più avanti di altri; tuttavia, dovrà scegliere se per trattenere il franco basterà lo 0% oppure occorrerà un ritorno ai tassi negativi, che sono molto controversi, perché creano alcuni problemi al settore finanziario e ai risparmiatori.
