L’intervista

«Le chiusure aiuteranno l’e-commerce, ma in Svizzera siamo pessimi venditori»

Il presidente di NetComm Suisse Carlo Terreni fa il punto della situazione dopo le decisioni del Consiglio federale: sì, lo shopping online esploderà ma i negozianti elvetici e ticinesi non sono ancora (tutti) al passo con i tempi
Carlo Terreni in un’immagine del 2019. © CdT/Chiara Zocchetti
Marcello Pelizzari
15.01.2021 10:01

Si chiude. Di nuovo. I negozi considerati non essenziali, lunedì, abbasseranno la saracinesca. Lo ha detto il Consiglio federale, ribadendo la necessità di fronteggiare la recrudescenza del coronavirus e, soprattutto, l’arrivo delle varianti. Bene, anzi male. Alcuni commercianti insorgono, altri accettano la decisione. E intanto, si fa largo una certezza: l’e-commerce tornerà a riempire le nostre giornate e le nostre scelte d’acquisto, proprio come durante il lockdown della scorsa primavera. Per capirne di più abbiamo intervistato Carlo Terreni, presidente di NetComm Suisse. Ovvero, l’associazione svizzera del commercio online.

Presidente, l’impressione avuta durante la prima ondata è che la Svizzera non fosse pronta per gestire così tanti ordini online. Concorda?

«In parte è vero, in parte è falso. La Svizzera è dicotomica, se penso allo sviluppo dell’e-commerce e alla situazione prima della pandemia: da un lato, la percentuale di chi compra online rispetto al resto dell’Europa è altissima, lo stesso dicasi per la spesa media pro capite e i settori in cui le persone comprano. Noi svizzeri siamo degli ottimi compratori e questo è un dato storico. Abbiamo piattaforme tecnologiche, quindi smartphone e computer, un’accessibilità a Internet fra le migliori d’Europa. E siamo, culturalmente, propensi all’innovazione. Il problema, grande, è che siamo pessimi venditori: le nostre aziende, sia grandi sia piccole, per tacere dei negozianti, hanno iniziato da pochissimo a investire per fare e-commerce. Ci sono stati, in passato, pochi operatori illuminati. Ma, oggi, è più facile che ci siano realtà nuove. Che nascono direttamente digitali e possono crescere tantissimo. Purtroppo, per quanto riguarda le piccole imprese o i negozianti la penetrazione dell’e-commerce è bassissima: siamo attorno al 3-4%. La domanda, allora, è: quanti negozianti che devono chiudere lunedì possono vendere online i propri prodotti perché si sono strutturati in tal senso?».

C’è chi, banalmente, sfrutta le vetrine social e le app per i micropagamenti e, di fatto, vende online i propri prodotti. Può valere come e-commerce anche se non c’è un vero e proprio store?

«Per e-commerce, volendo parafrasare la definizione accademica, si intende qualsiasi intermediazione commerciale abilitata da uno strumento digitale. Quindi sì, sicuramente l’esempio citato è valido. Si tratta, tuttavia, di una soluzione iniziale. Un primo passo cui, però, bisogna far seguire una strutturazione più importante».

È emerso, da una nostra indagine, che ci sono pochissime competenze per fare e-commerce in Ticino

Come mai non si investe?

«Noi di NetComm Suisse abbiamo fatto una lunga indagine sul commercio e sulla volontà di acquisto dei ticinesi. È emerso che ci sono ancora pochissime competenze per fare e-commerce. Uno dice: il primo problema è creare un sito. Ma una volta che hai un sito, poi è necessario produrre i contenuti. Ovvero le foto dei prodotti e dei servizi offerti. E ancora: hai previsto un budget per il sito ma ne hai previsto uno per il marketing? Perché puoi anche vendere a clienti che non conosci».

La percezione è che altrove, come in Italia, l’e-commerce sia più efficiente. È così?

«In realtà, molti prodotti che vende Amazon in Italia o in Germania non arrivano subito. Perché mancano appunto le capacità logistiche. Non voglio fare elogi a nessuno, ma in tutte le statistiche mondiali la posta elvetica è in cima alle classifiche per efficienza. E poi, se i prodotti sono già in Svizzera non c’è lo sdoganamento. Quindi, se un commerciante si organizza è possibile comandare le capsule del caffè alle cinque di sera e ritrovarsele comodamente a casa all’indomani. Avremmo tutte le condizioni per essere ottimi venditori, il problema è che mancano cultura, competenze e forse modalità di supporto per i negozianti più piccoli».

C’è la solita questione, a monte: il commercio online ucciderà quello fisico.

«Io giro la questione: oggi, quanti negozianti che lunedì dovranno richiudere avrebbero potuto mantenere la loro clientela se avessero investito nell’e-commerce? Con entrambe le possibilità puoi raggiungere più clienti e dare un servizio aggiuntivo a quelli già conquistati fisicamente».

Come immagina questo mini lockdown a livello di acquisti online?

«Ci sarà un’altra esplosione. E fungerà da consolidamento delle abitudini per il futuro».

Perché colossi come Amazon non sembrano interessati alla Svizzera?

«Dipende da caso a caso, di base è evidente che siamo pochi e abbiamo determinate complessità come la dogana. Ma le persone, da noi, possono spendere tanto e questo controbilancia le cose. Possiamo spendere, per un prodotto, anche il 30% in più per tacere dell’IVA che da noi è più bassa. Siamo abbastanza fortunati, dall’estero non c’è un’invasione di colossi e questo dovrebbe spingere realtà locali a investire e crescere. Se il retailer di turno avesse investito correttamente in passato, oggi si troverebbe con un e-commerce più strutturato».

Un altro mito da sfatare: comprare online è pericoloso.

«Non lo è, non in Svizzera. Avevamo fatto un’indagine con dei consumatori internazionali. Chiedendo se, allo stesso prezzo, fosse meglio comprare un prodotto in Svizzera, in Italia, in Germania o in vari altri Paesi. Tutti praticamente hanno risposto Svizzera, perché si fidano di più».

Parlava di stimoli istituzionali. Cosa intendeva?

«Ci troviamo in un momento storico ideale perché lo Stato, attraverso gli aiuti, aiuti i più piccoli a digitalizzarsi».