Mercati

Le riserve valutarie scendono ma non il valore del dollaro

Proseguono a ritmo accelerato le vendite di divise estere da parte della Banca nazionale svizzera, sia per esigenze di bilancio, sia per apprezzare in franco in chiave anti-inflazione - Intanto, il biglietto verde da luglio si è rafforzato
Dai minimi di luglio attorno a 0,86, il dollaro USA viene ora scambiato a circa 92 centesimi di franco. © CdT/Gabriele Putzu
Dimitri Loringett
29.09.2023 22:00

La Banca nazionale svizzera (BNS) ha proseguito le vendite di valuta estera a un ritmo accelerato nel secondo trimestre: come emerge dai dati pubblicati oggi, tra aprile e giugno l’istituto ha ceduto l’equivalente di 40,3 miliardi di franchi. Nel primo trimestre le vendite ammontavano a 32,2 miliardi e nel quarto trimestre del 2022 a 27,3 miliardi.

La riduzione delle riserve in valuta estera della BNS è in realtà iniziata già a partire dalla metà dell’anno scorso, quando l’istituto guidato da Thomas Jordan decise di alleggerire le posizioni in euro, dollari e altre valute. I motivi erano sostanzialmente due: ridurre il bilancio della banca e tenere alto in valore del franco svizzero (ed evitare così di «importare inflazione»).

«Oltre alle esigenze di bilancio c’è la necessità da parte della BNS, in termini di politica monetaria, di contenere le pressioni inflazionistiche», spiega Nikolay Markov, economista senior di Pictet Asset Management. «Come noto - continua - la vendita di valute estere viene effettuata acquistando franchi, il che consente di mantenere a livelli relativamente alti il valore della nostra moneta, o perlomeno evitare che si deprezzi, limitando così l’inflazione importata. Questa è, infatti, una delle giustificazioni per le quali la BNS non ha aumentato i tassi d’interesse la scorsa settimana».

In un anno la BNS ha alleggerito il suo bilancio riducendo le riserve in valuta estera di circa 146 miliardi di franchi (controvalore). Ricordiamo che prima della grande crisi finanziaria del 2008, la BNS aveva posizioni in valuta estera di «appena» 85 miliardi circa, cifra che è progressivamente aumentata negli anni fino ad arrivare a poco più di mille miliardi di franchi a fine 2021, mentre a fine agosto di quest’anno (ultimo dato disponibile) si attestavano ancora a 774 miliardi.

«Le dimensioni del bilancio della BNS sono effettivamente ancora troppo elevate», commenta Markov. «Penso - continua - che la BNS continuerà con questa politica di riduzione delle riserve. Inoltre, il ritmo aumenterà proprio per le citate esigenze di politica monetaria, quindi a complemento dei rialzi dei tassi già avvenuti (e attualmente in “standby”, ndr). Questa flessibilità aggiuntiva che la BNS ha con lo strumento degli interventi sui mercati delle divise permetterà anche di tenere sotto controllo l’inflazione, senza quindi dover alzare troppo i tassi».

Intanto il dollaro si rafforza

Fra le principali valute estere detenute dalla BNS, come detto, vi è il dollaro USA (la quota è del 39%, seguito da vicino dall’euro con una quota del 37%). Non sappiamo se la BNS abbia effettivamente venduto dollari, ma a prescindere da ciò negli ultimi mesi nel confronto del franco il biglietto verde ha registrato un ragguardevole rimbalzo: dai minimi attorno a 0,86 (centesimi di franco per un dollaro) di metà luglio, questa settimana il «greenback» veniva scambiato attorno a quota 0,92.

«Questo rialzo degli ultimi mesi lo vedo come temporaneo, legato in particolare al riaffiorare dei timori di inflazione e quindi alla paura di ulteriori aumenti dei tassi di interesse negli Stati Uniti», afferma l’analista di Pictet. «Questo perché l'economia statunitense continua a crescere in modo relativamente sostenuto e il paventato rallentamento congiunturale, che il mercato aveva “previsto” (ovvero, “incorporato” nei prezzi di titoli azionari e obbligazionari, tassi di cambio ecc., ndr), ora sembra venire meno. Nello nostro scenario principale non c'è comunque mai stata una recessione e riteniamo che il dollaro sia ancora sopravalutato. In ogni caso, la nostra previsione per l'anno prossimo non è cambiata: il dollaro si deprezzerà, soprattutto verso la fine del quarto trimestre, quando le pressioni inflazionistiche si saranno un po' attenuate. Nel breve termine, tuttavia, c'è il rischio di vedere un po' più di inflazione a causa dell'aumento dei prezzi dell'energia, ma si tratta di un aumento transitorio che non dovrebbe provocare una reazione da parte dei mercati - e neppure da parte delle banche centrali, dalle quali non ci aspettiamo, nel 2024, altri rialzi dei tassi - ed è per questo che il nostro scenario rimane invariato per il dollaro, che dovrebbe deprezzarsi nel corso del prossimo anno rispetto alle principali valute, in particolare rispetto al franco svizzero», conclude Markov.