Il commento

L'indipendenza della Federal Reserve non è scontata

Lo scontro tra Donald Trump e l'istituzione monetaria per eccellenza del mondo occidentale ha riacceso l'attenzione sull'autonomia delle banche centrali dai governi
©Julia Demaree Nikhinson
Dimitri Loringett
02.09.2025 06:00

Fino a qualche anno fa la bucolica località del Wyoming, nel comprensorio del Grand Teton, era pressoché sconosciuta al grande pubblico ma ben nota agli appassionati della pesca alla trota con la mosca. Tra questi, anche l’allora presidente della Federal Reserve Paul Volcker che, nei primi anni Ottanta, grazie al suggerimento dell’allora governatore della Fed di Kansas City, iniziò a organizzare a Jackson Hole quello che è poi divenuto uno dei simposi accademici più importanti ed esclusivi d’Occidente. Da allora, le discussioni tenute nel rustico Jackson Lake Lodge hanno plasmato il dibattito economico e finanziario globale e il simposio è diventato un simbolo dello status di «intoccabili» dei banchieri centrali. Uno status che negli Stati Uniti è oggi seriamente messo in discussione, con i ripetuti attacchi di Donald Trump al board della Fed, che hanno presumibilmente portato alle dimissioni anticipate, lo scorso 1º agosto, di Adriana Kugler e che ora si concentrano sulla collega Lisa Cook, che l’ex presidente sta cercando di silurare.

Sulle tensioni tra la Casa Bianca ed Eccles Building – sede della Fed a Washington – il mondo economico-finanziario, ma anche quello politico, si interroga sulla questione dell’indipendenza delle banche centrali. E non solo negli Stati Uniti: se il presunto piano dell’amministrazione Trump di prendere il controllo della Fed dovesse andare in porto, a temere sarebbero un po’ tutti i principali istituti d’emissione. I banchieri centrali sono infatti preoccupati dalla messa in discussione del principio della loro autonomia dai governi, che ha consentito loro di attuare con efficacia il mandato fondamentale: mantenere bassa e stabile l’inflazione. «Un chiaro mandato di stabilità dei prezzi, indipendenza e responsabilità sono l’àncora, lo scafo e l’albero maestro della nave della politica monetaria», ha affermato Pablo Hernández de Cos, da luglio direttore generale della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea (la «banca centrale delle banche centrali»), in un discorso pronunciato martedì scorso in Messico. Per l’ex governatore della Banca di Spagna, l’indipendenza è fondamentale affinché i banchieri centrali possano fissare i tassi di interesse e utilizzare strumenti come il quantitative easing «sulla base di considerazioni economiche nell’interesse pubblico di lungo periodo, liberi da interferenze politiche di breve termine».

Secondo uno studio recente del Centre for Economic Policy Research, le banche centrali indipendenti hanno registrato a lungo termine una riduzione dell’inflazione annuale di circa 3,7 punti percentuali nei Paesi ricchi, mentre nei Paesi più poveri la diminuzione è stata addirittura di 10,3 punti. Nell’esempio più vicino, la maggior parte degli istituti indipendenti ha riportato sotto controllo l’impennata inflazionistica post-pandemia in due o tre anni, mentre la Grande Inflazione del XX secolo è durata circa un ventennio, dal 1965 al 1982, con ricadute sempre più pesanti. La finora indiscussa indipendenza degli istituti centrali non è stata però priva di critiche, soprattutto dal mondo politico, il cui ruolo nell’attuazione delle politiche economiche si è progressivamente ridotto a favore di quelle monetarie, complice anche la globalizzazione e la crescente «finanziarizzazione» delle principali economie. Oggi il vento sembra girare e un numero crescente di governi chiede – seppure con toni più moderati rispetto a quello statunitense – ai propri istituti centrali di attuare politiche più espansive, riducendo il costo del denaro per sostenere il debito pubblico. Secondo Kenneth Rogoff, professore della Harvard University ed ex capo economista del Fondo monetario internazionale, citato dal Financial Times, la combinazione di debito elevato e aumento dei costi per servirlo sta «creando enormi incentivi politici per i governi di tutto il mondo a esercitare pressioni sulle banche centrali affinché riducano i tassi d’interesse», aggiungendo che «siamo entrati in una nuova era di fiscal dominance».

Non sappiamo se l’amministrazione Trump riuscirà davvero a «impossessarsi» della Fed e se ciò porterà a un riequilibrio tra politica fiscale e monetaria, così come non è chiaro quale sarà il futuro dell’esclusivo simposio nelle Rocky Mountains. Probabilmente l’anno prossimo Jerome Powell non sarà più presente in veste di presidente della Fed, ma è certo che la pesca alla trota con la mosca continuerà ad attirare appassionati da tutto il mondo.