Il punto

L'inflazione in perdita di velocità ha spinto la Borsa e frenato il dollaro

Il rincaro a stelle e strisce in ottobre si è attestato al 7,7%, sorprendendo in positivo analisti e operatori
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Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
14.11.2022 06:00

Se le elezioni USA di Midterm di settimana scorsa non hanno sin qui provocato grandi reazioni da parte delle Borse (vedremo da oggi se ci saranno o no altre reazioni agli ulteriori risultati elettorali), i dati sull’inflazione negli Stati Uniti in ottobre hanno invece avuto riflessi consistenti sia sui mercati borsistici sia sui mercati valutari. Il rallentamento del rincaro reso noto negli USA giovedì scorso è stato salutato con forti rialzi, in particolare alla Borsa di New York ma in parte anche nelle maggiori Borse europee e asiatiche. In campo valutario, il dollaro USA ha invece perso chiaramente terreno dopo i dati sull’inflazione.

Le cifre

Il rincaro in ottobre negli Stati Uniti si è attestato al 7,7% su base annua, percentuale ancora alta ma certo più bassa dell’8,2% di settembre e lontana dal picco di fase del 9,1%, registrato nel giugno scorso. La gran parte degli analisti si aspettava un calo dell’inflazione USA, ma non così netto. Il fatto è positivo in sé, infatti colpi di freno all’inflazione possono ridurre le incertezze e dare respiro a consumi e investimenti; ma lo è anche perché lascia aperta la porta all’ipotesi di un’azione meno intensa e perdurante delle banche centrali, in questo caso della Federal Reserve (Fed).

Quasi tutti i maggiori istituti centrali – Banca centrale europea (BCE) e Banca nazionale svizzera (BNS) incluse – hanno alzato i tassi di interesse di riferimento, per contrastare l’aumento dell’inflazione. L’obiettivo della gran parte delle banche centrali è far tornare l’inflazione ad una media annua del 2% e considerando che negli USA è al 7,7%, nell’Eurozona sempre in ottobre al 10,7%, nel Regno Unito in settembre all’8,8% (indice CPIH), si può vedere come la strada per molte economie sia ancora lunga. Se però l’inflazione comincia a scendere meno lentamente (come nel caso USA), allora si può pensare che gli aumenti dei tassi saranno un po’ meno consistenti.

Le Borse da una parte si rendono conto della necessità di contrastare l’inflazione, dall’altra continuano a non amare i tassi più alti, che significano costo maggiore del denaro, dunque anche degli investimenti. Quindi, anche solo l’ipotesi di minori aumenti dei tassi nei prossimi mesi, portata dalla frenata dell’inflazione negli USA, è stata salutata con forti rialzi degli indici. Giovedì scorso a New York il Nasdaq è salito del 7%, l’S&P 500 del 5%, il Dow Jones del 3%. I maggiori indici europei, compreso lo SMI svizzero, nello stesso giorno sono saliti di circa il 2%. Il giorno dopo, venerdì, c’è stata ancora una prevalenza del segno positivo nei listini azionari, seppur in misura minore.

Se le Borse sono andate su, a cominciare da quella di New York, in campo valutario c’è stato invece un chiaro calo del dollaro USA. La valuta americana nell’ultimo anno ha guadagnato parecchio terreno sull’euro e su altre monete principali; tra le ragioni principali del rialzo del biglietto verde ci sono la tenuta tutto sommato buona (considerando il quadro internazionale) dell’economia USA e il fatto che la Federal Reserve ha iniziato prima delle altre maggiori banche centrali ad alzare i tassi. Una valuta di rilievo che può contare anche su tassi più alti in genere accresce non poco la sua attrattività ed è quello che è successo nei mesi scorsi al dollaro USA.

I cambi

Ma se l’inflazione negli Stati Uniti rallenta, prende peso come detto l’ipotesi di minori aumenti dei tassi nei prossimi mesi da parte della Fed, il che sul versante valutario significherebbe un’attrattività non altrettanto forte per il dollaro USA. Così, giovedì e venerdì scorsi ci sono state vendite di valuta americana, con il cambio dollaro/franco che nei due giorni è sceso da 0,98 a 0,94, registrando un calo di circa il 4%. L’euro, dal canto suo, ha pure riguadagnato attorno al 4% sul biglietto verde, passando nei due giorni da 0,99 a 1,03 dollari. Cali degni di nota questi del dollaro. Occorre però aggiungere che la valuta USA rispetto a un anno prima era venerdì scorso comunque ancora a +2% sul franco e a +9,5% sull’euro