Space Economy

Lo spazio dopo l’esplorazione è ora un bene d’investimento

Il valore dell’industria aerospaziale è stimato a circa 400 miliardi di dollari l’anno, con una prospettiva di crescita di cinque volte entro il 2040 - A Lugano si gestisce il primo fondo svizzero interamente dedicato al settore
Il lancio del razzo Falcon 9 di SpaceX, lo scorso 21 maggio a Cape Canaveral. © AP Photo/John Raoux
Dimitri Loringett
02.06.2023 06:00

«Verso l’infinito... e oltre!». È l’espressione dell’astronauta Buzz Lightyear, uno dei personaggi di Toy Story, primo film di animazione firmato Pixar (ovvero Steve Jobs) e che segnò - si era nel 1995 – la fine del monopolio di fatto di Walt Disney nei lungometraggi di animazione. In realtà era una citazione omaggio al capitano Kirk di Star Trek. Dieci anni dopo la stessa Disney acquisì la Pixar.

Anche la «Space Economy», la riedizione dell’industria aerospaziale, interpreta la rottura di monopolio o meglio della trasformazione di un intero settore che dalla Terra guarda verso il cielo, non ponendosi limiti: oggi è stimata a circa 400 miliardi di dollari l’anno e che ne possa valere cinque volte tanto entro il 2040, secondo l’ESA, l’agenzia spaziale europea. A titolo di confronto, la vecchia industria automobilistica fattura quasi 3 mila miliardi di dollari.

Pubblico e privato a braccetto

L’economia dello spazio è definita dall’Ocse come «l’intera gamma di attività e l’uso di risorse che creano valore e benefici per gli esseri umani nel corso dell’esplorazione, della ricerca, della comprensione, della gestione e dell’utilizzo dello spazio». «È un concetto molto vasto che include attività industriali, logistiche, telecomunicazioni, informatica avanzata e altro ancora», spiega al CdT Juan Mallo, vicepresidente di BlueStar Investment Managers a Lugano e gestore di uno dei pochi fondi d’investimento al mondo dedicato all’economia dello spazio.

«La componente industriale, che riguarda per esempio i costruttori di razzi o le piattaforme di lancio, è sì fondamentale, ma è ancora molto legato al settore pubblico, ovvero agli apparati governativo-militari statali. Tuttavia, rispetto al passato quando era appannaggio degli Stati, oggi il settore aerospaziale è sempre più caratterizzato da iniziative in partenariato pubblico-privato».

È il caso, fra gli altri, di SpaceX di Elon Musk, il primo lanciatore di razzi interamente privato. Dal primo – il Falcon 1 – lanciato con successo nel 2008 SpaceX ha ottenuto appalti a oggi per miliardi di dollari dalla Nasa. Uno sviluppo favorito anche dall’interruzione del programma Shuttle nel 2012. «SpaceX, pur essendo nata su iniziativa privata e con lo sviluppo tecnologico e l’applicazione commerciale tipica del settore privato, può crescere grazie all’accordo con la Nasa. Il settore pubblico, quindi», sottolinea Mallo.

Un economia «adulta»

L’economia dello spazio, che si è sviluppato in modo marcato dall’inizio del nuovo millennio, è in pieno fermento. Pensiamo solo al «mercato» dei satelliti: nel 2021 vi sono stati ben 131 lanci – praticamente uno ogni due giorni – che hanno consentito di rilasciare oltre 1.700 satelliti in orbita. Il 90% di questi sono legati al settore commerciale, a dimostrazione di come la Space Economy, forse ancora prima di quella «Green», sia ormai entrata nella fase «adulta».

«Tutta l’innovazione tecnologica sviluppatasi attorno ai razzi e i lanciatori ha portato a una drastica riduzione del costo di lancio, che è stata una delle chiavi principali per far sì che si muovesse tutta un’innovazione tecnologica su altre applicazioni, come per le telecomunicazioni», spiega Mallo.

Effetti «collaterali»

«Stiamo andando verso un’era in cui le telecomunicazioni terrestri saranno integrate sempre di più con quelle satellitari», prosegue Mallo. Se vogliamo che qualsiasi dispositivo, telefono o macchina che sia, sia connesso a livello globale, questo lo può ottenere solo attraverso le cosiddette “costellazioni satellitari”, che costituiscono una sorta di rete Wi-Fi dallo spazio. A trarne beneficio saranno, tra gli altri, le aree più remote del pianeta dove la copertura di rete è più difficile da realizzare».

Un altro «effetto collaterale» della rivoluzione spaziale, se possiamo definirla così, è quello dei «Big Data». «Oggi - spiega Mallo - abbiamo aziende che sfruttano i dati trasmessi da satelliti che orbitano a circa 400-500 chilometri da terra, dalle classiche immagini satellitari a quelle a raggi infrarosso. Parliamo di dati che consentono di avere informazioni utili (temperatura, umidità del terreno, salute del raccolto ecc) per il settore agroalimentare, ma non solo».

«Sempre più aziende - prosegue - attive nella costruzione di satelliti e tecnologie per catturare queste informazioni si stanno trasformando in aziende di software. Con questa enormità di dati che si possono raccogliere ogni giorno si possono infatti estrapolare un’infinità di informazioni, grazie anche alla grande capacità computazionale e all’informatica avanzata. Da qui la possibilità di sviluppare ulteriori business interessanti».

Virgin Orbit chiude i battenti

È degli scorsi giorni la notizia di Virgin Orbit (spin-off di Virgin Galactic fondata nel 2017 da Richard Branson) che, dopo l’insuccesso del primo lancio europeo nel gennaio di quest’anno e a meno di due mesi dalla richiesta di bancarotta, ha chiuso definitivamente battenti e venduto all’asta i suoi attivi. «Lo spazio è un ambiente molto duro e impegnativo, la componente industriale è molto “capital intensive” e se le cose non girano per il verso giusto i deficit si accumulano in maniera vertiginosa», commenta Mallo. «Perciò - aggiunge – per il nostro fondo adottiamo un approccio relativamente prudente dal punto di vista dell’analisi finanziaria aziendale unito a un’analisi di tipo tecnologico che ci viene fornita da un “advisory board” esterno composto da fisici e ingegneri aerospaziali».

Ecco il «netturbino» orbitante svizzero

ClearSpace, la società vodese attiva nel campo dei detriti spaziali, ha recentemente siglato un accordo con la francese Arianespace per recuperare un oggetto abbandonato dal peso di oltre 100 chili. La missione di «deorbitazione» del rifiuto si terrà nei primi mesi del 2026. La navicella ClearSpace-1 raggiungerà l’orbita con il nuovo vettore europeo Vega C. Già nel 2019 ClearSpace è stata selezionata dall’ESA, l’agenzia spaziale europea a cui partecipa anche la Svizzera, tra una dozzina di candidati proprio per questo scopo.

In questo articolo: